Da Repubblica Napoli del 19 aprile
Un piccolo libro appena uscito, dal titolo “Neiwiller, un poeta per amico” (Alessandro Polidoro editore), scritto da Gennaro Di Vaio con un’appendice fotografica di Mauro Abate, ci ricorda che sono passati poco più di vent’anni dalla morte di Antonio Neiwiller, protagonista della stagione del teatro sperimentale a cavallo tra gli anni Settanta e Novanta, come autore, attore e regista. Fondatore del Teatro dei Mutamenti con Renato Carpentieri e Lello Serao, poi di Teatri Uniti con Mario Martone e Toni Servillo, Neiwiller conduce una ricerca teatrale “fondata sull’essenzialità del linguaggio, sulla nudità della scena, sul laboratorio come strumento per opporsi alla deriva produttivistica e mercantile dell’esperienza scenica”, come scrive Antonio Grieco nella prefazione; e poi, accanto a questo, resta il suo lavoro di instancabile costruttore di comunità, punto d’aggregazione di esperienze collettive in cui la disponibilità verso il diverso, il marginale, creava un canale per far entrare nel teatro “ciò che teatro non è ma lo alimenta”.
Quello di Di Vaio è un libro intimo, personale, il racconto di un’amicizia nata ai tempi della scuola, ma intorno, piuttosto che dentro l’istituto tecnico “Enrico Fermi” dell’Arenaccia, una sorta di prigione da cui allontanarsi appena possibile per cercare altrove il senso della vita e della conoscenza: nei libri letti e negli spettacoli visti a teatro, e poi nelle prime esperienze sul palcoscenico, nei progetti coltivati insieme, nei buoni e nei cattivi incontri, rievocati come in un lungo flashback dai due amici che si ritrovano infine, dopo anni di lontananza, ai piedi di un ficus nel giardino dell’ospedale dove Neiwiller viene sottoposto alle sedute di chemioterapia e Di Vaio lavora come infermiere. Poi la scomparsa di Antonio, non inattesa ma fulminea, lacerante, a soli quarantacinque anni; l’ultima pagina dedicata ai funerali nella chiesa di San Lorenzo Maggiore.
C’è anche, nel libro, la rievocazione di un breve incontro con Eduardo, nei primi anni Settanta, quando i due amici si mescolano a una fila di persone che si reca a rendergli omaggio dietro le quinte del teatro San Ferdinando, al termine di una rappresentazione del “Sindaco del rione Sanità”: Eduardo sta parlando a un gruppo di giovani e paragona il teatro a un veleno che ti entra nelle vene e non va più via. In quegli anni De Filippo era una figura centrale nel panorama italiano, ma poteva risultare anche molto ingombrante per coloro che, a Napoli, cercavano di esplorare nuovi sentieri nel campo teatrale. Neiwiller non provava a esorcizzare Eduardo, come capitò ad altri in quel periodo, ma la sua curiosità si indirizzava più che alla drammaturgia, al suo modo di stare in scena, alle pause, agli sguardi, ai silenzi. Al suo modo di essere attore.
Anche di Eduardo si è da poco celebrato un anniversario, il trentesimo della morte, naturalmente con maggiore enfasi e dispiegamento di forze. Un monumento l’uno, un clandestino l’altro. Eppure capita oggi, e in ambito non solo teatrale, di incontrare artisti di prim’ordine che si richiamano esplicitamente all’esempio di Neiwiller per illustrare la propria poetica o l’origine di certe intuizioni. Lo ha fatto ultimamente Antonio Biasiucci, presentando al museo Madre un laboratorio con otto giovani fotografi, ai quali ha fatto da guida negli ultimi due anni, seguendo e indirizzando la loro ricerca sulle immagini. Un’esperienza “neiwilleriana”, i cui esiti verranno mostrati alla città in una mostra collettiva in programma a fine aprile nel Castel dell’Ovo. Ed è appassionante e istruttivo seguire tutte le tracce che a ritroso, dopo tanti anni e da discipline diverse, conducono al teatro clandestino di Neiwiller, scoprire che il sodalizio composito che aveva creato in vita esiste ancora, sebbene in diaspora, tenuto insieme da fili invisibili, e mantiene accesa la fiammella delle sue idee per le generazioni future.
Salvatore Cantalupo, uno dei membri di questa comunità silenziosa, ha riproposto lo scorso inverno, con giovani attori e attrici, una nuova versione del “Titanic The End”, che Neiwiller mise in scena nell’84 e che si spera possa continuare a girare anche fuori regione. Così, accanto ai suoi non numerosi scritti – raccolti nel libro di Antonio Grieco, “L’altro sguardo di Neiwiller”, che ne ricostruisce metodo e percorso –, e pochi frammenti video dei suoi spettacoli, dovremmo far tesoro soprattutto della testimonianza attiva di chi ha condiviso, per brevi o lunghi periodi, le diverse fasi della sua vita. E continua, con pudore e coerenza, a considerarlo un maestro, a dispetto della facilità un po’ retorica con cui in tanti oggi si scambiano tale appellativo. (luca rossomando)
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