Davvero. Bastasse una parola magica per riaprirla la scuola. Tutti e tutte di nuovo in classe, anzi no, in cortile, in giardino, all’aperto, sostituendo, come sosteneva Dewey più di un secolo fa, “alla disciplina esterna, la libera attività; all’imparare dai libri e dai maestri, l’apprendere attraverso l’esperienza; […] ai fini e ai materiali statici la familiarizzazione con un mondo in movimento”[1].
Magari qualcuno fosse in grado con una bacchetta magica di far tornare in classe i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che dai primi giorni di marzo hanno dovuto rinunciare a molte cose, tra le altre proprio a quella fondamentale funzione, forse la più importante che la scuola svolge, la socializzazione. Per i più piccoli una necessità. Per i più grandi forse meno, ma certo non qualcosa da cui poter prescindere.
Ecco, gli adolescenti. Che alcuni di loro inizialmente siano stati contenti che la scuola chiudesse, non ce lo neghiamo. Al posto loro, se al posto loro ci sappiamo stare, confessiamoci che avremmo gioito anche noi. Molti tra di loro avranno pensato che non fosse poi così male poter evitare di dover stare sei-sette ore filate in quegli edifici poco curati e fatiscenti, in cui a mala pena riescono a trovare il loro spazio, la loro identità. Perché tutte le negligenze della scuola, ora che è chiusa, non facciamo che di colpo ce le dimentichiamo. Magari anche rimpiangendo un po’ l’indifendibile campanella che scandisce il susseguirsi delle ore, i compiti in classe, i voti, quella inaccettabile divisione disciplinare che cerchiamo di combattere senza ottenere grandi risultati almeno da tre decenni. Siamo convinti, però, che anche quelli che meno volentieri la frequentano, dentro loro stessi, non possano accettare l’idea che la scuola rimanga chiusa. Come se da essa si potesse in qualche modo prescindere.
Comunque, le chiacchiere stanno a zero, che lo si voglia o meno il rientro è rinviato a settembre. E di sorprese siamo sicuri ne avremo ancora, perché le rassicurazioni che il comitato scientifico ha dato non lasciano affatto sereni. Riduzione delle ore, mascherine, misurazione di temperatura…
Intanto a qualcuno, cioè alle associazioni di genitori di una ventina d’istituti comprensivi della città di Roma, l’idea che l’anno si chiuda senza neanche un saluto simbolico proprio non va giù. Per la verità, mentre loro avevano cominciato a ragionarci e a convocare le prime assemblee, rigorosamente virtuali, anche la viceministra Ascani si era espressa favorevolmente nei confronti di questa esigenza. Ma le resistenze non sono arretrate di un millimetro. Dalla Fratelli Bandiera, alla Giardinieri, dalla Salacone alla Di Donato avevano tentato in tutti i modi di coinvolgere docenti e dirigenti. Avevano sperato, anche in virtù del fatto che molti municipi si erano offerti di sostenere l’iniziativa garantendo volontari e l’impiego della Protezione civile, di poter riaprire anche se solo per un giorno la scuola. Purtroppo non c’è stato verso. Il peso della responsabilità, che già nella quotidiana vita scolastica paralizza qualsiasi decisione, in un momento di tensione come quello che stiamo vivendo è stato più che sufficiente a soffocare sul nascere qualsiasi ipotesi di collaborazione.
Siamo sempre lì. Nessuno ha voluto assumersi dei rischi e i ridottissimi margini si sono chiusi rapidamente, le trattative concluse con un nulla di fatto e anche gli insegnanti più intraprendenti sono rimasti bloccati da pressioni e condizionamenti. Chi conosce la scuola sa quanto un certo conformismo didattico inibisca e complichi il lavoro controcorrente. Parteciperanno a titolo personale gli insegnanti, ma si contano sulle dita di una mano. Peccato. Speriamo che il loro esempio serva da stimolo a chi questa volta ha preferito restare a guardare.
Intanto le associazioni coinvolte, dopo un paio di settimane di discussioni virtuali, da un piccolo nucleo iniziale sono aumentate e i territori che verranno attraversati da carovane di ragazzini saranno moltissimi, dal Quadraro a Centocelle, e poi Garbatella, San Lorenzo, Esquilino, Piazza Bologna.
Il comunicato approvato dall’assemblea insiste sul fatto che “il comitato di esperti ha rilasciato le sue indicazioni per la riapertura a settembre, ma al di là dei principi ciò che conta è come queste indicazioni verranno operativamente declinate da scuola ed enti locali. Siamo a giugno, i tempi sono strettissimi e forte è il timore che vengano recepite solo le indicazioni più facili e restrittive”.
Le proposte per la giornata dell’8 giugno saranno prevalentemente ludiche, dalle biciclettate alle foto di fine anno, ma non si escludono interventi più polemici come quello, proposto in assemblea, di lasciare sui cancelli delle scuole delle lettere redatte dai ragazzi stessi, con le idee, le richieste che vorrebbero veder realizzate alla riapertura a settembre.
Il dato più significativo del processo in corso è sicuramente l’emergere, dopo anni di sostanziale paralisi, di una reazione diffusa che sta spingendo nuovamente a ragionare su quello che la scuola potrebbe o dovrebbe essere. Un luogo dove formare cittadini o produttori-consumatori? Dove stimolare e sostenere l’acquisizione di strumenti critici per interpretare le realtà e possibilmente cambiarla, come sosterrebbe Rodari, o invece ricevere un sapere preconfezionato che cristallizzi le differenze di classe, di genere, di razza, perché le divisioni che attraversano la società rimangano lì dove sono e anzi continuino a funzionare per garantire alla classe dominante la propria posizione di privilegio?
Non tutti, è bene segnalarlo, ritengono utile aprire questo confronto. Nel documento dell’assemblea si legge che “le associazioni e i comitati di genitori di Roma prendono dunque la parola, per comunicare la loro idea di una scuola che – aprendosi creativamente al territorio e alla costruzione di reti ad alta densità educativa – sia in grado di dare vita a un modello di didattica in presenza che non escluda nessuno”. La scuola deve poter rispondere al bisogno di interazione dei più piccoli e un grande intervento di assorbimento di personale potrebbe garantire che finalmente si cominci a operare su piccoli gruppi, anche per consentire di cogliere nell’utilizzo delle nuove tecnologie gli aspetti più interessanti, per trovare negli spazi esterni alla scuola luoghi essenziali che oggi vengono disertati.
La scuola ha bisogno di essere ripensata. Ma non come vorrebbe l’Associazione nazionale dirigenti scolastici. Il documento da loro pubblicato qualche giorno fa, è emblematico di un disegno di progressivo accentramento delle funzioni decisionali nelle loro mani che va rigettato. Gli organi collegiali vanno sì riorganizzati ma per rendere più democratico il governo della scuola, non per liquidarli definitivamente. Inaccettabile è l’opinione dei dirigenti per i quali le competenze a essi attribuite sarebbero “anacronisticamente ferme alle disposizioni legislative emanate nel lontano 1974 e spesso in stridente contrasto con le prerogative dirigenziali”.
Le migliori riforme della scuola italiana, che nell’arco della storia recente ne hanno caratterizzato l’evoluzione, hanno bisogno di una profonda revisione, anche quella dei decreti delegati. Perché recuperino la loro funzione progressiva, che purtroppo si è esaurita in fretta. Basti pensare a quello che scriveva Alberto Alberti, storico della scuola del Movimento di cooperazione educativa: “I poteri di questi organi erano in verità del tutto modesti, limitati da formalismi e procedure e quasi sempre non decisionali. Tuttavia allora sembrarono di grande portata: aprivano una prospettiva e una direzione di lavoro. […] Fu un continuo insorgere di ostacoli e difficoltà e un esasperato formalismo giuridico, impedendo il pieno dispiegarsi della partecipazione popolare, portò a un progressivo spegnimento degli entusiasmi iniziali e della vitalità dei nuovi programmi”[2].
La scuola ha bisogno di ripensare il coinvolgimento degli attori sociali nella progettazione del suo funzionamento, ma non nella direzione segnalata dai dirigenti, piuttosto riscoprendo i valori che ispirarono l’emanazione di quei decreti delegati del 1974, affatto anacronistici e invece necessari alla costruzione di un futuro migliore di questo grigio presente. (giovanni castagno)
[1] Dewey J., Esperienza e educazione, Raffaello Cortina, Milano 2014.
[2] Alberti A., La scuola della Repubblica, Anicia, Roma, 2015
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