È stato approvato alla Camera, e attende ora di passare l’esame del Senato, il decreto 133/2014, meglio noto come Sblocca-Italia, provvedimento che si esprime su un vasto arco di materie – essenzialmente attraverso misure di deregolamentazione – quali la vendita del patrimonio immobiliare pubblico, gli interventi edilizi, la “valorizzazione” economica di beni comuni, la promozione delle Grandi Opere, degli impianti per l’incenerimento dei rifiuti, delle pratiche di trivellazione per l’estrazione di idrocarburi. Rispetto alla versione originaria del decreto spiccano alcune modifiche, di cui una riguarda da vicino la realtà napoletana: si tratta dell’intervento dello Sblocca-Italia su un altro provvedimento (il decreto Competitività) approvato due mesi fa, che sanciva la possibilità per i “soggetti inquinatori”, nell’ambito di operazioni di bonifica e riqualificazione delle aree urbane, di autocertificare il livello di contaminazione delle aree che loro stessi avranno il compito di disinquinare. Lo Sblocca-Italia – che elimina l’opportunità concessa alle regioni di intervenire in merito alla veridicità dei livelli asseriti dall’inquinatore – modifica insomma una norma che già riduceva all’osso le possibilità di controllo delle istituzioni sulle bonifiche, rafforzando ulteriormente la posizione di chi ha danneggiato il territorio, e lasciandogli la possibilità di decidere come e quando intervenire sullo stesso.
Non si registrano invece grosse variazioni nell’articolo dedicato a bonifica e rigenerazione urbana del “comprensorio Bagnoli-Coroglio”, un intervento su norme che nel corso degli anni, ad avviso di alcuni, avrebbero rallentato le operazioni di bonifica e vendita dei suoli, mentre per altri avrebbero costituito l’unico ostacolo capace di arginare le mire speculative e la disastrosa gestione delle operazioni, di cui anche la magistratura si è interessata e continua a interessarsi. L’articolo 33, in sostanza, è un elenco di deroghe e concessioni di cui il Commissario straordinario, nominato dal governo, avrà la possibilità di usufruire per portare a termine il proprio compito: da quelle che sottraggono alle regioni le competenze in materia urbanistica, fino a quelle sul Codice dell’ambiente, che svincolano il Commissario e il Soggetto attuatore dall’autorità del ministero, dovendo rispondere invece solo a quella del presidente del consiglio; da quelle sulla nomina dello stesso Soggetto attuatore (senza chiara procedura di evidenza pubblica) fino a quelle che favoriscono gli incrementi di cubature rispetto agli strumenti urbanistici vigenti; da quelle che indicono una semplice conferenza di servizi quale luogo deputato all’ascolto dei pareri e degli assensi previsti dalla legge sul piano (in caso di mancato accordo deciderà comunque il Consiglio dei ministri) fino a quelle che rendono carta straccia la Variante al piano regolatore del 1998 e il Piano urbanistico attuativo per Coroglio del 2005. I due provvedimenti, per intenderci, che garantivano la presenza di un parco verde di oltre cento ettari e di un litorale inedificabile da restituire alla balneazione, oltre che di un piccolo approdo per barche che viene invece sostituito (nella bozza del decreto lo si diceva esplicitamente) da un grande e inquinante porto turistico.
Si tratta, insomma, di concessioni che renderanno nulle le possibilità di controllo sulla bonifica e la riqualificazione dell’area ovest da parte di tutte quelle istituzioni che non siano il governo, che avoca a sé la guida e il controllo assoluto (detto per inciso, dalla dubbia costituzionalità) delle operazioni. Il rischio è l’inaugurazione di una stagione di speculazione finanziaria e immobiliare di enorme portata, guidata dai privati, che costituiranno parte integrante del Soggetto attuatore, oltre che, con buone probabilità, dagli stessi enti che hanno inquinato: è il caso di Fintecna, società erede dell’ex IRI, che in considerazione della scrittura del provvedimento si candida prepotentemente a svolgere questo ruolo. Una società che non ha mai completato le operazioni di bonifica che gli spettavano, ha venduto i suoli a BagnoliFutura ricevendo un acconto di dieci milioni di euro e che oggi ne pretende altri sessanta, pur essendosi recentemente rifiutata, nonostante un provvedimento emesso dal Comune, di rimuovere la colmata a mare (operazione che avrebbe avuto tempo e soldi per effettuare negli ultimi venti anni). Il tutto su un’area che non è quella di Interesse Nazionale definita nel 2014 – da “soli” duecentocinquanta ettari –, ma quella tracciata nel 2001 – dove gli ettari sono mille! – e che comprende, oltre ai terreni ex industriali, gli interi quartieri di Bagnoli, Cavalleggeri e la conca di Agnano, comprendenti aree pregiate già oggetto di mire speculative di vario genere, quali la collina di San Laise e il collegio Ciano.
In questo scenario, estromessa totalmente dalla partita e con l’atteggiamento tipico di chi non ha nulla da perdere, l’amministrazione comunale cerca di cavalcare l’onda delle proteste contro il decreto, che dopo una serie di iniziative culmineranno nella manifestazione del 7 novembre, prevista in concomitanza alla visita (pare annullata) di Renzi a Bagnoli. Senza troppa originalità, e senza il timore di cadere nel ridicolo, il sindaco ritorna a cercare una sponda nelle associazioni e nei movimenti cittadini, sfruttando furbescamente tutte le occasioni possibili per rinvigorire la sua nuova figura di Masaniello di strada, e presentandosi addirittura a un’assemblea pubblica organizzata, proprio a Bagnoli, dal movimento napoletano Anti Sblocca-Italia. In piazza va così in scena la solita pochade, con gli attivisti che incalzano su alcuni punti chiave (il ritiro della firma dal protocollo per la ricostruzione di Città della Scienza sul lato mare, e una serie di iniziative giuridiche che l’amministrazione dovrà mettere in atto per ostacolare lo Sblocca-Italia), mentre il primo cittadino promette a destra e a manca, sotto gli occhi compiaciuti di qualche dirigente di Rifondazione Comunista, esattamente come aveva fatto negli ultimi tre anni durante tutte le interlocuzioni (a vuoto) sul “tema Bagnoli”. È il caso, per esempio, dell’ex base Nato, per la quale de Magistris aveva garantito un utilizzo “sociale”, ma che rimane a tutt’oggi abbandonata, in splendida solitudine sulla collina di San Laise; è il caso, ancora più emblematico, della spiaggia pubblica, per la quale la giunta ha approvato persino una delibera, salvo poi sconfessarla firmando un protocollo che sancisce (sul litorale che avrebbe dovuto essere destinato alla balneazione) la ricostruzione del museo della scienza. Promesse, queste come tante altre, iniziate in campagna elettorale, che oggi come allora non costano nulla – anzi fruttano una bella vetrina – e impunemente vengono riproposte alle orecchie di chi si contenta di ascoltare sempre la solita musica, per poter dire, dopo l’ultima nota, che la chitarra è scordata da tempo. (riccardo rosa)
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