Per la prima volta dopo decenni, domenica 22 gennaio i cancelli della cosiddetta “Ex Pinetina” della fu area industriale di Bagnoli si apriranno agli abitanti del quartiere e della città. Non è un fatto inedito che i gruppi organizzati, i collettivi politici e le associazioni promuovano l’ingresso dei bagnolesi sui terreni della ex fabbrica, ma è la prima volta che come Osservatorio popolare sulle bonifiche abbiamo ottenuto ufficialmente da Invitalia – ente che si sta occupando della bonifica dell’area – la possibilità di un vero e proprio “open day”, a chiusura della settimana di eventi organizzati nel decimo anniversario di occupazione della Casa del popolo-Villa Medusa. Non si tratta tuttavia di un momento di arrivo, ma di partenza: è evidente infatti che il cronoprogramma proposto da Invitalia su bonifica e riqualificazione del Sito di Interesse Nazionale Bagnoli-Coroglio registra, anche questa volta, notevoli ritardi.
Il piano fu presentato da Invitalia nel luglio 2017, al momento della firma dell’accordo interistituzionale tra comune, regione e governo nazionale, ma pur recependo alcuni elementi importanti delle battaglie sui territori degli anni precedenti, presentava numerosi vulnus, rimasti tuttora irrisolti. I più consistenti riguardano il destino degli abitanti del borgo di Coroglio, la rimozione della colmata e in qualche modo l’intero ripristino della linea di costa, questione centrale del piano di rigenerazione urbana, che prevede la nascita di una spiaggia pubblica sull’intero litorale che va da Nisida a Bagnoli, ma che viene ancora, a distanza di anni, messa in discussione da imprenditori e realtà del territorio che gestiscono attività sul lato mare, e persino da attori istituzionali come il sub-commissario Falconio.
Due altri elementi irrisolti riguardano lo sviluppo di una rete di trasporto pubblico locale (con l’implementazione necessaria a connettere il futuro parco e la spiaggia a Bagnoli e alla città) nonché la modernizzazione e messa in funzione del collettore Arena-Sant’Antonio, da cui dipende la balneabilità di tutto il litorale.
L’esistenza di problematiche di questo genere, tutt’altro che secondarie, è eredità del clima di tensione e confusione che ha accompagnato la scrittura del Praru (Programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana), un compromesso tra le spinte che arrivavano dai comitati di lotta e gli interessi amministrativi e politici degli attori istituzionali dell’epoca: la giunta comunale de Magistris, quella regionale di De Luca e i due governi, Renzi e poi Gentiloni.
Da questo punto di vista è emblematico il caso del collettore, un’opera idraulica resa da tempo necessaria dalla crescita numerica degli abitanti dei quartieri occidentali e collinari, aree prive di un adeguato sistema di gestione dei flussi che, in caso di forti piogge (come ormai di consueto a causa del cambiamento climatico), provocano esondazioni fognarie che mettono a rischio viabilità e vivibilità delle strade e del mare – gli ultimi casi, avvenuti in estate e in autunno del 2022, hanno portato a ripetuti allagamenti a Bagnoli e all’emergere, anche nell’area del Parco Marittimo della Gaiola, di cadaveri di ratti e di escrementi sullo specchio d’acqua. Un intervento sull’efficienza del collettore non ha specificamente a che fare con la riqualifica del SIN, ma è piuttosto un affare che le amministrazioni locali (in questo caso il comune di Napoli e la regione Campania) si rifiutano di affrontare in un perenne rimpallo di responsabilità, tanto da averlo escluso persino dagli interventi necessari alla rigenerazione di un territorio che invece propagandano come futuro nucleo di attrazione turistica. Faticosamente, ancora una volta grazie alle spinte del territorio, la questione sembra stia arrivando all’attenzione dei gestori del piano.
LE BONIFICHE
Al netto dei ritardi e delle storture che rischiano di compromettere l’efficacia del piano, c’è da riconoscere al soggetto attuatore che almeno il processo di bonifica dell’amianto è stato a oggi completato. Affidato ed eseguito dalla società Teorema Spa, che ha provveduto a effettuare lo smaltimento del materiale coibentato presso gli stabilimenti di Pordenone, la bonifica dell’amianto ha richiesto l’impiego di consistenti livelli di manodopera specializzata. Manodopera che è stata reclutata con gran difficoltà, se si considera che l’azienda ha pubblicato, nell’estate del 2019, una serie di annunci, e che la struttura commissariale ha ripetutamente richiesto agli abitanti e alle realtà più attive sul territorio di segnalare eventuali figure già formate da impiegare. In questo senso, una riflessione andrebbe aperta sulla mancanza di coordinamento tra il soggetto attuatore, la struttura commissariale e i ministeri che si occupano dei percorsi di formazione-lavoro, considerando per esempio le annose e irrisolte questioni che riguardano le platee di disoccupati storici della città.
La conclusione dei lavori di bonifica dell’amianto – che ha richiesto sei mesi in più rispetto alla tabella di marcia, a causa del ritrovamento di materiale non trattato e non segnalato – è stata accompagnata da una raffica di bandi inerenti la manutenzione del perimetro del SIN, il ripristino di reti (elettriche e idriche) e, infine, gli interventi sul lotto 2 (area “Fondiarie”) e sul Parco dello Sport. La scelta di bonificare l’area procedendo per lotti è ascrivibile a diverse motivazioni, non ultima la possibilità di riconsegnare alla città, progressivamente, le zone via via bonificate, ed evitare che si verifichino casi di abbandono e deterioramento delle aree. Una scelta condivisibile che rischia però, nel caso di eventuali nuovi stop, di creare una bonifica “a singhiozzo”.
Il lotto 2 “Fondiarie” e il Parco dello Sport dovrebbero costituire i prossimi passi del processo di bonifica. Nel secondo caso l’obiettivo dichiarato da Invitalia è quello di una “rifunzionalizzazione” volta a ripristinare lo stato dei luoghi e a modificare gli spazi che si ritengono scarsamente “utilizzabili” (leggasi profittevoli). Molte realtà del territorio e gruppi di abitanti del quartiere di Cavalleggeri – il più vicino al Parco dello Sport – denunciano il rischio che possa ripetersi la storia del Centro Universitario Sportivo di via Campegna, un complesso che solo in teoria rende lo sport più accessibile, mentre nella pratica contribuisce a una sua privatizzazione coatta. Il pericolo relativo alla contaminazione dei terreni sembra essere stato invece ridimensionato dalle perizie effettuate a seguito del fallimento di Bagnoli Futura e del relativo processo per disastro ambientale: il Parco dello Sport sorge infatti su aree che erano utilizzate come parcheggi e non è stato realizzato, a differenza della colmata, riciclando loppa e altri materiali di scarto. Piuttosto, l’area potrebbe essere parzialmente inquinata dalla presenza di rifiuti urbani e, soprattutto, dagli opachi interventi della Stu Bagnoli Futura riconducibili alla mancata bonifica dei primi anni Dieci. Sarà necessaria, da questo punto di vista, un’opera continua di monitoraggio da parte delle realtà attive nel territorio, per evitare che si commettano ancora una volta – in buona o cattiva fede – gli stessi errori.
Per il lotto 2 “Fondiarie”, invece, si parla di una bonifica vera e propria, con un processo allo stato inedito. La scelta di Invitalia è quella di effettuare i lavori con un ampio movimento terra, associato all’uso di tecnologie già sperimentate (come il “soil washing”). Entrambi i bandi presentano alcuni elementi che vanno in direzione delle “clausole sociali”, voci che si rifanno alle normative europee in materia di occupazione di soggetti fragili del territorio, ma che appaiono nel caso specifico insoddisfacenti in termini numerici di reclutamento della forza lavoro. L’attuale forma delle clausole sociali presenta un altro rischio: operare a valle dell’assegnazione del bando, lasciando ai rapporti di forza tra lavoratori, sindacati confederali e ditta vincitrice la loro applicazione effettiva, con il conseguente pericolo che questi processi si traducano in mercimoni sotterranei e dinamiche clientelari (cosa che sarebbe non nuova, se si guarda ai trent’anni di gestione dell’area ex industriale e alle varie società susseguitesi). Ancora una volta, è alle realtà territoriali che spetta il gravoso compito di dirimere una questione assai rischiosa.
LA STRUTTURA COMMISSARIALE
Elemento centrale nel processo in atto è la recente ristrutturazione della struttura commissariale, che cela in realtà uno sfasamento preoccupante tra le intenzioni politiche e gli atti amministrativi. Paradossalmente, però, il repentino cambio di governo e delle figure apicali di Invitalia, stanno spingendo la struttura commissariale a cercare con più insistenza alleati sul territorio, chiedendo proprio agli attivisti dell’Osservatorio (riconosciuto ufficialmente già da anni come interlocutore) di farsi collettore e rappresentante delle istanze dei cittadini.
Al contempo, il “rumore bianco” che da sempre accompagna la questione di Bagnoli aumenta parallelamente al numero degli attori istituzionali interessati: il sindaco (commissario quasi pro-forma), i due sub-commissari, il nutrito numero di dirigenti al loro servizio. Un’abbondanza di risorse umane e una preoccupante eterogeneità di posizioni politiche che permette per esempio ai media, sempre affamati di titoli a effetto sulla questione Bagnoli, di trovare terreno fertile per interviste, dichiarazioni e disquisizioni di vario genere che appaiono più riflessioni ad alta voce che reali proposte, ma che hanno l’effetto di destabilizzare i processi in atto.
È pur vero che la recente revisione dell’articolo 33 del decreto SbloccaItalia (che ha permesso il riconoscimento del ruolo di commissario governativo al sindaco di Napoli) ha segnato un’inversione di tendenza rispetto al passato. La modifica ha infatti aperto la possibilità di intervenire sugli aspetti più nefasti del DL 133/2014 e in particolare sulla proprietà dei suoli e sui cosiddetti “Bagnoli bonds”: la proprietà dei suoli del SIN è stata infatti alterata con lo SbloccaItalia, che ha portato a una “requisizione” degli stessi dal Comune a Invitalia. Effettuate le bonifiche, la legge prevede che questi suoli tornino proprietà dell’ente locale, non prima però che Invitalia emetta dei bonds finanziari legati al valore dei terreni senza inquinamento. L’influenza di questi strumenti sul futuro sviluppo dell’area non è chiara, ma il rischio di una privatizzazione o di altre giravolte economiche è tangibile e preoccupa non poco.
Allo stato attuale gli obiettivi dell’Osservatorio sono quelli di un’intesa sull’implementazione delle clausole sociali, del riconoscimento di un ruolo di monitoraggio nel processo di bonifica a terra e di una progressiva apertura ai cittadini delle aree bonificate o non inquinate, attraverso una calendarizzazione di periodiche visite guidate. Se l’area amministrativa della struttura commissariale sembra da questo punto di vista recettiva rispetto alle proposte dell’Osservatorio, e ha cercato di ottemperare a parte delle richieste (anche ammettendo la propria inesperienza su alcuni aspetti, come la possibilità di utilizzare i GOL – Garanzia Occupabilità Lavoratori – per l’implementazione delle clausole sociali e la realizzazione delle visite guidate attraverso un percorso per scuole e abitanti), la gestione politica appare essere meno reattiva. I due sub-commissari, nelle poche uscite fatte finora, hanno testimoniato una preoccupante differenza di vedute su alcuni punti cardine, posizioni che prevedono talvolta revisioni agli accordi in essere. Un atteggiamento che, al di là del rischio di pregiudicare gli aspetti positivi contenuti nell’accordo interistituzionale e nel Praru, rischia di bloccare progetti già parzialmente avviati, compreso quello di bonifica. Una situazione aggravata dalle ambigue posizioni dell’attuale governo che, dopo la bagarre tra i ministri Musumeci e Fitto, non sembra aver mai messo la testa sullo stanziamento delle ulteriori risorse necessarie per gli interventi sul SIN. (osservatorio popolare bagnoli)
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