Tra i manifestanti del corteo partito sabato pomeriggio da via Larga a Milano ci sono lavoratori e lavoratrici, studenti, precari, migranti, volontarie e volontari delle brigate di solidarietà nate durante l’emergenza sanitaria. Una delegazione, nel corso del corteo, è riuscita a piazzare uno striscione nei pressi del palazzo di Assolombarda: “Assassini”, era scritto. Le organizzazioni sindacali Adl Cobas, Si Cobas, Sial Cobas e la Camera del non lavoro hanno organizzato la manifestazione in contemporanea con le altre in Italia, sulla scia di un patto d’azione nato dopo diversi momenti di confronto nazionale. Nel corteo erano presenti i lavoratori impiegati presso lo stabilimento FedEx TNT di Peschiera Borromeo. Qui raccontiamo la loro vicenda: un mese fa sono stati sospesi dal lavoro e s’allunga l’ombra del licenziamento.
Il 3 maggio i cento lavoratori hanno ricevuto una lettera da parte dell’azienda dove s’annuncia la sospensione. Di questi, trenta hanno un contratto a tempo indeterminato con TNT. Gli altri sessantasei sono lavoratori interinali Adecco che avevano ottenuto un accordo per l’assunzione diretta da parte di TNT. L’accordo – stretto tra i rappresentanti della società TNT Global Express e i delegati Si Cobas – risale al 6 marzo e prevede l’assunzione degli interinali entro il 2 maggio, con un contratto a tempo indeterminato. I lavoratori hanno occupato i magazzini di Peschiera Borromeo la notte del 3 maggio e hanno impedito lo smistamento delle merci. Dopo due notti di presidio sono giunte camionette di esercito, polizia e carabinieri: con gli scudi alzati hanno sgomberato.
Il 6 maggio è stato organizzato un altro blocco a San Giuliano Milanese, presso il magazzino della Zampieri Holding dove TNT dirige il traffico delle merci. Il blocco è durato fino al mattino con file di mezzi fermi in attesa dinanzi ai cancelli. I lavoratori hanno smobilitato soltanto quando sono arrivati gli agenti in borghese affiancati dalle camionette. Raccontava K. due giorni dopo: «Abbiamo saputo da chi lavora nelle ditte servite da TNT che quest’ultima ha annullato le consegne: questi di TNT sono nella merda per i nostri blocchi. Stanno cercando di mandare la merce nei piccoli magazzini dove non ci sono iscritti al nostro sindacato. Sono nella merda perché abbiamo bloccato in tutta Italia, non solo a Milano, fino a Napoli, Firenze, Bologna, Piacenza, Modena, Vicenza. Tutte le filiali di TNT sono ferme. Loro stanno cercando di tagliare le teste agli iscritti ai sindacati. Stanno buttando fuori cento famiglie». La lotta a Peschiera Borromeo avveniva in concerto con le proteste e gli scioperi dei lavoratori in tutta Italia – era l’alba della fase due.
Dopo le lotte di inizio maggio le trattative sono andate male e il conflitto si è riacceso. A. è uno dei lavoratori interinali che hanno stretto l’accordo con TNT, ed è un delegato sindacale. Ha raccontato il 4 giugno: «Stanotte abbiamo bloccato i magazzini di Peschiera Borromeo. Sono due magazzini, uno nazionale e uno internazionale. Abbiamo bloccato sia ieri che l’altro ieri. Abbiamo fermato i camion sia in entrata che in uscita, con l’arrivo delle forze dell’ordine siamo andati via. Blocchiamo di notte perché è più difficile per la polizia organizzarsi. Stamattina siamo andati via noi, però l’altro ieri c’erano la Digos e i carabinieri tutta la notte e poi la mattina sono arrivate le camionette. Ora i padroni offrono dei soldi, questa è la loro mossa: propongono quarantamila euro lordi a testa per mandare via le persone. Per adesso non considerano la possibilità di farci tornare a lavorare. Stanno cercando di comprare i lavoratori. Dicono: “Se accettate adesso sono quarantamila, se passa il 12 giugno sono venticinquemila”. Cercano di dividerci, ma la maggior parte dei lavoratori non vuole andare, ci tiene al posto di lavoro, e così continuiamo a scioperare. Adesso siamo ripartiti e sono tre serate che stiamo bloccando. La prima serata a San Giuliano, presso un magazzino che ha comprato la TNT, si chiama Zampieri. Poi il giorno dopo hanno portato cinquanta guardie private a San Giuliano, là portano i bodyguard, così non siamo più andati e abbiamo fatto due serate di seguito a Peschiera Borromeo».
Il giorno dopo, la sera del 5 giugno, A. ha continuato il suo racconto: «Domani abbiamo la manifestazione a Milano. Non abbiamo ricevuto alcuna cassa integrazione, siamo a casa. Loro dicono che licenziano perché non hanno merce, non hanno volume, ma noi sappiamo che non è così. Stanno deviando la merce da altre parti, addirittura stanno facendo investimenti in altri magazzini. Secondo me vogliono scaricare tutto sui lavoratori per abbassare il costo del lavoro. Se non avessero voluto arrivare a questo, avrebbero potuto fare la cassa integrazione, far ruotare i lavoratori, fare degli accordi. Ma loro vogliono tagliare il costo del lavoro: togliere acqua sporca per mettere acqua pulita. Far entrare persone con contratti più brevi, come l’usa e getta. Inoltre questi lavoratori sono vecchi, hanno un premio di millecinquecento euro all’anno, hanno stipendi più alti, hanno scatti di anzianità. Allora vogliono portare gente che magari non si lamenta, oppure che non è iscritta ai sindacati. Certo, cercano anche di spaccare i gruppi del sindacato. Oggi abbiamo ricevuto una lettera di licenziamento per un nostro collega delegato, abbiamo anche quattro sospesi per dieci giorni perché sono stati con noi. Da una parte vogliono flessibilità sul lavoro, dall’altra vogliono smantellare la rete di lavoratori sindacalizzati. Lunedì [8 giugno] abbiamo l’assemblea nazionale e decideremo se fare uno sciopero nazionale. Possiamo fare male se siamo uniti a livello nazionale». E così abbiamo ritrovato A. e gli altri il giorno dopo in piazza Duomo, dove finiva il corteo di Milano.
“Continuiamo a spedire”. È la prima frase a lettere cubitali che si legge non appena si apre il sito della TNT, acronimo che sta per Thomas Nationwide Transport – tutto iniziò con un solo camion di proprietà dell’imprenditore australiano Ken Thomas. Oggi TNT è un operatore logistico internazionale acquisito nel 2015 dal colosso americano FedEx. L’ordine dei licenziamenti potrebbe essere partito proprio dall’azienda leader nel mercato globale delle spedizioni con sede a Memphis, Tennessee. Già a partire dal 2018 FedEx aveva annunciato un piano di ristrutturazione e licenziamenti in Italia con la chiusura di ventiquattro filiali su trentaquattro. Se volessimo mappare la struttura societaria, le divisioni organizzative, l’organigramma, le fusioni e le acquisizioni avvenute nel corso degli anni, potremmo perderci nei meandri di informazioni contraddittorie. Possiamo, al momento, restringere lo sguardo sui punti di frizione locali e raccogliere le testimonianze di una lotta che può proseguire e infiammarsi ancora, soprattutto in caso di sciopero nazionale del settore. (andrea bottalico / francesco migliaccio)
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