Sono passati tredici anni dalla prima edizione del Tarantella Power di Caulonia. Fu nel 1999: le piazze dei paesi calabresi ricominciarono lentamente a riempirsi di tamburelli, che fino ad allora sembravano relegati in feste tradizionali sempre più osteggiate; agli stanchi dibattiti sul calcio, o sulla cronaca nera, iniziarono ad affiancarsi discussioni inusuali sulle differenze tra una zampogna a paru costruita a Gallicianò e una surdulina modificata da un giovane di Laino Borgo. A quel tempo mi sembrava che stessimo realizzando un sogno: ai giorni di festa e di concerti dell’estate si affiancavano laboratori e seminari in primavera e in autunno, che portavano ragazzi di altre parti d’Italia in contatto con il mondo delle tradizioni popolari calabresi, nei corsi di etnofotografia, di danza, di costruzione degli strumenti. Il tentativo di valorizzare i saperi locali si inseriva nel nuovo “folk revival” anni Novanta, che insieme sembrava contenere implicita la possibilità di salvare, o di riempire temporaneamente di vita, i borghi semi-abbandonati della Calabria, fino ad allora esposti all’emigrazione e alla criminalità.
In breve, però, il successo del festival, come di quelli che cominciarono a organizzarsi in altri piccoli comuni, attirò l’attenzione dei poteri forti dei territori interessati. Alla sua decima edizione, il Tarantella Power fu cooptato da una serie di personaggi interni ed esterni all’amministrazione comunale di Caulonia, estromettendo l’associazione che aveva inventato il festival stesso, cambiando leggermente il nome della festa per non violare il copyright ma per mantenere la fama, e gestendo a suo piacimento gli oltre centomila euro erogati da Regione e Provincia. Stavano girando troppi soldi in una zona troppo povera per poterli ricevere con dignità: le tarantelle erano diventate un business, di cui si approfittavano politici e commercianti locali, e giù per tutti i gradini delle ripide scale sociali dei paesi, fino ai residenti che tiravano fuori le griglie per arrostire salsicce e pancetta da vendere ai turisti del nuovo “folk revival”. Sciami di “taranta-revolution-etno-pizzica-lira-battente-danza-cu-lu-ventu-e-cu-lu-mare” si esibivano nelle varie piazze di paesi e città della Calabria, da Reggio Calabria ad Alessandria del Carretto, davanti a pubblici indifferenti all’omogeneizzazione sempre più evidente di tutti i festival, ormai convertite in “folk-trash- revival” ripetitivi e commercializzati.
A volte sognavo di inventare una sostanza che, spruzzata nell’aria, riuscisse a dissolvere tutti i tamburelli delle varie piazze. Sarebbe bastato forse evitare di frequentare i folkfestival, risolvendo così anche il problema di fare sempre la parte di quello che critica a tutti i costi. Ma quando stare zitti produce atteggiamenti accidiosi che danneggiano la comunità, senza dubbio è meglio agire. Perché nel frattempo, in Calabria, sono arrivati anche i soldi per i migranti. Le amministrazioni di tanti comuni, forti del mito dell’”ospitalità mediterranea”, hanno ottenuto la possibilità di impiantare sul loro territorio dei centri di raccolta per richiedenti asilo – CPA, CARA, CPT – ricevendo i rispettivi fondi per la gestione dell’emergenza. Come le tarantelle, queste sono nuove fonti di reddito non indifferenti per delle economie sostanzialmente impoverite. Naturalmente i migranti non ricevono che poche briciole di questi fondi, che invece le amministrazioni gestiscono con sistemi feudali. Un esempio di questa malversazione lo abbiamo visto proprio quest’anno, e proprio a Caulonia, la patria del Tarantella Power (oggi migrato a Badolato).
La nuova giunta di questo borgo medievale e disabitato della costa Jonica, ansiosa di dimostrare alla cittadinanza di avere le capacità necessarie per organizzare il festival, il cui nuovo nome è “Kaulonia Tarantella Festival”, ne ha nominato come direttore artistico Mimmo Cavallaro, folksinger nonché dipendente comunale. Ma fino agli ultimi giorni prima della festa non ha comunicato con quali soldi prevedeva di finanziare l’evento, anche se molti sanno che i progetti presentati dal comune per il festival negli ultimi due anni sono stati sistematicamente bocciati. Un comunicato estivo dell’amministrazione annuncia che, pur di non rinunciare al festival, il comune è disposto a impiegare fondi propri: “l’indennità di funzione del sindaco, degli assessori e del presidente del consiglio, a partire dal mese di luglio e per i mesi successivi”. Fantastico, penso io, finalmente eviteranno di spendere soldi in stupidaggini, visto che pagheranno di tasca propria i saltimbanchi che si esibiranno sul palco.
Ma il mio entusiasmo è presto raggelato. Così come il comune di Caulonia pagherà con fondi propri il concerto di Teresa de Sio del 22 agosto, la Compagnia Nuove Indye (CNI) di Roma, incaricata della gestione della festa, per il 23 ha in programma il concerto del musicista marocchino Nour Eddine Fatty. La serata, dal titolo “Caulonia incontra il mondo”, si presenta come un omaggio un bel po’ generico alla primavera araba: che così può proporsi in qualche modo legata al tema dei migranti e dei richiedenti asilo. Per farla breve: i soldi per pagare Nour Eddine vengono presi nientemeno che dai finanziamenti della “Rete Comuni Solidali”, e più precisamente, dai fondi stanziati dalla Protezione civile per i servizi di intrattenimento a favore dei migranti, gli “ospiti” del CPA di Caulonia, per i quali il Comune già percepisce dei contributi non indifferenti. Centinaia di richiedenti asilo – afghani, palestinesi, tunisini, subsahariani – le cui giornate trascorrono nel nulla più assoluto (essendo loro proibito lavorare e difficile il contatto con gli autoctoni) si sarebbero visti sottrarre migliaia di euro per questo concerto dedicato, con malcelata ironia, alla primavera araba. (il documento è la delibera di giunta n° 205 del 20/08/2012, approvata tre giorni prima del concerto).
È allora che intervengono (come nella primavera araba) i “social network”. La notizia viene pubblicata e diffusa su Facebook, viene messa al corrente gente che si occupa dell’accoglienza ai migranti. Insomma, si cerca di sollevare un polverone. Il giorno dopo (il 22 agosto) vado a Caulonia. Il festival prevede un “seminario” proprio nella centralissima piazza Mese, in cui due importanti rappresentanti dell’etnografia calabrese – i professori Vito Teti e Luigi Maria Lombardi Satriani – discutono di tarante, briganti e “identità calabrese” insieme all’ex sindaco di Caulonia, Ilario Ammendola. Si tratta di uno dei soliti minestroni teorici che accontentano tutti, e che permettono di ammantare di serietà accademica il concerto di gruppi di “musica etnica calabrese”, l’uno fotocopia dell’altro. Gli applausi contribuiscono a soffocare la flebile voce discordante dell’evento, la mia, che cercava di sensibilizzare questi grandi nomi dell’antropologia locale a prendere atto dell’urgenza della situazione, distogliendoli da temi che tredici anni fa erano stati fondamentali, come l’accordatura tradizionale degli strumenti popolari.
Nonostante il silenzio a caldo, inaspettatamente il giorno dopo l’accaduto viene riportato sul quotidiano Calabria Ora, accompagnato dalla dichiarazione di un responsabile locale della Rete dei Comuni Solidali, che esprime il proprio dissenso verso il dirottamento dei fondi. Poche ore prima del concerto ricevo un sms: “delibera ritirata!”. Sul sito dell’amministrazione comunale di Caulonia trovo la nuova delibera, che recita: “il fondo stanziato dalla Protezione civile per i servizi di intrattenimento a favore dei migranti […] non può essere utilizzato nella voce intrattenimenti per l’intervento musicale dell’artista Noureddine”. Il sindaco conclude la vicenda affermando con imbarazzo che comunque non avrebbero preso più di mille euro dai fondi per i richiedenti asilo. Il concerto può avere inizio. I migranti, saranno in piazza a vedere Nour Eddine? Avranno saputo che finalmente sono stati salvati i “loro” soldi? Non sarà certo la Protezione civile a interessarsi della loro opinione, né l’amministrazione comunale di “Kaulonia”. (angelo maggio)
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