A Milano, la città dove i riflettori non si spengono mai, ogni quartiere sembra costretto a possedere una propria anima e nessuna periferia può più restare desolata. In questa costellazione di quartieri tipici, Ortica e Lambrate vogliono essere tante cose. In tre puntate (qui la prima e la seconda) cercheremo di scavalcare i numerosi muri che si alzano in questa zona e di capire perché proprio qui stanno in piedi. Fabbriche abbandonate, microcosmi creativi, gabbie per persone senza documenti, lussuose residenze, tantissimi binari, aree vuote per l’uomo ma rigogliose per la natura, sono i protagonisti di questo paesaggio urbano e del nostro racconto.
È una giornata soleggiata. Siamo in Argonne nel parco al centro del viale, il Central Park di Acquabella, appena riaperto; c’è un’aria di festa, oggi si inaugura la M4, la metro blu che per prima collegherà Milano da est a ovest. Oltre al sindaco Sala, sono attesi il governatore della regione Lombardia Fontana e il ministro delle infrastrutture Salvini. Il logo di Webuild, ex Salini Impregilo, compare letteralmente ovunque, anche sulle staccionate dei parchi giochi per bambini. Le varie realtà della società civile sono presenti al gran completo, estremamente grate che anche questo pezzo di città abbia un collegamento rapido con il centro. Non manca neppure qualche contestazione al ministro Salvini e ad altri membri del Partito democratico per denunciare che a pochi chilometri di distanza si trova una gabbia per persone senza documenti. Ci ritroviamo immersi in una geografia umana del tutto significativa: i soggetti qui presenti ben raffigurano i diversi tasselli del complesso mosaico che in queste settimane abbiamo provato a ricostruire, ossia l’ecosistema che ruota intorno ai quartieri di Ortica e Lambrate-Rubattino.
Riavvolgiamo il nastro di qualche settimana, siamo nella “week” organizzata dal Comune dedicata alla riqualificazione urbana di alcune delle aree più attenzionate della città. Il Forum Rigenerazione Urbana, oltre a presunti workshop e conferenze pompose, prevede dei tour in alcuni quartieri economicamente attrattivi, come Porta Vittoria-Ex Macello o Bovisa. Il primo di questi itinerari attraversa la zona di Rubattino, attualmente al centro di un insieme di investimenti, che abbiamo provato a raccontare nella prima puntata.
I progetti su cui si sofferma la passeggiata sono quelli di maggiore impatto e a lungo termine, da realizzarsi nel prossimo decennio: la riqualifica dello scalo di Lambrate e la conversione dell’area ex Innocenti, compresa tra via Rubattino e via Caduti di Marcinelle. Qui sorgeranno la Magnifica Fabbrica, ossia i futuri laboratori del teatro la Scala, e un nuovo hub della logistica, opera di Hines in partnership con Allianz Real Estate.
La riqualificazione dell’ex scalo ferroviario di Lambrate, invece, è stata assegnata tramite il bando Reinventing cities, opera della rete globale C40, a una cordata di società guidata dalla Caputo Partnership International, noto attore nell’urbanistica di lusso milanese, e del quale abbiamo già accennato per quando riguarda l’area ex De Nora, poco distante dallo scalo. L’operazione interesserà un’area di sette ettari, sulla quale sorgeranno nuove aree verdi insieme a diversi appartamenti, sia in cohousing che in affitto e vendita sul libero mercato. Infine, solo una minima parte del residenziale sarà destinata al canone concordato, seguendo il consueto schema secondo cui l’Erc è una sorta di premio di consolazione. Infatti, la maggior parte dei metri quadri saranno destinati al libero mercato, mentre dietro alla presunta inclusività del social housing si celano precisi vincoli che rendono ancora più inaccessibile il mercato immobiliare a persone precarizzate.
Alla passeggiata partecipano circa cinquanta persone, di varie età, alcune di loro potrebbero essere senza dubbio potenziali acquirenti in futuro. Vi è un clima di soddisfazione verso l’iniziativa e ciò che stanno osservando, o meglio, immaginando, perché è ancora tutto in divenire, per adesso ci sono solo cantieri e aree abbandonate. Questa euforia collettiva non viene smorzata neppure quando un abitante della zona, che chiameremo Giuseppe, fa notare come i lavori di rigenerazione dello Scalo avranno un impatto negativo sulle vecchie case dei ferrovieri in via Crespi, dove lui abita, le quali sono già accerchiate dalle torri di East Garden. Inoltre, fa notare come loro abitanti abbiano in gestione da cinquant’anni un’area verde che verrà distrutta per far posto al progetto. Noi assistiamo attenti e sorridiamo amaro: sradicano delle piante già presenti per fare spazio a dei nuovi giardini. Per carità, nascerà pure una muragliata con alcune poesie e opere artistiche impresse, però forse ci sfugge qualcosa.
Proseguiamo la passeggiata. La seconda tappa è l’ex Innocenti, subito oltre il cavalcavia della tangenziale est e del parco della Lambretta. Anche qui l’appalto è stato assegnato tramite un concorso internazionale, stavolta finanziato con fondi pubblici. L’obiettivo è quello di dislocare gli uffici e i laboratori della Scala dal centro città, dove si trovano attualmente, per riconvertire il vecchio scheletro industriale dell’Innocenti a polo culturale e parco pubblico di settanta ettari. Si chiamerà Magnifica Fabbrica e i costi complessivi dell’opera sono stimati intorno ai centoventi milioni di euro. I fondi per la manutenzione del parco, invece, non si sa ancora dove saranno reperiti, l’assessore Tancredi accenna che spera sarà direttamente la Scala a occuparsene. Anche qui le zone verdi e la manutenzione ordinaria sembrano più un impiccio che altro, d’altronde Milano ha un triste record in materia di alberi morti: nel 2022 sono morte 14 mila piante e il quarantaquattro per cento degli impianti di irrigazione presenti nella città è guasto.
Tornando all’incontro, l’attenzione si focalizza sulla banchina sopraelevata che attraverserà la fabbrica permettendo di passeggiare immersi nel verde, ammirando i laboratori con le scenografie e i costumi del celebre teatro. A sentirne parlare con questi toni evocativi viene in mente la High Line di New York, il parco sopraelevato celebrato in tutto il mondo, sorto su un’area ferroviaria in disuso. Uno spazio prettamente elitario, destinato a chi gode di un privilegio spaziale, ossia quello di poter occupare e attraversare lo spazio urbano con il proprio corpo. Un parco che ha fatto letteralmente esplodere i prezzi degli immobili e dei prodotti nell’area circostante, espellendo i residenti storici della zona.
Tornando all’ex Innocenti, nei discorsi di presentazione del progetto non si accenna al fatto che quest’area post-industriale non è esclusivamente suolo pubblico, difatti oltre ai 180 mila metri quadri di proprietà comunale vi sono altri 110 mila metri quadri privati. Questo enorme lotto di terreno è stato acquistato ad aprile 2022 da Hines insieme ad Allianz Real Estate, a fronte di un investimento di ottanta milioni di euro; il progetto prevede la costruzione di un polo della logistica che mira a diventare la struttura last mile più grande d’Italia. Il tutto reso possibile grazie ai numerosi collegamenti infrastrutturali presenti nella zona, pertanto è facilmente intuibile come ciò potrebbe scatenare un incremento smisurato del trasporto su gomma, in un’area già profondamente congestionata e con problemi irrisolti di viabilità.
Dunque, i concetti portanti intorno ai quali si gioca la produzione materiale e simbolica dell’immagine del quartiere sono natura e cultura. Due concetti praticamente inattaccabili dal punto di vista mediatico, ma che celano un’infinità di implicazioni semantiche, e che applicate al Modello Milano significano rispettivamente costruire e brandizzare. La veste “green” dei nuovi progetti edilizi e la portata culturale delle opere di abbellimento del quartiere mettono d’accordo tutti: i palazzinari, l’associazionismo e le istituzioni presenti in zona. L’obiettivo è quello di far uscire la periferia dall’anonimato e consegnarle un’anima spendibile nel sistema di messa a valore dei quartieri milanesi.
A tal proposito, l’inaugurazione del murale in occasione del settantesimo anniversario del film Miracolo a Milano, regia di Vittorio De Sica e girato proprio a Lambrate, va esattamente in questa direzione. Il giorno della cerimonia ci sono proprio tutti: Municipalità di zona, Comune, Regione, Fondazione Cariplo che ha sovvenzionato il progetto, il circolo Acli che l’ha ideato, il Consorzio cooperative lavoratori a esso legato, i membri dell’associazionismo locale e, infine, una prorettrice dell’Università di Milano. “Con l’unione di tutti ce l’abbiamo fatta, il miracolo si è avverato”, affermano all’unisono i presenti. La memoria storica di cui si fanno portavoce viene totalmente piegata a scopi politici e propagandistici per esporre – secondo quella che sicuramente diventerà una nuova parola d’ordine del Modello Milano – il quartiere di Lambrate come un “museo urbano diffuso” e ricalcando l’idea di quartiere-museo nato all’Ortica a partire dai primi murales realizzati nel 2015.
Lo scopo dichiarato del murale è quello di “sviluppare l’identità di quartiere e il senso di appartenenza”. Per questo, si rievoca la storia del miracolo economico, di cui non viene raccontato proprio nulla e in tutta la giornata si riesce a non pronunciare mai le parole migrazioni e povertà, ossia i veri protagonisti del film e di quegli anni. La stessa censura sul titolo inizialmente proposto per il film, I poveri disturbano, si estende oggi a ogni racconto degno di figurare nello spazio delle rappresentazioni. Tutti si concentrano piuttosto sul carattere “fiabesco” del film e sul fatto che la celebre scena della scopa sia stata ripresa da Steven Spielberg in E.T. Addirittura, la frase estrapolata dal lungometraggio di De Sica, che faceva parte di una corrente cinematografica di inchiesta sociale, “che buongiorno voglia davvero dire buongiorno”, viene riesumata da Sarah Maestri, qui nelle vesti di esponente di Cariplo, per sottolineare l’impegno della fondazione nel promuovere bellezza, che “è fonte di educazione”.
Alice Cosmai invece, rappresentante dell’ufficio “arte negli spazi pubblici” del Comune, sostiene che da una decina d’anni Milano si è resa conto di poter raccontare le proprie imprese sui muri della città e ha cominciato a dialogare con gli street artist. A tal proposito, addirittura, in largo Murani (dove sorge Cascina Rosa, di cui abbiamo già parlato), l’apertura della nuova Esselunga non ha ostacolato la salvaguardia dei vecchi murales realizzati sull’edificio negli anni Setttanta.
Ecco spacchettata l’anima dell’Ortica, Lambrate e Rubattino. Quartieri di periferia sì, ma non solo. Soprattutto quartieri in via di riqualificazione, dall’associazionismo intraprendente, e soprattutto belli, abbelliti dalle numerose opere di “arte pubblica” sovvenzionata dai veri attori delle politiche urbane meneghine, le fondazioni.
Infine, se l’appicciare una veste “brandizzata” sui quartieri per farli competere nell’accaparrarsi successivi fondi, nuovi abitanti e investimenti potrebbe far pensare a una loro rivalità, in realtà quando c’è da favorire la rendita si fanno tutti collaborativi. A tale scopo l’assessore all’urbanistica Maran celebra il risultato ottenuto con il progetto vincitore per lo scalo di Lambrate che, riducendo il proprio indice edificatorio, ha permesso di spostarlo sullo scalo di Porta Romana, consentendo l’edificazione massiccia del futuro Villaggio olimpico e del futuro Studentato universitario.
In definitiva, nella finta competizione tra periferie con anime specifiche e diverse, ciò che conta è innanzitutto la produzione simbolica di queste identità. Da qui Lambrate diventa la Brooklyn di Milano, l’Ortica il primo museo urbano del mondo, e le due si apprestano a diventare un museo urbano diffuso. Sempre da qui qualunque elemento passato viene recuperato e schiacciato nelle retoriche imprenditoriali milanesi, in vista di un possibile futuro avveniristico, in cui non ci saranno più periferie ma solo quartieri, come affermava non molto tempo fa lo stesso sindaco Sala.
Il recupero della memoria storica, i progetti green, l’arte urbana, i bandi che inneggiano alla bellezza – quello di Cariplo che ha sovvenzionato l’opera è intitolato “La bellezza ritrovata” – sono gli spauracchi dietro ai quali sta la voce corale a difesa dei processi di finanziarizzazione e di allargamento del capitale privato all’interno dello spazio urbano della città, su cui, a ben vedere, sono proprio tutti d’accordo.
Ecco quindi che le colonne portanti di questo processo di trasformazione urbana, ossia cultura e natura, sono unicamente contenitori da esporre in vetrina, svuotati da qualsivoglia concetto e finalità politica a favore della città pubblica. Nel caso della riqualifica dei sette scali ferroviari, e nel nostro specifico quello di Lambrate, è stata proposta una narrazione secondo la quale essi siano le ultimissime aree urbane vuote sulla mappa di Milano, e saranno rigenerate dando vita principalmente a nuovi spazi verdi. I restanti cantieri, investimenti finanziari e progetti residenziali sono solamente effetti collaterali. In realtà, come ben mostra il lavoro del collettivo OffTopic, si tratta di zone che sono già state rigenerate, in modo totalmente spontaneo, da parte della flora e fauna che in questi decenni hanno abitato quegli spazi. Traiettorie inedite di rinascita e rinverdimento hanno sovvertito radicalmente ciò che l’amministrazione declina come green. Per quanto riguarda la cultura invece, l’inaugurazione del murale Miracolo a Milano e l’incessante utilizzo simbolico di ciò che viene presentata come memoria e tradizione storica di quartieri come Lambrate e Ortica è in realtà una storia epurata da qualsiasi conflittualità e marginalità. A tal proposito, nella scorsa puntata abbiamo indagato il rimosso storico del centro di detenzione di via Corelli, che affonda le radici ben oltre il 1998 quando fu inaugurato. Abbiamo assistito alla cesura del ricordo di ciò che furono i primi flussi migratori che attraversarono questi quartieri insieme a quel che realmente ha significato la tradizione proletaria diffusa in questa zona. D’altro canto, un’altra delle sequenze più famose del film di De Sica, meno fiabesca, più brutale nel suo essere realistica e profetica, inscena una compravendita tra palazzinari davanti alle capanne abitate dal sottoproletariato. De Sica gioca facendogli pronunciare cifre che diventano versi e quando gli abitanti del terreno in questione si fanno minacciosi, fa dire ai palazzinari che “siamo tutti uguali”, certo con una nota di disgusto e di ironia. (giacomo mattiello / barbara russo)
il Forum Rigenerazione Urbana è stata la consacrazione di Tancredi quale assessore in piena regola (forse qualche dubbio l’aveva lui stesso) Le passeggiate sono state una vera e propria presa in giro e le persone se ne sarebbero accorte se solo avessero fatto caso a chi illustrava i futuri lavori. Ma i bei rendering fanno più effetto dei veri progetti che infatti nessuno riesce a vedere mai. Rassegnamoci, non ce la possiamo fare.