Dal n. 57 di Napoli Monitor
La fiamma dell’accendino con cui Ludovica dà fuoco alla sua sigaretta è abbastanza alta da permettermi di intravedere il suo viso. È questo, in realtà, che vuole. Farsi guardare ma anche guardare meglio, per assicurarsi di non essersi sbagliata. Siamo distanti un metro. Buio totale. Io mi sono seduto sulla prima poltroncina appena si entra, che è anche la più vicina all’uscita. Riflesso condizionato. Lei ora è in piedi, sull’ingresso, dove si è fermata dopo avermi gironzolato attorno per un po’.
Nella sala grande, così come nei corridoi del cinema per adulti Agorà, la gran parte delle persone passa il proprio tempo in giro. Vagano. Come le anime del purgatorio, alla ricerca di qualcosa: sul fondo della sala, alle spalle delle poltrone, nei corridoi laterali, davanti allo schermo su cui si proietta il film. A passo lento, con le mani appoggiate dietro la schiena o fumando. Sedute ci sono meno di dieci persone. Tra sala e corridoio, il passeggio ne conta quasi il doppio. La maggior parte dei camminanti, volti indefinibili per l’oscurità, aspetta un segno da qualcun altro dei “partecipanti” (è così che sono definiti i clienti sullo scontrino fiscale). Il segno non arriva e la camminata continua. Solo in un caso mi accorgo di una figura alta e robusta che si avvicina a una mano che gli ha chiesto di farsi vedere. L’operazione si svolge nelle ultime file. Qualche secondo dopo i due – difficile, ma anche poco importante stabilire se quello alto sia uomo o donna – sono impegnati in un discreto eppure coinvolto rapporto orale.
Ludovica mi sorride, semi-illuminata dal fuoco. Tenta uno sguardo sexy ma le riesce male. Io la guardo per qualche secondo, poi lei lascia scemare la fiamma, butta giù un tiro di sigaretta e si allontana. Le proiezioni, in questo momento, sono due: nella sala grande, che ha poco da invidiare ad altre più rispettabili sale cinematografiche cittadine, c’è Millionaire, il film del giorno. Nella piccola, la sala Monitor – in cui ci sono tre grandi televisori, due tavolini circolari con quattro sedie, quattro poltroncine e due distributori di cibi e bevande – si proietta un film meno famoso, quasi amatoriale nelle riprese. In primo piano c’è un divano, e su di esso una grassona sodomizzata da un uomo minuscolo che indossa solo una cravatta. Tra le due sale un lungo corridoio, anch’esso territorio di passeggio.
Ludovica spera che io la segua, ma non mi muovo. Dopo qualche secondo rientra, e viene a sedersi accanto a me. Non voglio far perdere del tempo a una persona che lavora, e le spiego subito di non avere soldi. Lei mi dice di rilassarmi: il film è quasi finito, e i clienti preferiscono non rischiare di farsi trovare con le mani nella marmellata quando la sala si illumina (anche se molto parzialmente), rimandando le operazioni all’inizio della nuova proiezione. Questo, insomma, è un momento di pausa anche per lei, uno dei tanti tra la decina di film in visione dalle nove e mezza del mattino fino alle dieci di sera.
L’Agorà è un cinema storico nel suo genere. Si trova tra piazza Matteotti e la questura centrale. Il biglietto costa sei euro, e ti dà la possibilità di trattenerti all’interno anche per dodici ore. Considerando le facce logore che si possono osservare nel corridoio, non devono essere pochi i “partecipanti” che scelgono questa modalità.
Nonostante ora sia più vicina, non riesco a vedere bene i lineamenti di Ludovica. Sembrano più femminili rispetto alla sua voce baritonale che mi parla in italiano con un accento partenopeo. Mi chiede cosa ci faccio qui, mentre continua a scrutarmi a intermittenza attraverso la luce del fuoco. È stupita della mia età. La media anagrafica dei clienti del cinema oscilla tra cinquanta e settanta, e io sono quello che alle Olimpiadi si definirebbe un fuori quota. Quando le dico che sono venuto perché avevo voglia di vedere un film mi dà uno scappellotto in testa, come si fa con i ragazzini. Il contrasto tra l’immagine del sesso proiettata sullo schermo e quella che va in scena nella sala è stridente. L’artificiosità delle situazioni del film, ambientato in scenari esotici e case arredate in stile barocco, cozza con l’immediatezza delle contrattazioni tra clienti, e tra clienti e prostitute. I brevi colloqui si svolgono con procedure rodate, in cui solo i prezzi, e il loro adeguamento all’inflazione, rappresentano una variabile. Per il resto, la routine della sala sembra essere immutata rispetto a dieci o venti anni fa. Unica differenza, il numero di clienti, crollato con lo sdoganamento del porno via internet e ridotto a un ristretto zoccolo duro di irriducibili.
Quando il film finisce mi accorgo che Ludovica è sparita nel nulla. Dopo qualche minuto sullo schermo appare l’immagine iniziale che introduce il dvd, per la nuova proiezione. Un signore in giacca e camicia si ricompone goffamente – non essendo evidentemente riuscito a portare a termine le operazioni – e si appropinqua ai distributori per un caffè.
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Milionaire si può scaricare con facilità da internet. Girato dal regista Alessandro del Mar, è stato vincitore del Venus Aword come miglior porno europeo del 2004. La star del film è Claudia Ferrari, al secolo Krisztina Fazekas. Ungherese di Budapest, trentaseienne, la Ferrari ha vissuto la sua epoca d’oro all’inizio dei Duemila. È una stella internazionale da settanta film hard in sei anni, ma è in Italia, o meglio grazie agli italiani, che ha costruito il proprio successo.
Su tutti i grandi siti porno del mondo – i principali sono YouJizz, XNXX.com, Redtube, Tubegalore e ovviamente Youporn, recentemente acquistato da un gruppo editoriale per cento milioni di dollari – le gesta di Claudia sono documentate da ogni angolazione possibile. Gli italiani sono il quarto paese al mondo per contatti sui siti hard, anche se negli ultimi anni le vie alternative ai portali si sono moltiplicate. Su Facebook aumentano le pagine con contenuto porno soft, in cui vengono diffuse foto inviate da ragazze e signore mature in pose che lasciano poco all’immaginazione. Il vantaggio di Facebook è la garanzia di anonimato, dal momento che è facilissimo creare un account con dati inventati. Il gioco, così, conviene a tutti: a chi pubblica (magari oscurandosi il viso) e a chi osserva, lasciandosi andare a commenti (il commento è immediato, a differenza dei siti porno e delle videochat che sono “moderate”) di ogni genere.
Sulle videochat è molto attiva Sofia Cucci (in origine Sofia Gucci, fino a quando – si narra – l’azienda omonima ha offerto alla porno-attrice una lauta somma per modificare il suo nome d’arte) che una volta a settimana prepara un live show per i suoi fan, durante il quale le si può chiedere tutto o quasi. Uno spettacolo, sei euro. Abbonamento mensile, trenta euro. Fino a qualche tempo fa Sofia era una habitué del cinema Agorà. Una volta ogni due mesi si recava nella sala per una sessione di foto e autografi con gli ammiratori partenopei, quasi sempre la stessa ventina di persone che ne approfittavano per ascoltare dettagli eccitanti e farsi ritrarre con la beniamina. Se durante quegli incontri il pubblico era diviso tra i soliti over cinquanta e smilzi ragazzotti appena maggiorenni, durante la chat sono questi ultimi i protagonisti assoluti. È chiaro però che i social network, così come le videochat, interessano solo chi vuol guardare. Chi ha intenzione di utilizzare la rete per passare all’atto pratico, ha vita facile in qualsiasi sito di annunci. Su quelli meno famosi, e quindi meno controllati, l’offerta viene esplicitata con chiarezza. In altri si nasconde dietro una terminologia ambigua, ma chiarissima per l’utente abituale.
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Quando sul display dell’ascensore compare il numero nove, le porte di metallo rivestite con uno strano materiale di colore bordeaux si aprono lentamente. Con un gesto istintivo mi osservo nello specchio. Davanti a me ho un’elegante porta a vetri. Confesso di aver scelto il mio centro benessere soprattutto in base alla convenienza del prezzo. Il luogo d’elezione per il relax napoletano sembra essere il Centro Direzionale. Tra le isole A e G se ne trovano a decine, e solo dopo una spietata selezione ne prendo in considerazione cinque. In tre casi le ragazze che rispondono al telefono si limitano a spiegarmi dettagliatamente il prezzario, fingendo di non ascoltare le mie domande curiose. Dopo un altro paio di telefonate, però, riesco a trovare pane per i miei denti, e dall’altra parte della cornetta l’invito a presentarsi («Siamo aperti dalle 9.00 alle 20.00…») si fa via via più ammiccante.
Dopo aver suonato il campanello si attende una trentina di secondi all’esterno. La titolare, Marilena, tiene molto alla privacy dei suoi clienti e cerca di far sì che in ognuno dei salottini d’attesa non rimanga più di una persona. Con fare cordiale ma modi veloci (siamo ancora a portata di vista della vetrata), mi invita a scegliere il massaggio «che più le si addice». Il prezzario è abbastanza complesso, e chiedo a Marilena qualche secondo per studiarlo con calma.
La prima distinzione è tra massaggio decontratturante, sul lettino, e massaggio sensuale, che si effettua sui futon, morbidi materassi appoggiati sul parquet. Trenta euro per il primo, cinquanta per il secondo. A sua volta il massaggio sensuale ha diverse ramificazioni. Quelle che vengono spiegate con più chiarezza sono il tantrico (il cui obiettivo è la “liberazione delle energie bloccate”), lo Yoni (essenzialmente per donne) e il body to body. I prezzi vanno dai cinquanta per il tantrico da mezz’ora, ai duecento per un’ora e mezza di mix, che prevede la partenza col tantrico, il prosieguo col body to body e la chiusura con quello che nel gergo chiamano happy ending. È consentito, comunque, partire col tantrico e poi decidere di modificare in corsa la scelta.
Le ragazze non impegnate al mio arrivo sono tre. Marilena mi guarda in maniera strana quando dico di non voler vedere le foto ma di voler aspettare la più brava. Comincia a rendersi conto che forse voglio davvero fare un massaggio. Dopo meno di dieci minuti nel salottino arriva Christa, ucraina, ventidue anni. Alla fine del massaggio mi confesserà, mortificandomi, che le domande sulla provenienza e l’età sono le prime e spesso le uniche che le vengono rivolte. Christa ha i capelli rossi e gli occhi azzurri. È vestita con un camice bianco corto che ricorda le infermiere sexy nelle commedie di Alvaro Vitali. Attraversiamo un corridoio con porte di diversi colori e accediamo in una piccola stanza. L’arredamento è talmente minimale da risultare squallido. Un materassino, un divanetto, una piccolissima doccia ad angolo. Christa si lava le mani due volte, per essere sicura di essere stata vista, e prima di invitarmi a stendermi sul futon estrae da un armadietto a muro e dispone sul materasso un lenzuolo e due asciugamani, tutto lavato di fresco. Mi chiede se voglio effettuare il massaggio indossando l’asciugamano (rimanendo sotto in mutande) o una specie di tanga di carta usa e getta, raccomandato per comodità. Mi basta qualche secondo per immaginare il mio disagio con questo inedito capo di vestiario e scelgo l’asciugamano. Una volta steso sul materasso anche Christa smette il camice, rimanendo con un body molto aderente che evidenzia un fisico da mannequin. Sul parquet, fresco rifatto anche quello, resta invece a piedi nudi.
Vengo fatto stendere di spalle sul lettino. Christa, in piedi davanti a me, ha (così come mi aveva annunciato Marilena) realmente “una mano fatata”. In pochi secondi, cominciando dalla testa, il massaggio riesce a liberare le mie energie bloccate. Mentre mi vengono accarezzate le tempie, Christa mi sussurra che è costretta ad affrettare un po’ i tempi (una frecciata alla mia tirchieria, che ho pagato solo per mezz’ora), mentre questo tipo di massaggio andrebbe effettuato con «molta, molta calma». Nella stanza, senza che io abbia capito come e quando sia stata attivata, passa ora una musica orientale che stona terribilmente con l’arredamento Ikea. I movimenti di Christa sono energici. Appoggia con forza le mani e le braccia sulle mie spalle, sulla schiena, arrivando fino al limite dell’asciugamano. Quando manca poco alla fine mi chiede se voglio girarmi per praticare il body to body, soffiandomi dolcemente all’orecchio «peccato…», quando le dico che sto bene così. Mentre mi rivesto non trovo niente di meno stupido da dire che «è proprio vero che hai una mano fatata». Quando provo a farle qualche domanda in più su di lei, la ragazza mi liquida per la prima volta con un po’ di freddezza. Ci salutiamo e mi accompagna all’accettazione dove dovrò pagare Marilena.
Dopo le domande di rito riguardo il mio gradimento per il massaggio, completo anche con la maitresse la mia figura da idiota, chiedendole se è possibile pagare con il Bancomat. Mi sorride compatendomi e dicendomi di no, e allora saluto l’ultima carta da cinquanta del mio portafogli.
Quando le porte dell’ascensore si aprono, davanti a me appare un signore sulla sessantina. Marilena può impegnarsi quanto vuole per tutelare i suoi clienti, ma davanti agli ineluttabili incontri provocati dal caso, nemmeno lei può nulla. L’uomo è basso, ha i capelli grigi tagliati corti, baffi e barba ordinati. Indossa un giubbotto sgargiante, di quelli che mettono i ragazzini, ed emana lo sgradevole olezzo di quando si esagera con il profumo. Visibilmente imbarazzato mi saluta con cortesia, quasi con entusiasmo. «Buongiorno!», rispondo con lo stesso tono. Da oggi, che io ritorni o meno al centro, facciamo parte di un ordine superiore tenuto assieme da un segreto da mantenere.
Prima di spingere il tasto “zero” dell’ascensore rimango un secondo a immaginare il mio nuovo amico in grande confidenza con le ragazze, con Marilena – che già corre ad aprirgli la vetrata – e pronto a investire una somma ben superiore a quella che ho potuto permettermi. Sono un po’ geloso di Christa, ma sapevo quello a cui sarei andato incontro. In ogni caso spesso le apparenze ingannano. E forse il tale avrà solo un sacco di problemi alla schiena. (riccardo rosa)
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