È capitato a turisti e napoletani di imbattersi, in questi giorni, in alcuni spettacoli di bolle di sapone, materializzatisi d’incanto nel grande caos che ha conquistato la città nel clima prenatalizio. È stato subito possibile, a un primo sguardo, comprendere che si trattasse di performance appartenenti a un mondo più complesso e raffinato.
A Napoli dai primi giorni di dicembre per preparare la tournee natalizia, la Compagnia Ribolle è un laboratorio teatrale che negli ultimi anni ha imposto una propria linea espressiva, fonte d’ispirazione per molti altri e che guarda sicuramente al fascino della perfomance di strada ma con i piedi ben piantati nel teatro, e chi si sia imbattuto in quelle piccole “incursioni” a colpi di bolle nella Napoli invasa di turisti ha avuto modo di accorgersene, trovandosi davanti una miscela a metà strada fra teatro e circo, che appartiene a entrambi i mondi e a nessuno, sotto la guida di Michelangelo Ricci. «Io vengo da esperienze diverse – dice Ricci –. Nasco con il teatro di ricerca e a quello mi rifaccio sempre. Nella mia carriera ho fatto Jarry, Beckett e altri autori importanti, ho lavorato nel teatro musicale e sono stato regista del Premio Tenco per cinque anni. Ho attraversato tutti i generi. Questa produzione, però, mi è molto cara, è qualcosa di veramente diverso, un’idea che non c’era. Adesso anche altri fanno spettacoli che utilizzano le bolle, secondo me, però, questa cosa non è l’elemento centrale. Il vero soggetto sono le emozioni che le bolle suscitano, l’emotività che creano».
Sono quasi dieci anni che la Compagnia Ribolle porta in scena spettacoli visionari nati dalla fantasia di Ricci, in cui tra attori e pubblico si crea un’alleanza basata sul gioco e sulle possibilità di uscita dalla logica comune che le bolle, con la loro presenza visibile ma impalpabile, ai confini della materia, offrono. «La compagnia prende il nome da uno spettacolo che si chiama Ribolle, nato durante un festival che dirigevo in Toscana. Era uno spettacolo in cui al posto delle parole c’erano le bolle di sapone ed è andato molto bene, siamo andati in giro per quattro anni fra Italia e Francia riscuotendo un buon successo. Allora su quella scia ho provato a lavorare a qualcosa di nuovo, cercando una nuova via che unisse questa idea del “teatro con le bolle” al circo. Il circo inteso non solo come evento di performance ma come luogo di estraniamento e gioco di relazione col pubblico. Non solo esibizione di capacità tecniche, anche se con lo spettacolo mettiamo in scena anche quello, le bolle di un certo tipo, il virtuosismo, il lazzo, la battuta. Abbiamo cercato, però, di fare una sintesi con meccanismi che tenessero sempre il pubblico in una tensione gioiosa. È uno spettacolo che produce nello spettatore un meccanismo di uscita dalla logica. I bambini giocano, gli anziani viaggiano nel tempo e c’è un senso di unità inter-generazionale grazie al quale tutti confluiscono in una generazione unica che sta dentro un incanto. Le bolle creano questa sensazione e noi spingiamo lo spettacolo in questa direzione. Questa è una creazione che non c’era, prima, nel panorama italiano, nemmeno in quello circense o della danza. Ha una propria forza che per il pubblico diventa ipnotica. C’è gente che lo ha visto dieci volte, forse proprio perché questo tipo di esperienza porta a un bisogno psicofisico di rivivere lo spettacolo, come avviene nei sogni».
In programma a Galleria Toledo dal 21 dicembre all’8 gennaio con lo spettacolo Il circo delle bolle di sapone, la compagnia guidata da Michelangelo Ricci vede sul palcoscenico Simona Baldeschi, Maria Grazia Fiore e Maurizio Muzzi, che già da venti giorni stanno attraversando la città disseminando bolle di sapone in un percorso di promozione e confronto con la città e la sua gente, terminato domenica scorsa con un omaggio a Napoli in piazza Plebiscito.
«Uno spettacolo cosi lo adeguiamo sempre allo spazio. Adesso a Napoli stiamo denudando il palcoscenico di Galleria Toledo per riempirlo di luci e colori perché credo a prescindere da questo spettacolo, il teatro debba tornare a essere visivo, colorato. Deve suonare, avere movimento. Con tutto l’amore per il teatro di narrazione non si può svuotare sempre tutto, il teatro va riempito. Forse anche per questo ho sempre amato il teatro musicale. Anche nei laboratori che faccio sono sempre più presenti musica, canzoni, proprio perché voglio un teatro pieno di cose che riempiano gli occhi e la testa degli spettatori. Napoli è un punto d’arrivo. Ogni anno scegliamo una città per il Natale. Siamo qui ormai da venti giorni, siamo andati in giro a promuovere lo spettacolo facendo improvvisazioni per strada, davanti alle scuole, ci siamo frapposti al grande caos della città nel periodo natalizio, certo per promuovere il nostro spettacolo ma anche per cominciare a sentire il pubblico, a imparare qual è il pubblico che troveremo in teatro. È il nostro modo di fare. Inutile dirlo, questa è una città straordinaria, con meccanismi non così facili come credevamo. Pensavamo ci accogliessero subito, invece c’è una sorta di diffidenza iniziale che all’inizio ci ha lasciati un po’ perplessi ma è servito da stimolo per fare di più, per lavorare meglio. Siamo contenti anche di aver scelto un teatro che sta nei Quartieri Spagnoli, per noi è una bella scommessa, portiamo uno spettacolo di gioia in un contesto che saprà accoglierlo». (antonio bove)
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