È morta per una “tromboembolia polmonare bilaterale fulminante” Sandrine Bakayoko, ragazza ivoriana in attesa di risposta a una domanda di asilo, deceduta ieri pomeriggio nel centro di accoglienza per i migranti di Cona, in provincia di Venezia. Questo è il risultato dell’autopsia effettuata dopo la morte della venticinquenne e successivamente ai disordini che si sono susseguiti per ore all’interno del centro, a causa del ritardo nei soccorsi e poi come protesta per le condizioni di vita e di accoglienza in cui si trovano i migranti. A partire da domani mattina, circa cento tra gli ospiti del centro saranno trasferiti verso altre strutture presenti in Emilia Romagna.
Del cpa di Cona, gestito dalla cooperativa Ecofficina, si era già discusso negli scorsi mesi, dopo l’indagine della procura di Padova che aveva indagato i suoi responsabili per truffa aggravata e falsità materiale nell’ambito dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Riproponiamo la relazione scritta dagli attivisti della campagna LasciateCIEntrare e pubblicata da meltingpot.org in occasione della visita al centro lo scorso mese di giugno.
La tendopoli di Conetta, centro di accoglienza per migranti si trova nel nulla. Un nulla che ha molteplici aspetti. Dopo aver attraversato centri scarsamente abitati, dove le persone si recano per lo più per riposare o dormire dopo aver lavorato altrove durante la giornata, arriviamo a Conetta. Non ci sono bar, non c’è un piccolo spaccio per alimenti. Una piazzetta spoglia e disadorna circondata da case colorate. Dove appena arrivati si ferma accanto a noi una macchina che ci seguirà per tutta la giornata: la digos.
Gli stessi migranti che incontriamo prima di entrare al centro preferiscono restare all’interno. «Fuori non c’è niente». Nei mesi precedenti pare addirittura che, siccome la zona è “cavalcata” da un fortissimo vento, la tendostruttura issata per “accogliere” i migranti si sia sollevata. Si è dovuto intervenire poi rigettandone le basi. Camminiamo lungo una strada sterrata, dove alla fine ci accoglie il cancello dell’ex caserma e le telecamere di sorveglianza. Qui ci attende il coordinatore organizzativo di Ecofficina, Simone Borile, insieme alla moglie (e presidente di Ecofficina), Sara Felpati, a due rappresentanti della prefettura (incluso il viceprefetto) e a un’assistente sociale.
Ecofficina è una cooperativa sorta nel 2011 come gruppo dedicato alla gestione dei rifiuti e dalla fine di marzo del 2014 entrata in ambito accoglienza. Con questo passaggio “il suo valore di produzione è passato dagli iniziali 114 mila euro a un milione e 145 mila” (fonte: Finanzaonline). Attualmente i suoi responsabili sono indagati dalla procura di Padova per reati di truffa aggravata e falsità materiale nell’ambito dell’accoglienza dei richiedenti asilo. In Veneto gestiscono diverse strutture: oltre il centro di Cona, anche gli “hub” di Bagnoli e della Prandina a Padova e alcuni centri SPRAR per un totale che supera i mille e duecento richiedenti asilo accolti (la maggior parte dei quali nei tre megacentri di Cona, Bagnoli e della Prandina).
Il centro di Cona non è un CAS, non è un CARA, non è un “hub”. È un luogo “temporaneo emergenziale” che sopperisce alla mancata accoglienza dei comuni veneti, i cui sindaci rifiutano di accogliere richiedenti asilo. Al momento sono ospitate circa seicentoventi persone, di almeno venticinque nazionalità differenti. L’agibilità della tendopoli è stata regolarmente acquisita tramite parere dell’Asl che il 1 aprile 2016 ha inviato la sua relazione spiegando che la struttura può ospitare cinquecentoquaranta persone, considerando che, come ci dice lo stesso Borile, per ogni persona bastano 3,50 metri quadrati e occorre che vi sia un bagno e una doccia ogni dodici persone. Al momento non siamo riusciti a reperire il documento ufficiale dell’Asl ed è nostra intenzione farne richiesta e chiarire come si sia potuta dichiarare “idonea” una struttura che presenta gravi situazioni di sovraffollamento e una totale mancanza di privacy (senza considerare il fatto che al momento vi sono almeno ottanta persone in più rispetto alle cinquecentoquaranta presenti al momento della visita dell’Asl).
Ci sono due grandi tendostrutture in due aree separate, adibite a dormitorio. Altri due caseggiati in muratura zeppi di letti a castello. Container con docce e bagni. Tutto ripulito per oggi. Ce ne accorgiamo da alcuni dettagli: operatori guantati che si affrettano a ripulire e togliere i segni di un lavoro fatto per l’occasione. E ce lo dicono alcuni dei richiedenti asilo (nei rari momenti in cui riusciamo ad interagire con loro senza che le nostre “guide” ci mettano fretta o ci portino subito con loro per proseguire il giro del centro). «Stanno pulendo perché oggi ci siete voi, fanno sempre così quando ci sono delle persone esterne che entrano», ci dicono. Prima del tendone vi è l’infermeria con annessa area quarantena, almeno così ci dice il coordinatore. Un folto gruppo di migranti si trova seduto in attesa all’esterno dell’infermeria dove pare oggi si facciano le vaccinazioni. Uno dei migranti con cui riusciamo a parlare con un attimo di privacy ci dice che «qui non c’è nessuna vaccinazione oggi. Tutto falso». Effettivamente uno degli operatori ci dichiara, durante la passeggiata in questo girone infernale, che le vaccinazioni si fanno all’esterno, dove i migranti vengono accompagnati grazie a un pulmino messo a disposizione dalla stessa Ecofficina.
Nel tendone al centro dell’area si tiene un concerto di lezioni di italiano: «Io ho, tu hai…», in perfetto stile teatrino per ospiti. In questa zona incontriamo cinque giovani migranti due dei quali appaiono veramente piccoli. Spieghiamo loro che i minori di diciotto anni hanno diritto a stare in luoghi idonei e a ricevere un’accoglienza di tipo diverso. Soprattutto sottolineiamo che la dichiarazione falsa iniziale non è perseguita e che sono in tempo per dire eventualmente la loro vera età. […]
Ce ne andiamo continuando il nostro “tour”, ci accorgiamo che uno dei mediatori prima del nostro arrivo ci indica e dice ad alcuni richiedenti asilo che siamo “carabinieri”. Uno scherzo o un avvertimento? Riceviamo alcuni sguardi di sospetto. Sempre lo stesso mediatore, in più di una occasione, ci “anticipa” andando a parlare con i migranti e dissuadendoli dal parlare con noi o dal dirci le criticità del posto. Uno dei migranti ospiti non appena si allontana il mediatore ci dice: «Io ho qualcosa da dirvi», e dopo alcuni minuti si riavvicina, dicendo che da diversi giorni sta molto male e chiede delle medicine che non gli vengono date. Non gli è permesso nemmeno di comprarle da solo. «Ogni giorno mi dicono domani te le portiamo, non preoccuparti ma io sto ancora aspettando».
Alcuni migranti si avvicinano, ci dicono che stanno lì da quasi un anno e che è un posto terribile. Al momento stanno scaricando terra, attività che svolgono volontariamente. Il mediatore ci dice che «li aiutano a trovare collocazioni lavorative», chiediamo perciò se in tanto tempo abbiano mai avuto contatti in questi termini. «No. Quando mai?», rispondono. A lavorare volontariamente per tagliare l’erba ci sono altri quattro ragazzi.
Tutt’intorno, alcune scavatrici sono in piena attività per risistemare e ampliare il sistema fognario. Quindi è un campo permanente? Che sostenibilità ha questo posto? Com’è possibile che l’Asl abbia dato agibilità per cinquecentoquaranta persone? Agibilità forse valida per centri temporanei dove la permanenza prevista è di pochi giorni, non per persone che vi dimorano stabilmente per mesi e, come abbiamo avuto modo di verificare da alcune testimonianze, anche quasi un anno (ci sono persone presenti qui dallo scorso luglio o agosto). Questa è di fatto al momento una struttura permanente che non garantisce alcun processo di inclusione sociale e nemmeno la normale dignità di accoglienza cui hanno diritto i richiedenti asilo. (continua a leggere…)
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