È stata recepita dal magistrato, durante l’udienza preliminare di questa mattina, la richiesta della difesa di Giovanni Macchiarolo – il carabiniere che lo scorso 5 settembre ha ucciso al Rione Traiano il diciassettenne Davide Bifolco – di svolgere il processo attraverso la modalità del rito abbreviato. Il processo, che imputa Macchiarolo di omicidio colposo, si svolgeràgiovedì 23 luglio, davanti al giudice dell’udienza preliminare Ludovica Mancini. In quella stessa sede, o al massimo al termine di una seduta successiva alla discussione, arriverà la sentenza.
A partecipare all’udienza di questa mattina c’erano i familiari del ragazzo, il loro rappresentante legale Fabio Anselmo e quello dell’imputato, che invece non ha ritenuto opportuno presenziare alla seduta. All’esterno del Palazzo di giustizia una cinquantina di persone tra amici e parenti di Davide e membri dell’associazione che fin da qualche settimana dopo l’omicidio si è costituita nel tentativo di mantenere alta l’attenzione sul caso.
Delusione è stata manifestata dalla famiglia Bifolco per l’esito dell’udienza, dal momento che con questo tipo di processo l’eventuale condanna dell’imputato ha possibilità di essere ridotta di un terzo rispetto alla pena stabilita dal giudice. Una pena che comunque, essendo stata definita l’uccisione di Davide un “omicidio colposo”, potrebbe prevedere al massimo una reclusione tra i cinque e i sette anni, considerando compresa l’aggravante per aver commesso Macchiarolo il fatto durante un pubblico servizio. A voler ragionare da un punto di vista meramente numerico, considerando la riduzione prevista dal rito abbreviato, il carabiniere potrebbe ricevere una condanna inferiore ai due anni, possibilità che aprirebbela strada a una sospensione della pena. Macchiarolo, in tal modo, usufruirebbe di quell’istituto giuridico che mette in sospensione una condanna per cinque anni, al termine dei quali, nel caso in cui il condannato non commetta altre infrazioni alla legge, il primo reato (in questo caso un omicidio) viene considerato estinto.
Da un punto di vista tecnico il rito abbreviato non prevede dibattimento, ma una sentenza che verrà elaborata esclusivamente in base alle indagini effettuate fino a questo momento, indagini condotte (e questo è il paradosso più grande di tutta questa storia, considerando anche le opinioni espresse in merito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo) dall’Arma dei carabinieri, la stessa a cui appartiene l’uomo che ha ammazzato un ragazzo diciassettenne. Molto importante sarà in questo senso la valutazione del giudice rispetto al fatto che il motorino non aveva arrestato la propria corsa (perché privo di assicurazione) all’alt della pattuglia, circostanza ben diversa rispetto a quella che si continua impropriamente a raccontare, secondo cui i ragazzi avrebbero “forzato un posto di blocco”.
Il lavoro del giudice per le indagini preliminari sembra essere stato molto approfondito, soprattutto nella ricostruzione della circostanza secondo cui, contrariamente a quanto sostenuto dai carabinieri, uno dei tre ragazzi sul motorino fosse il latitante Arturo Equabile, eventualità smentita poi dalle prove sui DNA. È anche vero che il processo rischia di essere condizionato dalla mancanza di una perizia balistica affidabile: a lasciare molti dubbi su quella che in realtà è una “ipotesi” di perizia, è infatti la mancanza del bossolo, rimosso dalla scena del delitto immediatamente dopo il fatto. Per esporre la propria versione, ai legali della famiglia Bifolco non resta a questo punto che la possibilità di depositare una memoria, all’interno della quale non potranno essere inserite ulteriori testimonianze o atti. Anche un eventuale ricorso in appello, o in Cassazione, inoltre, non potrà modificare il capo d’accusa, quello di omicidio colposo e non volontario (accettata è stata evidentemente la versione secondo la quale il carabiniere avrebbe sparato dopo essere inciampato, e che definisce il correre di un pubblico ufficiale, all’inseguimento di una persona, brandendo una pistola senza sicura, null’altro che “imperizia nell’uso delle armi”).
Entro poco più di un mese, insomma, la morte di un adolescente colpevole di andarsene in giro su di un motorino un paio d’ore dopo la mezzanotte potrebbe avere una risposta, quella della giustizia formale, che si annuncia insufficiente rispetto alla gravità dell’accaduto. Nel frattempo la vita di un quartiere come il Rione Traiano, così sfuggente alle semplicistiche analisi degli ultimi mesi, è tornata a scorrere nella sua abbrutita routine, lontano da quei riflettori che a breve si spegneranno, definitivamente, anche sul destino di un adolescente al cui posto avrebbe potuto esserci chiunque dei nostri figli, fratelli, amici. (riccardo rosa)
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