Roma. Sotto le scale delle rive del Tevere, alla Casa della Memoria e della Storia, è stata inaugurata questa settimana la mostra I fiori del male. Donne in manicomio nel regime fascista (aperta fino al 18 novembre), curata dai due ricercatori Annacarla Valeriano e Costantino di Sante. I volti e le espressioni di donne internate in manicomio durante il regime, restituiti allo sguardo del visitatore da efficaci fotografie, condividono la sorte della condanna morale con il titolo dell’omonima opera di Baudelaire.
All’ingresso della sala ci accoglie “La geografia dei manicomi”, una cartina dell’Italia che traccia la presenza di tutte le strutture, sessantacinque manicomi distribuiti in diciassette regioni. La mostra è divulgativa e chiara, le testimonianze immediate. Occupa il primo piano, con una zona più ampia destinata alle foto e ai documenti cartacei originali, e una più piccola, delimitata da un cartongesso divisorio, che accoglie pannelli e locandine. Lo spazio è raccolto, l’esposizione è armonica nei colori. Nonostante i medico-tecnicismi dell’epoca, restituisce il senso, risignifica, costruisce una narrazione con l’osservatore. Il taglio è differente rispetto agli spazi che solitamente sono dedicati alle vite che hanno popolato le istituzioni totali. Più che le pratiche di internamento, è il clima di repressione che conduce all’internamento a essere co-protagonista dei volti. Sulla stessa tela confluiscono il volto dell’alienata e la sua cartella medica, uno stralcio di suo scritto al quale è accompagnata una traduzione in digitale per favorirne la comprensione, la diagnosi del medico, le informazioni cliniche, lettere di familiari o amati. Un amaro sorriso compare sulla bocca quando sui diari clinici si leggono i sintomi concausa delle diagnosi: loquace, incoerente, erotica, capricciosa, eccitata, indocile, impulsiva, petulante, piacente, rossa in viso, dedita all’ozio.
Dalla parte opposta della sala si ritrovano i manifesti della donna “pro familia” e degli almanacchi della massaia fascista, così da non destare dubbio che quelli elencati potessero essere sintomi sufficienti. Ci sono testi che danno modo di orientarsi nel contesto storico, nel quadro normativo in materia di leggi razziali e di condotte morali. Le vicende delle internate si svolgono tutte in Abruzzo, nell’Ospedale psichiatrico di Teramo che nacque nel 1323 e inaugurò la sezione psichiatrica nel 1881. Ha chiuso il 31 marzo del 1998 per effetto della legge Basaglia. Si stima che in questo periodo siano passati per questo manicomio circa ventiduemila “folli”, con un picco durante il ventennio fascista, periodo in cui, tra i direttori, ritroviamo anche Marco Levi Bianchini, fondatore della Società Italiana di Psicoanalisi.
Questa è la storia di donne che non sono riuscite ad adattare il loro animo alla remissività e alla pubblica esaltazione della funzione riproduttiva, come volevano gli slogan fascisti. Donne che uscivano la sera, destando pubblico scandalo, ritenute anaffettive con i figli e disinteressate alla famiglia. Donne che, dopo i conflitti bellici, hanno vissuto una repulsione per ogni attività che aveva caratterizzato in modo perpetuo la loro esistenza. In gran parte massaie, casalinghe, nate e cresciute in piccoli paesi e comuni, alcune con volti di bambine, un’età compresa tra i dodici e sessanta anni, anche se non sono mancati casi di bambine con soli due anni di vita. C’è Paolina, venti anni, povera, rinchiusa per “immoralità costituzionale”; Crocifissa G., trent’anni, casalinga, rinchiusa nel 1905; Adelaide D., che raggiunge la sorella in manicomio per il morso di un gatto nero; Chiara D., zingara e anche strega. Molte di queste donne hanno scritto lettere, grida mai giunte a destinazione, che ritroviamo allegate alle cartelle cliniche, sequestrate dalla direzione medica a scopo diagnostico (lettere e cartelle cliniche si possono ritrovare sul sito della Fondazione della Università di Teramo).
Come ha scritto una di queste donne, Haidè B., quarantacinque anni, casalinga e una diagnosi di “psicosi isterica”, «come naufrago che in una tempesta si appiglia alla prima tavola che gli capita davanti, così io immersa nelle barbarie inaudite, sono costretta a chiedere aiuto».Voci che rimarranno inascoltate fino a quando la riforma Basaglia non porrà fine alla barbarie inaudita dei manicomi civili. Si esce alla luce del giorno e ripercorrendo le scale che portano al lungo fiume si ha la sensazione di un conflitto continuo che sottende gli “eserciti della morale”, che non ha conosciuto armistizi di pace, neanche a guerra finita. (leda marino)
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