Due anni e mezzo dopo la chiusura del parco e sei mesi dopo l’acquisto da parte di una nuova cordata di imprenditori, la riapertura di Edenlandia è ancora lontana. Si allontana sempre di più, anzi, considerando le ultime notizie e il revival di un deprimente balletto che va avanti dal giugno del 2013. A far partire il nuovo giro di walzer è stato l’annuncio dei nuovi proprietari (la società New Edenlandia), che hanno ufficialmente comunicato l’impossibilità di rispettare l’impegno preso per la riapertura nel prossimo mese. Una defezione doppiamente problematica, con la conseguente apertura delle procedure di mobilità per i cinquantaquattro lavoratori in attività.
A questo punto è scesa in campo la Mostra d’Oltremare, che alla New Edenlandia ha affittato i suoli del parco, previa la concessione di un contratto di locazione talmente conveniente (per gli imprenditori) da risultare sospetto. A parlare è Peppe Oliviero, consigliere delegato dell’ente di Fuorigrotta, di fatto colui che decide e dispone su questa questione. Oliviero sbotta, dichiarando che «i limiti imprenditoriali di New Edenlandia sono manifesti. Siamo di fronte a una compagine squilibrata, nella quale la mano destra non sa quello che fa la sinistra. Noi che gestiamo patrimoni pubblici abbiamo il dovere di preoccuparci». Ancora, Oliviero dichiara che, mesi dopo la firma del contratto, New Edenlandia non ha ancora presentato un progetto sul futuro del parco, né un cronoprogramma che illustri tempi e modalità degli interventi. Dichiarazioni grottesche, per chiunque abbia a mente quanto successo negli ultimi mesi.
In primo luogo fa sorridere la scoperta fuori tempo massimo della poca affidabilità della cordata, a dispetto di avvisaglie chiare fin dal primo momento (per dirne una: la New Edenlandia ha preso possesso dell’area formando una società dal capitale di appena diecimila euro). Per non parlare del contratto di locazione sottoscritto con la società dalla stessa Mostra, proprietaria dei suoli, a un prezzo irrisorio per la durata di ventiquattro anni. Solo ora la dirigenza della Mostra si ricorda delle responsabilità di chi gestisce patrimoni pubblici, quando sarebbe bastato un comportamento coscienzioso appena sei mesi fa, per elaborare un contratto che rispecchiasse i reali valori di mercato e non fosse totalmente sbilanciato a favore del capitale privato.
Oliviero si supera quando parla della mancata presentazione del progetto e del cronoprogramma da parte di New Edenlandia, sconfessando le parole del suo presidente, Donatella Chiodo, che non più di tre mesi fa rassicurava pubblicamente un gruppo di cittadini intervenuti nel suo studio per chiedere chiarimenti sul contratto. Al comitato di quartiere, la Chiodo rimproverava una lettura superficiale dell’accordo, all’interno del quale vi sarebbe stato (se solo avessero cercato con più attenzione!) lo stesso cronoprogramma che oggi Oliviero nega di aver mai letto. Stesso discorso vale per le rimostranze fatte dai cittadini sull’incongruenza tra gli accordi preliminari e la scrittura del contratto, dal quale sparivano magicamente gli undici milioni di business plan che la nuova Edenlandia avrebbe dovuto garantire. Oggi, la poca chiarezza del piano industriale, potrebbe essere uno dei perni sui quali la Mostra proverà a far leva per rescindere l’avventato contratto.
Già, perché a parte il goffo ritardo con cui la partecipata comunale ha finalmente aperto gli occhi, la notizia è il tentativo, che la Mostra cercherà di mettere in atto, di annullare gli accordi presi. Un tentativo non facile, considerando anche la lunghezza delle procedure in questi casi. Se le cose dovessero arenarsi, a quel punto, un modo per sbrogliare la situazione potrebbe essere l’attribuzione di una sorta di buonuscita agli imprenditori, che metterebbero in tale circostanza a segno uno scacco matto che nemmeno Bobby Fischer al mondiale del ’72.
A ogni giro di questa strampalata giostra, tuttavia, è doveroso fare delle riflessioni. La più amara consiste nel fatto che proprio la Mostra, e il comune di Napoli, dimostrano di non aver imparato nulla dagli ultimi tre anni. Non hanno imparato che quello del “parco giochi” è un investimento ormai condannato dalla storia, a livello globale, per lo scarso rendimento economico; mentre in tutto il mondo, infatti, i grandi parchi vengono dismessi o convertiti in qualcos’altro, qui si pregano in ginocchio costruttori di biciclette (vedi il capo cordata della New Edenlandia, Mario Schiano) perché si accollino il problema, regalandogli in omaggio l’affitto dei terreni. Non hanno imparato (tanto da annunciare, ancora una volta, e senza temere il ridicolo, la presenza di nuovi investitori internazionali pronti a subentrare alla cordata attuale) che gli imprenditori seri si guarderanno bene dal mettere dei soldi veri in gioco, soprattutto considerando le questioni burocratiche sugli abbattimenti e i condoni ancora lungi dall’essere risolte. Non hanno imparato nemmeno a celare le proprie incapacità, tanto da finire per contraddirsi a vicenda tra amministratori comunali, consiglieri e presidenti, lasciandosi sbugiardare pubblicamente pure da un comunicato degli stessi imprenditori da cui si sono lasciati gabbare. Imprenditori che appaiono, tanto per cambiare, gli unici possibili vincitori di questa patetica pesca del cigno. (riccardo rosa)
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