Ha un passo sicuro Catello Maresca. Si fa chiamare Titì dagli amici più stretti, quelli cresciuti con lui negli anni Ottanta tra le rovine di una città che provava a risorgere dopo il terremoto, dilaniata da conflitti sociali e guerre di camorra. Maresca ci raggiunge quando l’odore dei taralli si leva su via Nazario Sauro.
Dieci anni di de Magistris: cosa resta?
Ecco. Quello che dobbiamo fare è dimenticare questa amministrazione e ricominciare. Con nuova lena, mai domi, oserei dire guizzanti. Ripartire dalle piccole istanze, per recuperare il senso della cosa pubblica. I cestini: venendo qua ne ho visti pochi. Come prima cosa bisogna mettere cestini ovunque.
L’immagine di Napoli, però, pare rigenerata.
Ecco. A questo siamo ridotti. Napoli è un’immagine, anche per i napoletani. Invece dobbiamo farla diventare la città dei servizi, una città smart che al tempo stesso non perde la propria vocazione popolare e popolana, tufacea direbbe il mio amico Michele. Un esempio? Perché non immaginare un distretto della pizza, con una fermata della metropolitana apposita, per rilanciare un quartiere degradato come Barra? Ho già parlato con gli imprenditori di via Tribunali e non hanno risposto, quindi lo interpreto come un segnale positivo. Barra sarà come il De Wallen di Amsterdam, ma in vetrina ci saranno pizze, pizze fritte, frittatine, qualche palla di riso – io la preferisco bianca. No alla prostituzione.
Ci sarà qualcosa di buono che questa amministrazione lascia in eredità, no?
Ecco. No.
Perché tanti magistrati scendono in politica?
Ecco. In campo giudiziario io ho dato il meglio, quella resta la mia stagione migliore. Ora però voglio inaugurare una nuova era. Il bene che ho qui (indica il cuore, ndr) lo voglio diffondere, non è possibile andare avanti così, camminare guardandosi le spalle, calcolare bene ogni frase e ogni parola, pesare anche la pasta che si mangia. Tutti sentono il bisogno, prima o poi, di uscire e gridare senza motivo, solo perché ci sono, esistono. Io sono qui e voglio che si sappia. Questo mi ha spinto in campagna elettorale.
Ci sono state polemiche sull’inserimento in lista di Hugo Maradona, poi sfumato. Perché l’ha fatto?
Stavamo preparando la lista quando mi è balenata l’idea di chiedere a Hugo la partecipazione. So che è un cittadino attivo, ha vinto uno scudetto in Giappone quindi potrebbe essere delegato ai trasporti… Scherzi a parte, Hugo è un amico. Fa parte di un’ampia platea di borghesia illuminata che questa città ha, ma che purtroppo negli ultimi anni si è rifugiata all’estero per provare il brivido di un autobus notturno. Maradona ci chiamava, voleva partecipare. Chi siamo noi per dire no a Maradona? Le dirò di più. A guardarci le spalle c’è il cosiddetto “palo di ferro”, Giuseppe Bruscolotti, che si è schierato con noi. Non siamo snob, sappiamo quanto conta questa squadra per i cittadini. Noi tifiamo per il riscatto.
Titì, lei crede in un’affermazione proprio come fu per de Magistris? Partenza da outsider e allungo finale?
Ecco. Guardi ne parlavo stamattina con il mio tassista di fiducia, Sirio. Negli ultimi tempi mi si danno meno chance di vittoria, vero? Ma se penso a quello che ha combinato de Magistris in dieci anni dico ai napoletani: un’opportunità non la merito anch’io? Non vogliamo aprire queste porte di palazzo San Giacomo alla società civile, sgrossando questo lardo istituzionale che ormai ci opprime? Ma dico io: avete letto della vicenda della metro di via Duomo?
Sì.
Ecco. E ora chiedo io a lei se è normale inaugurare una metropolitana e farla circolare solo per metà giornata. Napoli deve uscire dalla mentalità delle tre carte: chi sta a palazzo San Giacomo si sentiva poliziotto ferroviario, e invece giocava allo stesso gioco dei truffatori. Carta vince, carta perde, fate il vostro gioco. Sa il mio cognome da cosa deriva? Dal tipo di ciliegio marasca, quello con il quale si fa il maraschino. Si tratta di un frutto particolare, perché è una ciliegia aspra. Un ossimoro, se vuole. Quello che sarò anche nella mia amministrazione: dolce con quella Napoli dei vicoli, caratterizzata da un tessuto sociale unico e che va tollerato e capito; aspro e amarissimo con i profittatori, quelli che saccheggiano culturalmente la nostra capitale del Mediterraneo.
Scusi, ma sembra di sentire de Magistris.
Guardi, io e l’attuale sindaco abbiamo in comune forse un certo appeal, ma poco altro. Come dice un mio maestro, Guy Debord, noi non possiamo costruire che sulle rovine dello spettacolo. I dieci anni di de Magistris sono finiti, forse i napoletani li hanno acquistati su Groupon senza volerlo. Ora tocca fare sul serio. Io sono qui, eccomi. (a cura di palanza)
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