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16 Maggio 2014

Emergenza casa, tra occupazioni e decreti

Riccardo Rosa
(disegno di sarah bozzaotra)

Venerdì sera. Dopo circa due ore di tira e molla, spintoni e minacce, flex e cancellate bloccate, le pattuglie di agenti in tenuta antisommossa lasciano il quartiere Materdei. Dal tardo pomeriggio, allertati dal direttore generale della ASL Napoli 1, hanno provato a sgomberare l’ultima occupazione a uso abitativo in città, un palazzo in ristrutturazione da quattordici anni, in buone condizioni, che da oltre un decennio aspetta di essere consegnato alla destinazione prevista, quella di centro per anziani. Subito dopo il terremoto del 1980, l’edificio – di proprietà dell’azienda sanitaria locale – era stato occupato da alcune famiglie rimaste senza casa, che ottennero poi nel 2000 alloggio in alcune palazzine di edilizia residenziale pubblica in zona Marianella. Da allora il palazzo è vuoto, sorvegliato ventiquattrore al giorno da quattro vigilanti, con un costo rilevante, ma probabilmente inferiore rispetto alle spese di gestione che comporterebbe l’avvio dell’attività. Nel corso degli anni, a cadenza periodica, alcune ditte sono tornate a riprendere i lavori per conto della Asl. Gli interventi vanno ogni volta avanti per qualche mese, ma l’opera non viene mai portata a compimento. Lo scorso giovedì, un gruppo di precari, disoccupati e famiglie ha nuovamente occupato la struttura.

L’occupazione di Materdei è una delle cinque della campagna Magnammece ‘o pesone, che negli ultimi tre anni ha provato a fornire una risposta all’emergenza abitativa in città. In una prima fase le occupazioni (che in totale danno alloggio a circa centocinquanta persone) coinvolgevano soprattutto precari tra i trenta e i quaranta anni, la cui condizione di instabilità lavorativa è strettamente intrecciata a quella sociale e abitativa. In un secondo momento hanno coinvolto famiglie in morosità sugli affitti, nuclei monoreddito in difficoltà, persino piccoli commercianti alle prese con una crisi che non accenna a finire.

I numeri napoletani sono tra i più preoccupanti in Italia. Si parla di diciassettemila persone in emergenza abitativa accertata e milleseicento sfratti per morosità incolpevole, situazione che potrebbe peggiorare alla luce del decreto legge del nuovo governo, in discussione tra dieci giorni in parlamento. Il decreto prevede, tra le altre cose, l’interruzione delle utenze per gli occupanti di case e l’annullamento della residenza assegnatagli nel corso degli anni. A livello locale l’amministrazione appare totalmente impreparata a fronteggiare la questione. L’handicap principale è l’assenza di risorse destinate all’emergenza abitativa (la voce di bilancio corrispondente per il comune di Roma è di ventisette milioni di euro). Ad alcune misure come la rescissione delle convenzioni con gli alberghi, che pure per le casse comunali erano assai svantaggiose, non sono seguiti atti capaci di assicurare una risposta concreta, neppure per le situazioni di difficoltà estrema. Sul versante della cosiddetta “emergenza storica”, ci sono le graduatorie per gli aventi diritto a un alloggio pubblico, che sono praticamente ferme, con una media di dieci assegnazioni all’anno per quasi ventimila persone. Considerando la lentezza delle procedure e la scarsa possibilità (economica e logistica) di costruire nuova edilizia residenziale pubblica, a fronte invece di una disponibilità enorme di patrimonio privato inutilizzato, per la maggior parte degli aventi diritto sperare di avere una casa è tecnicamente impossibile. Con le graduatorie, anche il censimento delle situazioni di difficoltà cittadine rispecchia una realtà vecchia di un decennio, senza prendere in considerazione i numeri altissimi di napoletani che vivono in situazioni “informali”, come i cosiddetti scantinatisti o gli occupanti di container, o quelli riguardanti le più recenti occupazioni.

Anche in considerazione di ciò, la giunta mostra una posizione di debolezza estrema. Non ci sono risorse per fronteggiare l’emergenza, e non c’è edilizia pubblica disponibile. L’attività politico-amministrativa è di fatto commissariata dalla Corte dei conti, e le risorse risparmiate nel settore (vedi annullamento degli accordi con gli alberghi) non sono state investite, per esempio, in una politica di ristrutturazione del patrimonio inutilizzato. Una impasse che da vita a situazioni imbarazzanti, come quella di una palazzina occupata in salita Arenella, oggetto di un complicato groviglio giudiziario, che il comune potrebbe rilevare d’accordo con la curatela fallimentare a costo zero, in permuta con un altro edificio non utilizzato. L’amministrazione, però, intimorita dalla possibilità di promulgare un atto illegittimo, temporeggia. L’immobile, a questo punto, rischia di essere ceduto all’asta a un privato a un prezzo stracciato, con buona pace delle famiglie che da qualche mese ci abitano.

A livello nazionale, il movimento di lotta per la casa ha ricominciato a crescere. A Roma le occupazioni di edifici abbandonati si moltiplicano, coinvolgendo anche i migranti o i cittadini italiani di seconda generazione. Occupazioni che costituiscono in molti casi una pratica di lotta rodata, e che infatti il decreto Renzi-Lupi prova a colpire, anche a costo di un possibile stop per incostituzionalità. Anche in caso di approvazione, tuttavia, nel contesto napoletano è difficile immaginare una reale attuazione del decreto legge governativo, che rischierebbe di lasciare senza acqua e luce migliaia di persone, considerando gli altissimi numeri di occupanti abusivi. Per fronteggiare quest’eventualità, i comitati di base chiedono al comune una delibera simile a quella recentemente elaborata per l’assegnazione a uso sociale di spazi abbandonati, che estenda la destinazione d’uso degli edifici anche al livello abitativo. Tutto appare però in alto mare, e assai più lento rispetto ai bisogni che la città esprime quotidianamente. (riccardo rosa)

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