Ricominciano oggi, dopo una sosta di qualche giorno, gli Europei di calcio probabilmente più brutti della storia. L’idea di allargare il numero di squadre ha, come prevedibile, abbassato ulteriormente il livello dello spettacolo, già scadente in tutte le grandi competizioni calcistiche per nazionali degli ultimi anni. Per avere un’idea dello scempio, basti pensare che nella fase a gironi si sono registrati contemporaneamente il record di zero a zero e il numero più basso di media gol a partita da quando esiste la fase a gironi. Addirittura, rispetto alle edizioni del 2000 e del 2004, sempre nella fase preliminare, sono stati segnati solo quattro gol in più, nonostante nelle due edizioni di inizio millennio le squadre fossero otto in meno rispetto a quelle attuali. È noto, tuttavia, come dal letame siano soliti germogliare fiori. Per cui assieme a tanto di inguardabile, anche in questi Europei qualcosa da salvare c’è. Proponiamo il pagellone della prima parte di torneo, in attesa dei voti definitivi, dopo la finale di Parigi.
10 / L’Islanda. Anzi i suoi tifosi. Anzi quella sorta di ululato ritmato (lo chiamano Geyser Sound) che parte dagli spalti ogni dieci minuti o quarto d’ora e che, intervallato dal battito di mani, fomenta i giocatori ridandogli la carica anche nei momenti più difficili. Eccitante la scena, al termine della storica vittoria contro l’Inghilterra, in cui tutti i calciatori della rosa si dispongono sotto la curva e partecipano al rito, in tre o quattro file orizzontali e alle spalle del capoclan Gunnarsson, che in effetti assomiglia più a Ivar il vichingo che a un giocatore di pallone. Vedere per credere. Tribali.
9 / Arrigo Sacchi. Ospite fisso della trasmissione Il grande match, che va in onda tutte le sere dopo le partite, l’inventore del calcio moderno è ben più di una spanna sopra gli altri ospiti, per competenza e stile. Nel corso di una delle puntate iniziali qualcuno gli fa un appunto per un abbigliamento un po’ troppo casual? Lui da quella successiva si presenta in giacca e cravatta. Mentre si parla di tattica qualcuno lancia un servizio sui giocatori con la barba? Lui ritorna completamente a sproposito sulla questione lasciata in sospeso anche un quarto d’ora dopo, in barba a qualsiasi tempo televisivo. Qualche anno fa si ritirò dal mondo del calcio avendo accusato seri problemi di stress. Considerando la meticolosità con cui affronta qualsiasi discussione che giri intorno anche vagamente al pallone, non c’è da stupirsi. Fanatico.
8 / Ricardo Quaresma. Portogallo, Spagna, Italia, Turchia, Inghilterra, Emirati Arabi. Una carriera in giro per il mondo, croce e delizia di tutti i suoi tifosi. In questo Europeo parte ai margini della squadra titolare, forse il ruolo più appropriato per uno come lui. Però in un modo o nell’altro finisce sempre in campo, a regalare ai tifosi il suo repertorio di dribbling ubriacanti e spesso inutili, e le sue trivele quasi sempre facile preda dei difensori. Eppure, quella volta su dieci che la giocata riesce, diventa decisiva per le sorti della partita. Proprio da lui, il re degli inconcludenti, il leader indiscusso dei calciatori belli e fumosi, arriva la capocciata decisiva nella partita contro la Croazia, dopo una doppia occasione che i più concreti Nani e Ronaldo avevano fallito. Ce ne fossero ancora di calciatori così, i cui unici obiettivi sono saltare l’uomo e gli allenamenti, questo sport sarebbe più divertente. Bobagem.
7 / Lo scambio di battute tra un buontempone della rete e lo staff della cantante Ivana Spagna, che dopo la partita in cui la nazionale di Conte butta fuori le ex furie rosse, riceve dal tizio di cui sopra un messaggio privato su Facebook: “Due a zero e a casa, merde!”. Infastiditi, ed evidentemente poco dotati di senso dell’umorismo, gli uomini della Spagna se la prendono parecchio, rispondendo: “Buonasera. Si presume sia superfluo specificare che il cognome della Sig.ra Spagna non autorizza nessuno a scrivere messaggi privati che nulla hanno a che fare con la sua attività. La preghiamo di rivolgere la sua euforia calcistica altrove, altrimenti saremo costretti a informare l’ufficio legale. Cordiali saluti”. Con la viva speranza che non si tratti di un fake. Allo sbando.
6 / I capelli di Perisic, che dopo un girone di qualificazione giocato in maniera esaltante, decide di tingersi mezza testa a quadratini bianchi e rossi, in ossequio alla bandiera della sua terra. Un nazionalismo che risulta poco simpatico, oltre a essere il modo migliore per farsi notare nella partita peggiore sua e della sua squadra. Image consultant cercasi.
5 / La Croazia. Squadra completa, ottima nelle tre partite del girone: solida in difesa, esibisce un buon giro palla a centrocampo, è devastante sulle fasce (soprattutto a destra, dove l’inossidabile Srna corre ancora come un ragazzino) e ha un buon mix di potenza e fantasia in avanti. Gli uomini di Cacic spengono la luce nella partita più importante, l’ottavo di finale contro il soporifero Portogallo, che riesce ad addormentare ogni avversario e tutte le sue velleità di vittoria. Giocata a un altro ritmo, la partita non avrebbe avuto storia. E invece, soprattutto nel primo tempo, la Croazia non gioca, per poi svegliarsi nei supplementari e prendere un goffo gol in contropiede. Certo, l’allenatore ci mette del suo: per centodieci minuti tiene in campo il fantasma di Rakitic senza lasciare un minuto a Pjaca, l’unico giovane veramente talentuoso visto finora; e soprattutto lascia in panchina Vrsalko per Strinic, il vero protagonista dell’eliminazione. A pochi minuti dai calci di rigore, e con la sua squadra tutta sbilanciata in avanti, il biondo terzino del Napoli si fa soffiare un pallone sulla trequarti e dà il via libera al contropiede degli avversari, che si concluderà con la rete di Quaresma. Un epilogo in quel momento imprevedibile. Immaturi.
4 / Vicente Del Bosque. Non si capisce come la Spagna, dominatrice per quasi dieci anni del calcio mondiale a livello di club e nazionale, abbia dilapidato in poco tempo il margine di vantaggio conquistato sulle avversarie, a livello tecnico e tattico. Europeo 2008, primo posto. Mondiale 2010, primo posto. Europeo 2012, primo posto. Mondiale 2014, eliminata ai gironi. Europeo 2016, eliminata agli ottavi. L’era del Tiki Taka è (fortunatamente) finita, e la faccia dell’imbolsito marchese Del Bosque, che rimane in panchina a bofonchiare mentre i suoi non riescono a penetrare in nessun modo la trincea messa in campo da Conte, lo conferma. Se è vero che fino a qualche anno fa la generazione di Xavi e Iniesta, Puyol e Piquè, Torres e Villa aveva solo bisogno che qualcuno gli consegnasse la maglia e gli scarpini per vincere tutto, è anche vero che il buon Vicente non ci prova nemmeno, a organizzare qualcosa che sia una specie di “piano B” quando l’estenuante possesso palla non porta a nulla. Inoltre sbaglia formazione nella partita decisiva, concedendo ai tre centrali azzurri gioco facile in raddoppio su Morata, lasciando fuori Pedrito e Lucas Vasquez, rapidi e veloci, che infatti sono gli unici a impensierire la retroguardia della Juventus, pardon, dell’Italia, quando entrano in campo. Chissà che questa seconda sberla consecutiva non serva a cambiare registro. Requiem.
3 / Thiago Motta. Uno che a venticinque anni, nel pieno della carriera, aveva nella lentezza il suo tallone d’Achille. Figuriamoci oggi che ne ha trentaquattro, e ha passato le ultime quattro stagioni a pascolare sui facili terreni del campionato francese. Eppure Conte lo convoca (lasciando a casa Jorginho, miglior regista del campionato), gli consegna il numero dieci che fu di Rivera, Baggio, Zola, Totti e Del Piero, poi non solo lo fa giocare, ma addirittura lo schiera titolare nella partita contro l’Irlanda. Cammina in campo, cade a terra ogni volta che qualche avversario lo affronta in maniera appena un po’ vigorosa; si addormenta con la palla tra i piedi; sbaglia anche i passaggi più elementari. Al termine della partita con la Spagna uno dei primi pensieri di rammarico del tecnico sarà proprio per lui che, ammonito e squalificato, sarà costretto a saltare i quarti contro la Germania. I tifosi, quell’ammonizione, l’hanno salutata con un entusiasmo superiore a quello derivante dal gol di Chiellini. Pensionabile.
2 / Il grande match. Il solito, inguardabile, inspiegabilmente magnetico (nel senso che calamita ascolti) programma post-partite della Rai. A presentarlo c’è Flavio Insinna, nel tentativo di dare attraverso la sua fastidiosissima parlantina-kalashnikov un po’ di verve a un piattume inenarrabile. Il parterre di ospiti è bocciato su tutta la linea: Marco Tardelli, scanzonato al limite della strafottenza; Federico Balzaretti, sulle cui parole non ci si riesce mai a concentrare per colpa dei suoi vestiti da dandy dell’età Vittoriana; Ivan Zazzaroni, troppo presuntuoso per apprezzarne gli sprazzi di lucidità; Katia Serra, al centro dell’attenzione ma di fatto emarginata come sempre accade quando le donne parlano di calcio in mezzo agli uomini; a salvarsi, il solo Arrigo Sacchi, di cui si è già detto. Nel gruppone dei giornalisti, il più fresco Antinelli ha gioco facile rispetto all’imbolsita accoppiata Marco Mazzocchi-Paola Ferrari. Tra i momenti più interessanti: lo scivolone con cui Mazzocchi confonde le due Irlande e le decine di volte in cui la Ferrari, ossessionata dai tempi tecnici, stronca in malo modo qualsiasi velleità di oltrepassare gli schemini Rai da parte del collega. Un baraccone che è un ennesimo regalo alle pay-tv. Armata Brancaleone.
1 / Roy Hodgson. L’unico uomo che con la sua flemma imperturbabile ultra-british, è riuscito a far incazzare persino Javier Zanetti (accadde durante una finale Uefa contro lo Schalke). In seguito, avevamo imparato ad apprezzarlo in Inghilterra, al Blackburn, al Liverpool e al Fulham, tanto da guadagnarsi la panchina della nazionale per il dopo Capello (per fare un paragone, è come se alla guida dell’Italia mettessero, che so, Ventura). Ma di tutta la sua altalenante carriera, in questo Europeo il tecnico di Croydon tocca il punto più basso, mettendo in campo sempre la formazione sbagliata, insistendo su gente come Lallana, Alli, e uno Sterling che persino Rambaudi, dai microfoni Rai, si accorge essere alla canna del gas; e poi Rooney a centrocampo, Dyer inamovibile in mediana, con gli unici due centrocampisti veri, Milner e Henderson, quasi sempre in panca, così come il frizzante Rashford e addirittura Jamie Vardy, l’uomo migliore dell’ultimo campionato, a cui viene preferito Kane, arrivato in Francia a corto di idee e benzina. Una serie di scelte scriteriate che costano alla nazionale inglese una Brexit tanto più cocente perché avvenuta per opera di una nazionale il cui paese non ha molti abitanti in più del quartiere in cui Hodgson è nato. In ogni caso “ora è finita e non c’è più nulla da fare”, scriveva Dickens ne Il circolo Pickwick. “E questa è già una consolazione, come dicono in Turchia quando tagliano la testa dell’uomo sbagliato”. Hard Times (giusto per rimanere in tema). (riccardo rosa)
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