da: perUnaltracittà
L’episodio del fermo del giovane senegalese Pape Demba Wagne e l’indignazione suscitata dal video che mostra il soffocamento del venditore ambulante, per fortuna in questo caso senza esiti letali, hanno riacceso la discussione sul ruolo del reparto antidegrado della polizia municipale.
Le presunte azioni del reparto avevano già portato a una protesta cittadina nell’estate del 2013. Sabato 16 aprile due manifestazioni si sono svolte a Firenze per chiedere chiarezza su quanto accaduto sul Lungarno Acciaioli: un presidio promosso dalla comunità senegalese, sabato mattina, e un corteo pomeridiano, promosso da Firenze Antifascista, manifestazioni che si sono sostenute e rafforzate l’una con l’altra.
IL REPARTO ANTIDEGRADO
La presenza di un reparto antidegrado all’interno dell’Area prevenzione e polizia giudiziaria della polizia municipale è la conseguenza di scelte politiche che vengono da lontano, dai primi anni Duemila.
Già con la legge quadro del 1986 vengono attribuite alla polizia municipale fiorentina funzioni di polizia giudiziaria, polizia stradale e funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza; ma è negli anni della giunta Domenici – in cui Graziano Cioni è assessore alla sicurezza sociale, sicurezza e vivibilità urbana e polizia municipale – che il reparto sale agli onori della cronaca. Sono gli anni delle ordinanze contro i lavavetri e contro i mendicanti in cui si sostiene che l’accattonaggio “non è un reato, ma i mendicanti distesi per terra sono un grave ostacolo”. La città non ci sta, sono tante le proteste e le manifestazioni, ma la giunta e l’assessore Cioni vanno avanti: sempre nel 2008 arriva il nuovo regolamento di polizia municipale. Nelle cronache del primo giorno di applicazione del regolamento si legge di multe a una residente che aveva esposto dei panni ad asciugare sulla strada, di multe e allontanamenti per mendicanti che “recavano intralcio o fastidio ai pedoni”, del sequestro del cane a un altro mendicante in piazza Dalmazia.
DECORO E TOLLERANZA ZERO
Erano gli anni del decoro, quelli in cui politici di destra e centro-sinistra andavano negli Stati Uniti a imparare, con dieci anni di ritardo, la politica della tolleranza zero, nata a fine anni Settanta, ma introdotta a pieno nei Novanta da Rudolph Giuliani a New York. Politica assai meno risolutiva di quanto sbandierato, ma che non impediva ai nostri politici una corsa per la stella da sceriffo (da Cofferati fino ai leghisti).
La politica delle “finestre rotte” importata dagli Stati Uniti sostiene che la percezione dell’insicurezza conta più dei fatti. È lo stesso Cioni ad affermare che “Firenze è una città sicura rispetto al contesto italiano, ma al tempo stesso cresce l’insicurezza dei cittadini non tanto rispetto alla criminalità quanto piuttosto agli episodi di degrado che ci sono nella nostra città”.
Sono gli anni in cui si comincia a sentire l’effetto dei primi tagli al welfare state, l’insicurezza sociale ed economica che le persone sentono viene distratta in questo modo verso gli ultimi della società: senza fissa dimora, prostitute, persone con patologie mentali o dipendenza da sostanze, migranti, ma anche giovani che fanno parte di gruppi politici, artistici o centri sociali. La narrazione tossica del neoliberismo racconta che la povertà è una colpa perché per smettere di essere povero basta volerlo.
IL 2013 E LE OPERAZIONI ANTIABUSIVISMO
Arriviamo al 2013, quando un cittadino che decide di restare anonimo consegna la sua testimonianza a Ornella De Zordo, consigliera comunale di perUnaltracittà, che decide di leggerla durante una seduta del consiglio comunale. Il testimone racconta di aver notato alla stazione di Santa Maria Novella un gruppo di dieci-quindici persone, di cui due, i più anziani, con in mano una ricetrasmittente, mentre i più giovani “si sarebbero spostati di corsa verso la fermata della tramvia prendendo a pugni cinque-sei giovani di colore scesi dal convoglio, che avrebbero poi cercato scampo dalle botte fuggendo”. Il Comune ammetterà che proprio quella sera, il 13 giugno 2013, era in corso un’operazione antiabusivismo del Nucleo antidegrado della polizia municipale di Firenze. A tutto questo seguirà una grande manifestazione cittadina, la prima che chiederà lo scioglimento del nucleo.
LA DERIVA SECURITARIA: LE ORDINANZE
I nove anni che separano l’episodio della stazione da quello del Lungarno Acciaioli sono un susseguirsi di ordinanze via via sempre più securitarie, da quella legata alle zone rosse, al divieto di stazionamento e passaggio da alcune piazza cittadine fino al Daspo di quarantott’ore, sempre per le stesse categorie indecorose, in poche parole i poveri. Nel frattempo, la parola “decoro” diventa la formula magica che permette l’inizio di una grande speculazione urbanistica all’interno di zone considerate degradate. Sappiamo bene come Firenze sia al centro degli appetiti di grandi holding immobiliari e finanziare, e il decoro apre loro tutte le porte.
I FATTI DI LUNGARNO ACCIAIOLI
L’episodio di Lungarno Acciaioli, che colpisce la comunità senegalese (la quale conta già tre morti da armi da fuoco armate da moventi razzisti) ci pone di nuovo di fronte al problema del ruolo del reparto antidegrado. La stessa Rsu Funzione pubblica Cgil del comune di Firenze, pur ribadendo la “correttezza delle procedure previste per la gestione di questi casi” chiarisce come ci sia un rapporto di uno a cinque agenti tra il reparto antievasione (che controlla sul recupero delle somme non versate al comune, sui canoni, sui tributi e sugli affitti in nero) e il reparto antidegrado. Il comunicato definisce questa situazione “una chiara scelta politica dell’amministrazione”. La stessa Cgil evidenzia “lo stress generalizzato nel personale” e chiede “formazione anche su gestione dei conflitti e autodifesa”.
Per quanto riguarda la pratica della ormai cosiddetta “presa alla Floyd“, nel video sui diritti fondamentali dei migranti in caso di allontanamento del Garante nazionale delle persone private della libertà, si afferma che “l’uso della forza e dei mezzi di coercizione nei confronti di coloro che si oppongano all’allontanamento […] in nessun caso può comportare compressioni del busto o delle vie aeree che impediscano la corretta respirazione”. Luigi Manconi, inoltre, sostiene come la presa con la persona prona, le braccia dietro la schiena, i polsi ammanettati e gli agenti che premono su spalle, scapole e dorso, provocando l’asfissia, “vada immediatamente cancellata dalle modalità cui fanno ricorso gli apparati di polizia in occasione di un fermo”. (redazione perunaltracittà)
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