
La Dora è traccia da seguire per ritrovare un orientamento nella città. Lambisce fabbriche in abbandono, mercati di oggetti dismessi, il centro direzionale Lavazza, il nuovo campus universitario. Il fiume non segna un confine naturale, ma una frontiera dove ancora avvengono incontri e conflitti. Qui alcuni abitanti resistono agli sfratti, gli straccivendoli vengono allontanati dalle amministrazioni e una scuola di scrittura insegna ad apprendisti funzionari l’arte di manipolare il linguaggio. L’osservatore lungo le sponde del fiume può notare il dispiegamento del governo e la gestione dei marginali. Le esplorazioni sono parziali e frammentarie, perché non esiste un disegno o una ragione che domina, ma poteri sparsi che aspirano all’egemonia. Sembra a volte che queste forze – per quanto variegate – spingano in una medesima direzione, come rivoli d’acqua trascinati insieme nel corso del fiume. Eppure persistono i movimenti controcorrente.
Riproporremo nei prossimi giorni alcuni degli articoli dedicati alla questione, pubblicati sul nostro sito.
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Torino, l’orizzonte della riqualificazione. Uno sfratto in via Borgo Dora
Era notte e un’auto blu con i vetri oscurati si è fermata accanto all’albergo antico del quartiere. Un uomo stempiato ha abbandonato il sedile posteriore. «Vuole che l’accompagni?», ha domandato l’autista. L’uomo si è avviato con passo malsicuro verso l’ingresso. La cravatta era allentata. L’auto si è allontanata e dal buio di corso Giulio Cesare è emerso un giovane con la felpa blu e il passo svelto. Si è avvicinato: «Tutto bene? Avete bisogno di qualcosa?». «No grazie, va tutto bene». Il ragazzo è tornato tra le ombre.
A Borgo Dora abbiamo visto nascere bistrot là dove un tempo gli uomini si appartavano con l’eroina. Ogni sabato italiani, rom e africani vendono gli oggetti ritrovati, distendono i banchi poco oltre la strada dei restauratori e dei ricchi antiquari. Alcune occupazioni resistono a pochi metri da appartamenti ristrutturati e venduti a noi nuovi arrivati. I militanti dell’Asilo di via Alessandria affidano ai muri critiche, memorie e appelli, ma la sera auto d’un bianco metallico riflettono le luminarie accanto al locale di moda. Poco più in là un portone conduce al centro di preghiera islamico e le panetterie arabe sono aperte fino alle dieci. Eppure ricordiamo ancora quella sera quando il nuovo circolo LGBT ha promosso il festival cittadino di cinema erotico: peni e vagine erano proiettati accanto al bancone dei drink. Sentiamo ogni giorno il viavai turbolento e vario di donne e uomini perché qui dietro, in piazza della Repubblica, c’è il mercato aperto di Porta Palazzo. Poi abbiamo visto camionette della polizia presidiare l’ingesso della scuola Holden in piazza Borgo Dora: quel pomeriggio il sindaco di Torino ha varcato la soglia dell’antico opificio militare per presentare il programma della campagna elettorale. L’ingresso era riservato agli studenti che ogni anno pagano una retta di diecimila euro.
In fondo a via Borgo Dora, a pochi passi dalla scuola, si trova un vecchio palazzo dai muri scrostati di pallido ocra. Nei quattordici appartamenti abitano famiglie, coppie, uomini soli. Sono tutti marocchini, eccetto la coppia di donne nigeriane del secondo piano. L’edificio è fatiscente: alcuni soffitti sono pericolanti, le infiltrazioni impregnano le pareti. Pochi appartamenti hanno il bagno, i servizi sono esterni e condivisi, per fare la doccia bisogna raggiungere i bagni pubblici. Moustafa è in Italia dagli anni Ottanta e ha una risata che viene dal fondo del petto. Nel 2012, d’accordo con gli altri inquilini, ha denunciato le condizioni del palazzo. L’Asl venne a fare dei rilevamenti e riconobbe i danni strutturali. Giunsero anche i responsabili del Comune. «Hanno fatto un preventivo di trecentomila euro per un lavoro di un anno. Il proprietario ha mandato qualche operaio, hanno messo dello stucco qua e là, hanno aperto dei buchi nelle pareti per far passare l’aria in ogni appartamento, ma è stato un lavoro fatto per finta. In una settimana era tutto finito», ci ha raccontato. «Le cose non cambiavano; perché versare l’affitto se la situazione era così? Ho iniziato a non pagare». Anche gli altri inquilini, uno dopo l’altro, hanno smesso di versare l’affitto. «Abbiamo tutti il contratto, io abito qui da nove anni, altri vivono da vent’anni in questo palazzo. Volevamo delle riparazioni degne». Poi il vecchio proprietario è morto e i rapporti con gli eredi sono divenuti più tesi.
Nel 2015 Roberto Manolino, un impresario di Chieri, ha rilevato il palazzo per una cifra di poco inferiore a cinquecentomila euro. Per l’operazione ha creato una società ad hoc – la BorgoDora39 s.r.l. – e ha citato in giudizio gli abitanti per morosità. «Noi abbiamo detto: parliamo, mettiamoci d’accordo, se il palazzo viene ristrutturato siamo disposti a pagare. Ma al proprietario interessa solo avere il palazzo vuoto. Vuole realizzare appartamenti nuovi per gli studenti della scuola Holden».
Il procedimento giudiziario si è frazionato. Otto nuclei familiari non si sono difesi, il loro processo è andato avanti e sono imminenti le prime notifiche di sfratto. Sei famiglie, invece, si sono affidate a un avvocato che ha riscontrato un errore formale nell’accusa, rallentando i tempi dello sfratto. «Ora hanno tre mesi di grazia per saldare la morosità – ci ha raccontato l’avvocato –, se non pagano viene convalidato lo sfratto e si avvia la procedura esecutiva». Secondo la legge le carenze strutturali di un palazzo non giustificano il mancato pagamento: «Il diritto dell’inquilino in caso di inagibilità del palazzo è uno: può andarsene senza l’obbligo di disdetta, niente di più. Il codice civile garantisce solo i diritti di proprietà». L’istituzione pubblica può disporre un provvedimento di urgenza se l’immobile presenta danni strutturali rilevanti. In quel caso il proprietario è obbligato a intervenire: «Di fatto i piani di intervento urgente sono l’esito della contrattazione tra il comune e il locatore. Normalmente il comune delibera la necessità di un intervento urgente solo se esiste un investitore disposto a spendere il necessario per la ristrutturazione. L’urgenza non è impiegata per risolvere un problema abitativo, è una misura per consentire un intervento urbanistico immediato». In seguito al provvedimento d’urgenza può essere necessario sgomberare il palazzo, ma il proprietario non ha alcun obbligo nei confronti degli abitanti. Così in città la politica abitativa è disegnata dall’iniziativa degli investitori privati. «Se il comune dovesse sgomberare gli immobili non a norma, sarebbero coinvolte più della metà delle abitazioni. Allora le istituzioni si limitano ad avvallare i progetti di riqualificazione». (continua a leggere…)
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