
La Dora è traccia da seguire per ritrovare un orientamento nella città. Lambisce fabbriche in abbandono, mercati di oggetti dismessi, il centro direzionale Lavazza, il nuovo campus universitario. Il fiume non segna un confine naturale, ma una frontiera dove ancora avvengono incontri e conflitti. Qui alcuni abitanti resistono agli sfratti, gli straccivendoli vengono allontanati dalle amministrazioni e una scuola di scrittura insegna ad apprendisti funzionari l’arte di manipolare il linguaggio. L’osservatore lungo le sponde del fiume può notare il dispiegamento del governo e la gestione dei marginali. Le esplorazioni sono parziali e frammentarie, perché non esiste un disegno o una ragione che domina, ma poteri sparsi che aspirano all’egemonia. Sembra a volte che queste forze – per quanto variegate – spingano in una medesima direzione, come rivoli d’acqua trascinati insieme nel corso del fiume. Eppure persistono i movimenti controcorrente.
Riproporremo nei prossimi giorni alcuni degli articoli dedicati alla questione, pubblicati sul nostro sito.
* * *
Seguendo la scia dei venditori nomadi. Come cambia Torino
La prima domenica di ottobre i venditori hanno occupato il controviale di corso Novara e l’intera via Regaldi, una cieca strada interna. Davanti ai miei occhi scorrevano i volti africani, i gesti pensierosi degli acquirenti, i salti dei bambini, l’attesa paziente dei rom; sentivo i richiami dei venditori, «tutto a un euro, un euro», voci ruvide sussurravano «no, troppo caro», un uomo con un carretto andava avanti e indietro alla ricerca di un angolo libero, le dispute sul prezzo scaldavano l’aria. Gli oggetti in vendita erano dispersi su stuoie, drappi, tavolini disposti in file ordinate. Eppure il mio sentimento si smarriva in un sistema di categorie in frantumi. Quella mattina ho notato tanti cellulari, un romanzo di Conrad, alcune biciclette, mazzi di menta fresca per fare il tè, una zebra di peluche, una Storia d’Italia di Indro Montanelli, grovigli di carica-batterie, orologi di valore, spezie in barattoloni di plastica, resti recuperati dai cassonetti, una cassa di uva, fumetti pregni di umidità da soffitta, scarpe nuove e scarpe lise, maglioni. L’assembramento di venditori cingeva il perimetro esterno di un immenso piazzale deserto: nessuno vi poteva entrare perché il cancello d’accesso era chiuso con un catenaccio.
Due vigili osservavano interdetti la scena. «Perché l’area del mercato è chiusa?», ho domandato. Da un anno e mezzo il mercato degli oggetti abbandonati si teneva all’interno dell’Ex-Scalo Vanchiglia, il piazzale tra corso Novara, corso Regio Parco e via Regaldi. «I proprietari dell’area non hanno più rinnovato la concessione al comune. L’ultimo bando per la gestione dello spazio scadeva a settembre. Così la cooperativa che amministrava il mercato non si è presentata e l’ingresso resta serrato». Ma i venditori hanno raggiunto l’area all’alba e hanno deciso di svolgere lo stesso la loro attività.
Nel secolo scorso lo Scalo Vanchiglia era il più importante punto di raccolta e smistamento delle merci nel nord della città. Accanto passava la linea ferroviaria della Torino-Milano; tutt’intorno si sviluppava un’area industriale che comprendeva anche le acciaierie Fiat. Oggi la ferrovia passa sotto terra e le industrie sono state abbandonate. Così lo Scalo è diventato un immenso, silenzioso piazzale recintato da muri alti tre metri. Da qui s’intravede il cimitero monumentale e poco più in là scorre la Dora.
Un suono di fisarmonica mescolato a un ritmo dance fluiva da una vecchia cassa e sovrastava i richiami dei venditori. I miei passi erano sospesi tra l’abbandono dolce al brulichio e l’inquietudine del disorientamento. Le istituzioni chiamano questo fenomeno il “mercato del libero scambio”, i giornalisti dicono fulminei: “il suq”. Il mercato degli oggetti ritrovati è un’istituzione della domenica. In passato si teneva in piazza della Repubblica, cuore del quartiere di Porta Palazzo, ma nel 2013 l’amministrazione decise di spostarlo qui perché la situazione era “ingestibile”.
Quella stessa domenica ho preso la bici e ho attraversato il fiume per raggiungere piazza della Repubblica. Di fronte alla tettoia del mercato ortofrutticolo s’innalza la sagoma di un palazzo che appartiene alla Compagnia di San Paolo. Tempo fa la fondazione ha rimesso in sesto l’immobile, ora è un social housing. Al piano terra ospita un ristorante-gastronomia, una sala per proiezioni e conferenze, un’agenzia di viaggi solidali. L’intero abitato è stato battezzato Home Luoghi Comuni. Era una domenica particolare: i gestori dello stabile avevano organizzato una giornata di eventi culturali. La locandina esponeva un disegno dell’edificio accerchiato da onde di colore, a fianco campeggiava la scritta “Porte Aperte a Luoghi Comuni”. Il programma prevedeva il pranzo presso la gastronomia, una “festa delle favole” per i bambini, le “incursioni musicali” di un’orchestra e “l’open day” per l’inaugurazione di una nuova pescheria. Il proprietario rassicurava i clienti: «Sì, saremo anche un ristorante, ma la vendita del pesce sarà sempre il servizio più importante». Era sera ormai, e dalla pescheria si alzava il brusio degli avventori in cappotto.
Sabato è il giorno del Balon, lo storico mercato delle pulci a Borgo Dora. L’associazione ViviBalon gestisce il mercato informale e ha un piccolo ufficio che dà sulla via delle bancarelle. Dario, il presidente di ViviBalon, mi ha squadrato con diffidenza. «Tu che vieni a fare domande, non sarai mica un anarchico?». L’associazione dirigeva anche il mercato domenicale di Porta Palazzo. Quando il comune pubblicò il bando per l’Ex-Scalo Vanchiglia, ViviBalon perse l’appalto. L’offerta migliore fu di una cooperativa che possiede un ristorante, una gelateria e una panetteria nel centro di Torino. Nel frattempo un collaboratore ha rassicurato Dario: «Ma non vedi che ha il maglione colorato? Garantito, non è anarchico». Mi sono seduto al fianco di Dario. «Lo spostamento del mercato da piazza della Repubblica all’Ex-Scalo – ho chiesto – non era forse connesso ai progetti di riqualificazione finanziati da Compagnia di San Paolo?». Dario ha scosso la testa: «Vedi che sei anarchico? Devi liberarti dai preconcetti. Ma dove vivi? È giusto riqualificare, ed è normale che i più ricchi investano in questi quartieri. A Porta Palazzo non riuscivamo più a controllare la situazione. Era uno schifo. Al mercato abbiamo sempre accolto tutti: rom, marocchini, italiani. Con dieci euro ognuno aveva i suoi tre metri per cinque. Ma la piazza era troppo grande, le forze dell’ordine erano assenti: arrivavano tanti abusivi, s’infiltrava la schiuma. Per questo abbiamo abbandonato. Devi capire che la mattina bisogna girare tra i banchi e alzare la voce quando qualcuno riempie le bancarelle di refurtiva. Noi dobbiamo assicurare che certi limiti non siano superati. Anche i mercati vanno riqualificati». Da novembre gli scambi della domenica saranno spostati ancora più a nord. «Gestiremo il mercato nuovo, questa volta abbiamo vinto l’appalto. E faremo rispettare le regole». (continua a leggere…)
Leave a Reply