
La Dora è traccia da seguire per ritrovare un orientamento nella città. Lambisce fabbriche in abbandono, mercati di oggetti dismessi, il centro direzionale Lavazza, il nuovo campus universitario. Il fiume non segna un confine naturale, ma una frontiera dove ancora avvengono incontri e conflitti. Qui alcuni abitanti resistono agli sfratti, gli straccivendoli vengono allontanati dalle amministrazioni e una scuola di scrittura insegna ad apprendisti funzionari l’arte di manipolare il linguaggio. L’osservatore lungo le sponde del fiume può notare il dispiegamento del governo e la gestione dei marginali. Le esplorazioni sono parziali e frammentarie, perché non esiste un disegno o una ragione che domina, ma poteri sparsi che aspirano all’egemonia. Sembra a volte che queste forze – per quanto variegate – spingano in una medesima direzione, come rivoli d’acqua trascinati insieme nel corso del fiume. Eppure persistono i movimenti controcorrente.
Riproporremo nei prossimi giorni alcuni degli articoli dedicati alla questione, pubblicati sul nostro sito.
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Lo storytelling come tecnica di governo. Un’inchiesta sulla scuola Holden
Qualche mese fa, al primo crepuscolo del mattino, un’amica ha bussato forte alla mia porta: «Scendi in via Borgo Dora e facciamo colazione prima che io vada alla scuola Holden». «Cosa ci vai a fare?», ho domandato. «Vorrei frequentarla e imparare l’arte che vi insegnano». Sapevo che nel quartiere – all’interno dell’antico arsenale – si trova da qualche anno una scuola dove giovani studenti imparano l’arte di raccontare storie, o storytelling. Tuttavia non avevo una chiara idea del significato di storytelling, né conoscevo l’organizzazione della scuola. Inoltre non immaginavo le ragioni per cui tanti studenti siano disposti a pagare una retta – ventimila euro in due anni – affinché esperti maestri insegnino loro le tecniche del raccontare. Così ho deciso di visitare la scuola Holden e chiedere agli studenti e ai diplomati quale sia stata la loro esperienza, che cosa si impari e quale sia l’ordinamento di questo istituto.
Nel corso dei mesi diversi allievi hanno accolto le mie domande; grazie all’intercessione di alcuni ho attraversato le porte della scuola per accedere al cortile interno. Là, tra panchine e pochi tavolini, all’ombra calda del pomeriggio, ho registrato dialoghi e discussioni sulla Holden. Intorno, studenti camminavano e discutevano prima di raggiungere le lezioni dei maestri. Ora vorrei richiamare alla memoria i dialoghi, nella speranza di poter chiarire i dubbi nati al tempo di quel crepuscolo mattutino sfiorato ancora dai sogni della notte.
«Sono arrivato qui nel primo anno della nuova impostazione», ricorda Vittorio. Nel 2013 la scuola si è spostata in Borgo Dora e da allora molto è cambiato: «Dai trenta studenti degli anni precedenti, nel mio anno si era passati a cento. Oggi siamo addirittura centosettanta studenti a biennio». Anche Adriano rievoca l’anno che ha inaugurato il nuovo corso: «Dal 2013 la scuola si è divisa in vari college e non credo ci siano stati due anni di fila con gli stessi college. Alcuni sono storici come quello di scrittura, o di cinema. Ma altri si sono aggiunti di volta in volta – mi viene in mente il college di televisione, di digital, di brand new, ovvero di narrazione per le aziende. Baricco, il preside, è una persona estremamente spiazzante. Dice: “Ora facciamo questo, ora quest’altro, cambiamo la Holden, facciamo otto college, no adesso mettiamo un college in più”». Oggi ci sono sette college: scrivere, brand new, series & tv, reporting, digital, cinema e storytelling. «Il college di storytelling – precisa Adriano – assomiglia alla vecchia scuola Holden, si avvicina al college di scrittura e a quello di cinema, ma è in lingua inglese».
Ho chiesto quali siano gli insegnamenti della scuola. Vittorio: «Il primo anno è stato intenso perché abbiamo imparato tantissime cose di scrittura creativa, romanzo, racconto, eccetera. In tutte le sue accezioni, perché poi è limitante dire “romanzo”, “racconto”. Non abbiamo imparato a scrivere, abbiamo imparato a esercitare, allenare un talento nelle forme più diverse. Abbiamo fatto bellissime esercitazioni in cui scrivevamo il bugiardino di una medicina, un manuale d’istruzioni di un videoregistratore, oppure rispondevamo a lettere che trovavamo su internet come ipotetiche poste del cuore». La scuola stimola un allenamento, una prova delle proprie capacità che non è semplice esercitazione alla scrittura ma formazione di un talento sopito. Adriano: «Una cosa che fa arrabbiare quelli della Holden è quando si dice che la nostra sia una scuola di scrittura. Mai dirlo a Baricco, mai dirlo a Martino Gozzi, il direttore didattico». Forse l’oggetto di questa formazione è l’arte di raccontare storie: il talento dello storytelling.
«Questo è un posto che attira le narrazioni», confida Adriano. «La prima volta che sono venuto qua ho sentito una frase che sinceramente pensavo fosse un’esagerazione pubblicitaria: “Anche le luci qui sono storytelling”. Effettivamente è così, perché davvero tutto è storytelling». Che cos’è, allora, lo storytelling? Secondo Lorenzo è «l’unione tra forma e consapevolezza. Se io ho una storia, se ho un passato aziendale, se sono Agassi e voglio scrivere la mia biografia, qual è la cosa più importante che devo fare? Capire quali sono per me le cose importanti da raccontare, e trovare una forma che sia aderente alla mia storia e interessante per i lettori. Lo storytelling è un modo di dare ordine a quello che c’è, nel caso di aziende e racconti di sé, o a quello che non c’è, nel caso si tratti di fiction». Gabriele: «Il preside della Holden una volta ha detto che ci sono i fatti e poi tutto quello che c’è attorno è lo storytelling. Lo storytelling è raccontare, vestire di bello qualsiasi cosa. E non necessariamente di bello. È semplicemente vestire i fatti». Questa vestizione mi sembra un’operazione su eventi o oggetti che in sé, nudi, non significano nulla. «La Holden – sostiene Lorenzo – propone un approccio molto pratico, senza fronzoli. Le storie devono essere prese come fossero tavoli: bisogna imparare gli strumenti che ti aiutano a scrivere. Questo è ciò che si può insegnare dell’arte di raccontare».
Dunque il racconto di storie è una pratica, una forma dell’azione, ma qual è il suo fine? Perché imparare lo storytelling? Ero disorientato, poi ho intravisto una risposta possibile nell’analisi della struttura organizzativa. Adriano: «Oltre alla didattica, Holden ha un’altra branca: H Factory. È la scuola Holden per le aziende. È divisa in due parti principali: Produzioni e Corporate. Produzioni risponde alle aziende che chiedono di usare la narrazione, i nostri strumenti, per creare le cose più disparate: dalla mostra per Expo, all’agenda eco-sostenibile di Ikea da distribuire ai lavoratori. L’altra parte, Corporate, riguarda la formazione e organizza corsi per le aziende». Se le aziende desiderano dei servizi narrativi, si rivolgono a Produzioni. Qualora invece le aziende intendano formare manager o dipendenti nelle pratiche di storytelling, contattano Holden Corporate. Domando quali aziende si rivolgano alla Holden. «Molte imprese assicurative e bancarie come San Paolo, Unicredit, Assicurazioni Generali» (continua a leggere…)
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