A crossare dalla destra, qualche giorno fa – l’ultima volta che ho fatto “la mischietta” – c’era Alfonso. In porta Gargamella (entrambi sono due giovanotti sulla trentina un po’ troppo cresciuti), e in mezzo con me Sasà, Antonio, e Christian, tre dei cinque-sei ragazzini che da un paio di settimane frequentano un ex deposito abbandonato dell’Anm, occupato a Fuorigrotta da un collettivo di studenti e disoccupati. La struttura è particolarmente grande (una palazzina, un grosso spogliatoio con bagni e docce per gli autisti, un cortile, due enormi capannoni che custodiscono autobus e scheletri di autobus risalenti forse agli anni Settanta) e in realtà era frequentata dai ragazzi ancor prima dell’occupazione. La grossa differenza è che prima dovevano scavalcare per entrarci, mentre ora bussano al cancello blu e gridano: «Oh, ce sta Gargamella?». Poi, che ci sia o meno, loro entrano lo stesso e cominciano a giocare. L’altra differenza importante è per gli impiegati dei vicini uffici della MetroNapoli, che hanno accolto con favore l’occupazione, perché loro i ragazzini proprio non riuscivano a tenerli a bada, mentre ora possono delegare il compito a qualcun altro.
Con i piedi Christian è il più bravo del gruppetto, ma temo che sappia di esserlo, e quindi si lascia andare troppo spesso a qualche giocata a effetto, che non sempre riesce. In ogni caso ha un tiro potente e la serranda che ci fa da porta trema in almeno tre quattro occasioni. Anche Antonio, che ha sempre la tuta della scuola calcio, ci sa fare, mentre Sasà è quello che – come ti insegnano gli allenatori quando hai solo nove o dieci anni – tiene più cazzimma, cosa che per “uscire giocatore” conta più di tutto. E infatti un paio di volte prova a trattenermi mentre gli passo davanti per andare a colpire di testa.
Come loro, tutti i ragazzini che passano ogni tanto per quello che è ora l’ANM Occupato, abitano in quella parte vecchia di Fuorigrotta che è chiusa tra il viale Augusto e la stazione della cumana “Fuorigrotta”. Via Due luglio 1820, via Cumana, via Cupa della Ginestra. Nomi di strade che se non ci passi o ci abiti non possono dirti niente. Corpi abbastanza estranei al quartiere, una piccola rete di strade e costruzioni rimaste antiche, negozi più o meno a misura d’uomo, un meccanico, un pescivendolo, un bar, e qualche palazzina di case popolari piantata senza alcun criterio in mezzo al tufo e ai mattoni. Qualcuno, tra questa manciata di ragazzini, va a scuola, qualcun altro ha già smesso. Hanno comunque tempo in abbondanza da impegnare per strada, e come spesso succede in questi casi, superata la prima barriera, hanno curiosità di interagire con chi è diverso da loro ma in fondo nemmeno troppo. D’altronde Gargamella fa il parcheggio come Sasà, che avrà almeno quindici anni in meno di lui, e arriva al deposito che ha fame, perché ha lavorato tutto il giorno. Quando i ragazzi gli dicono di entrare e servirsi nel tripudio di parigine, panini e pizzette varie, confessa però di pigliarsi scuorno. La scena va avanti per qualche minuto, finché qualcuno quasi lo prende per le orecchie e lo accompagna a mangiare.
Dopo, Sasà si ferma fuori a parlare un po’. Tra pochi giorni è Natale, e spiega con poche parole come l’occasione di una giornata di lavoro redditizia vada colta senza pensarci troppo: «Ho fatto il parcheggio al mercatino di Fuorigrotta. Sono sceso di casa stamattina alle sei e mezza, e ora mi sto ritirando!», racconta con la faccia stravolta di chi ha appena smontato da un turno in fabbrica. Sono più o meno le sei di sera, e vedendo le tasche del giubbino abbastanza rigonfie, qualcuno azzarda: «Azzò, la giornata è andata bene però!». Mentre guarda uno dei murales che un gruppo di writers flegrei abbozza sul muro di cinta, Sasà risponde con finta indifferenza, e con l’aria di chi la sa già lunga: «Eh, per forza. S’adda fa’! A Poggi-Poggi nun se stà ‘bbuono. O no?». Difficile dargli torto, buon anno nuovo anche a loro. (riccardo rosa)
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