La lotta sociale marcia assieme a quella climatica. E la spinta arriva dal piano superiore di un’officina dell’automotive, dove si costruiscono semiassi ed elementi di trasmissione per auto. Siamo alla Gkn, la fabbrica dell’hinterland fiorentino presidiata da quasi cinque mesi dagli operai e dai movimenti sociali, dopo che il fondo di investimento Melrose ha avviato la procedura di licenziamento per i 422 dipendenti, annullata dal Tribunale del lavoro sulla base dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori.
Domenica 21 novembre oltre duecento persone hanno partecipato all’assemblea convocata dal collettivo di fabbrica, per fare il punto sulle prospettive della nazionalizzazione e la necessità di convocare uno sciopero generale. Tre i punti messi all’ordine del giorno della riunione: un patto di difesa di Gkn, da parte di tutte le realtà sociali, sindacali e politiche che ritengono questa esperienza una punta avanzata da difendere a tutti i costi; un percorso verso lo sciopero generale e generalizzato, da costruire dal basso, ognuno nei propri luoghi di lavoro e realtà sociali; la prospettiva della nazionalizzazione e del polo pubblico della mobilità sostenibile.
La parola d’ordine è la stessa di cinque mesi fa: unire le lotte. Una convergenza praticata nelle mobilitazioni come il corteo dei quarantamila il 18 settembre sui viali fiorentini, e nella convinta condivisione dei momenti di lotta convocati da altri, dallo sciopero generale del sindacalismo di base dell’11 ottobre alla manifestazione di Fridays For Future del 30 ottobre a Roma, fino allo sciopero studentesco del 20 novembre, quando operai e studenti medi hanno sfilato insieme per le vie del centro di Firenze. Un corteo che non era un punto d’arrivo ma piuttosto di partenza, data anche la difficoltà di mobilitare le ragazze e i ragazzi dopo due anni di isolamento, quando neanche a ricreazione è possibile incontrarsi per scambiare idee, tanto meno in assemblea, diritto negato dall’inizio della pandemia.
Quattro istituti erano stati occupati prima del corteo del 20 novembre e nei giorni successivi le occupazioni si sono moltiplicate e stanno andando avanti anche in questi giorni. Mentre lavorano per allargare la mobilitazione, gli operai metalmeccanici della Gkn seguono le tappe della vertenza, continuando a rilanciare con soluzioni concrete e di radicale cambiamento, a partire dalla nazionalizzazione. «Se dobbiamo essere reindustrializzati – dice Dario Salvetti della Rsu-Gkn nella sua relazione introduttiva all’assemblea del 21 novembre – non vogliamo finti compratori privati, ma un ponte pubblico e se necessario la nazionalizzazione. Abbiamo il dovere di fare questa proposta, completa di dettagli: da dove prendiamo i soldi, che cosa ci servirebbe, quale sarebbe l’effetto sulle altre aziende dell’automotive, quale impatto ambientale, quali fondi del PNRR potremmo intercettare».
Una proposta da portare sul tavolo della trattativa, dimostrando che esiste una soluzione alternativa di questa vertenza, che vada nell’interesse dei lavoratori, dello stato, dell’ambiente e di tutta la comunità. I dettagli saranno discussi in un’assemblea specifica, il prossimo 5 dicembre, insieme ai ricercatori della Scuola Sant’Anna di Pisa, che da mesi studiano lo stabilimento produttivo fiorentino, sia dal punto di vista economico che ingegneristico, per scrivere con gli operai un progetto di reindustrializzazione sostenibile. All’assemblea del 21 novembre lo racconta Lorenzo Cresti, un ricercatore della Scuola Sant’Anna di Pisa: «Io studio politica industriale. Si potrebbe dire che studio qualcosa che in Italia non esiste. Prendiamo Industria 4.0: un sistema di incentivi orizzontale, che non prende decisioni su cosa si debba produrre in Italia. Questa non è politica industriale. È una misura che fa soltanto aumentare margini di profitto al privato. La politica industriale è per il bene pubblico, per la collettività».
Emerge chiara la totale assenza dello stato, che ha permesso lo smantellamento del tessuto produttivo italiano, a partire dal settore auto che praticamente non esiste più. Un settore che invece continua a essere strategico, anche e soprattutto in vista di una riconversione ecologica che non sia puro e semplice green-washing. Continua Lorenzo Cresti: «Se dall’alto non arrivano proposte da mettere sul tavolo della trattativa, dobbiamo portarle noi, università e mondo produttivo, ricercatori e operai finalmente insieme. Noi ci mettiamo tutto il nostro rigore, le nostre conoscenze: vogliamo capire chi saranno i fornitori, chi farà le commesse, il posizionamento strategico di questo impianto virtuoso, come potrebbe fare trasferimento tecnologico nel tessuto produttivo».
Questo è il modello che esce dalla fabbrica dell’hinterland fiorentino: convergiamo, allarghiamo la lotta, attiviamoci dal basso, perché è qui che ci sono le migliori competenze del nostro paese, le uniche che davvero possono mettersi a difesa della collettività, dei posti di lavoro, dell’ambiente, del futuro. Così avverrà il 5 dicembre con l’assemblea per il polo pubblico della mobilità sostenibile. Così è avvenuto con la legge anti-delocalizzazioni, scritta questa estate davanti ai cancelli, operai e giuristi insieme. Una legge chiara e semplice, dove a tenere il coltello dalla parte del manico sono lo stato e i lavoratori e non più la multinazionale di turno. Il disegno di legge è stato presentato in parlamento dai deputati Ehm del Gruppo Misto e Fratoianni di Sinistra Italiana e dal senatore Mantero di Potere al Popolo, e ora è in attesa di essere discusso. Proposte da classe dirigente, che si affiancano alla mobilitazione diffusa, alla convergenza con le altre lotte, a esperienze di mutualismo. Un modello e una speranza, in questo autunno di grande fermento sociale che diventa politico. (valentina baronti)
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