GENNAIO
BYE BYE TRANSIZIONE ECOLOGICA. L’ESTRAZIONE DI PETROLIO IN BASILICATA
In Basilicata si estrae petrolio dal lontano 1998 ma forse il petrolio lucano conquista la ribalta nazionale grazie alla procura di Potenza che a fine marzo 2016 apre due filoni d’inchiesta che riguardano le compagnie petrolifere presenti in Basilicata. All’Eni viene contestato un traffico illecito di rifiuti nel suo Centro Olio in località Viggiano (Pz), mentre alla Total si contesta la gestione appalti, implicato anche l’ex sindaco di Corleto Perticara (Pz). (leggi l’articolo)
FEBBRAIO
LA MANNA DAL CIELO. OLTRANZISMO VACCINALE E LAISSEZ-FAIRE TURISTICO
Era chiaro fin dalle prime settimane di pandemia che tra “decoro” e “prevenzione del contagio” c’era continuità. A ciò avevo dedicato un duplice pezzo su Giap, che si chiamava appunto: La viralità del decoro. Tra le persone attente, non invasate dal virus, c’era su questo tema una discreta convergenza, pur con differenze vistose. Qualcuno diceva: “Sì, la retorica e la forma dei provvedimenti pandemici sono in continuità con quelli del decoro e quindi della paranoia securitaria, però qui siamo di fronte a un pericolo vero, quindi dobbiamo accoglierli pur disprezzando le forme e la retorica con cui vengono accompagnati”. (leggi l’articolo)
MARZO
CASE, NON ARMI. IL MOVIMENTO ANTISFRATTO IN TEMPI DI GUERRA
Qualcuno dirà che non è il momento di parlare della questione abitativa, quando ci sono milioni di profughi, migliaia di morti sotto le bombe e i danni da Covid in aumento nonostante i vaccini. Ma la crisi abitativa è prodotta dalla stessa logica che alimenta l’industria delle armi de-finanziando la sanità; la logica per cui le vite delle persone, i loro bisogni, addirittura la loro morte, possono diventare strumenti di profitto. Qualche giorno fa è uscito un articolo di Enikő Vincze, una docente universitaria romena e attivista del movimento Căși sociale ACUM, Case popolari ORA, tradotto in inglese per LeftEast e poi ripreso da Portside. La militarizzazione in corso, scrive, metterà fine ai debolissimi sforzi post-pandemici per aumentare gli investimenti pubblici nei servizi – casa, salute, scuola – ancora prima del loro inizio; come conseguenza avremo un aumento della povertà, maggiori diseguaglianze, minore aspettativa di vita e rafforzamento del fascismo sociale contro le vittime, ridotte a popolazione in eccesso su cui non si possono fare profitti, quindi da scartare. (leggi l’articolo)
APRILE
LA GUERRA QUOTIDIANA AGLI IMMIGRATI. RIFLESSIONI DOPO LO SCIOPERO DEL 31 MARZO
Il 31 marzo era il giorno dello sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati. Si sono tenuti presidi di fronte alla prefettura di Foggia e Modena, davanti all’ufficio immigrazione della questura di Milano e Torino e in piazza Esquilino a Roma. Nella piana di Gioia Tauro, distretto di punta per l’industria degli agrumi, è avvenuto un volantinaggio in sostegno, nonostante il maltempo. La giornata di lotta contestava la guerra quotidiana alle persone immigrate, le frontiere, il razzismo e lo sfruttamento. Lo sciopero, ancora, richiedeva il permesso di soggiorno per tutte e tutti. (leggi l’articolo)
MAGGIO
BASTONE E CAROTA. IL COMUNE DI NAPOLI PROVA A RIPRENDERE IL CONTROLLO DEGLI SPAZI SOCIALI
La settimana scorsa abbiamo scritto sulla resa dei conti “a bassa intensità” avviata dalla giunta Manfredi nei confronti degli spazi autogestiti napoletani, auspicando una condotta unitaria in un confronto che non si annuncia breve. Accennavamo anche al ruolo di “cavallo di Troia” che potrebbe ritagliarsi l’assessora comunale all’urbanistica, Laura Lieto, avviando interlocuzioni con alcuni di questi spazi. Ci era sfuggito un articolo pubblicato un paio di giorni prima, il 25 aprile, su Repubblica Napoli, in cui la stessa Lieto illustra quello che hanno in mente i nuovi amministratori della città per le occupazioni legalizzate a suo tempo dalle delibere sui “beni comuni” della giunta de Magistris. Al netto degli eufemismi e del gergo tecnocratico progressista, l’articolo dell’assessora è abbastanza esplicito. Rileggiamone alcuni passi. (leggi l’articolo)
GIUGNO
TORINO CAPITALE DELL’IPOCRISIA. UNA PRIMAVERA DI SGOMBERI, SPETTACOLI, BUONE INTENZIONI
In piazza d’Armi vedo operai in tute fluorescenti tagliare l’erba, isolato si muove un trattore che traina una barra falciante. Sono in un vasto piazzale d’erba, ghiaia e cemento, qui han vissuto per anni uomini e donne senza casa e sono stati sgomberati prima che il festival di Eurovision avesse inizio. Vicino sorge l’impianto che a maggio ha ospitato lo spettacolo internazionale. È una tarda primavera e osservo il vuoto seduto su un jersey in cemento e pietrisco. È ruvido, screziato di bianco e la sua forma mi suggerisce la storia recente di Torino, rimossa. (leggi l’articolo)
LUGLIO
AL AUDA (IL RITORNO). L’ULTIMO VIAGGIO DI HAFED CHOUCHANE
Quella di HC è una storia di ordinaria immigrazione finita male. Infatti, dopo alcuni anni e diversi tentativi di trovare una collocazione nella società italiana, HC è stato costretto a tornare a casa, in Tunisia, dalla sua famiglia, da cui si era allontanato anni prima carico di speranze. La sua è una storia così esemplare, che questo giovane meritava qualche domanda, prima della partenza definitiva. (leggi l’articolo)
AGOSTO
ATENE, LO SGOMBERO DEI CAMPI PROFUGHI E LA RESISTENZA DELLA COMUNITÀ DI ELEONAS
«Guardali. Controllano i documenti di tutti quelli che entrano! Controllano i nostri documenti per farci entrare a casa nostra! Ci trattano come se fossimo i loro schiavi! Come facevano i belgi da noi in Congo, quando gli schiavi tornavano dalle piantagioni». Annuisco a Michel senza poter dire nulla, mentre osservo le guardie private del campo di Eleonas. Controllano tutti: donne, vecchi, uomini, perfino i bambini. Controllano l’entrata del campo, un cancello in acciaio largo almeno cinque metri, ma che da settimane, da quando gli abitanti hanno cominciato a resistere ai trasferimenti nei campi dell’entroterra, viene tenuto socchiuso, di modo tale da rendere più semplice il controllo del varco. (leggi l’articolo)
SETTEMBRE
MILANO, GRANDE CAPITALE E PRIVATO SOCIALE ALL’ATTACCO DI SAN SIRO
Perché ci ostiniamo a parlare del caso San Siro? E di che cosa esattamente parliamo quando parliamo di San Siro? Ognuno ha la sua risposta, la mia è che le intricatissime vicende che riguardano questa area occidentale di Milano, a metà strada tra il centro e l’ex-area Expo, rappresentano uno degli esempi più sconvolgenti della violenza della rigenerazione urbana contemporanea. Da decenni l’asse nord-ovest della città è stato individuato come un catalizzatore di sviluppo urbano, per via dello spegnersi delle grandi aree industriali e del solito pensiero unico che al loro posto prevede solo lusso e terziario, terziario e lusso. La mastodontica Fiera di Fuksas oltre il recinto del Cimitero Maggiore, fuori persino dai confini comunali, ha segnato la direzione, i palazzoni del Portello, al di qua del cimitero, sono diventati il paradigma, consolidato dal rimpiazzo della vecchia Fiera con i grattacieli ligrestiani di Citylife. La sostituzione del normale tessuto urbano con alberghi, uffici e residenze del lusso più tamarro su questa linea è oggi incontenibile. (leggi l’articolo)
OTTOBRE
CRISI POLITICA E VIOLENZE IN ISRAELE. UN VIAGGIO DAL SINAI ALLA GALILEA
Ho un amico in Galilea, fa il saldatore. La sua officina ha un tetto di lamiera, strumenti sparsi in disordine e una chitarra appesa sopra il tavolo di lavoro. Ora costruisce una ringhiera per la casa del fratello. C’è un fornello per il caffè e quando ci sediamo con la tazza in mano vediamo una pineta vicina. Le radici ancora stringono le macerie d’un villaggio palestinese: frammenti di case distrutte, massi nascosti fra aghi di pino. Su una pietra ho trovato il buco dove s’incardinava la porta d’un ingresso. «La foresta dei fantasmi», dice il mio amico, e ogni mattina innaffia l’albero di jawafa dietro l’officina. Vive accanto, in una roulotte abbandonata dai braccianti tailandesi che stavano nelle campagne. Sulle pareti restano ancora un’immagine buddista e scritte sparse in alfabeto thai, nell’angolo c’è il letto e sotto la piccola finestra una scrivania con un libro di poesie, una bottiglia di vino e fogli per scrivere. (leggi l’articolo)
NOVEMBRE
PUNIRE IL CORPO E ANNICHILIRE LA MENTE. “BREVE” STORIA DI UN INTERNATO
Sapri si nasconde in un’insenatura stretta tra il mare e l’Appennino meridionale. Fino agli anni Settanta alcuni tratti di quella parte del golfo di Policastro conservavano ancora la fisionomia originaria e soltanto con gli investimenti conseguenti al terremoto del 1980 subì trasformazioni profonde. In quegli anni il fermento sociale si raccoglieva intorno al comitato che lottava per l’apertura dell’ospedale, in quelle assemblee il Partito comunista era forte tanto da vincere le elezioni comunali ed esprimere nel 1980, per un solo anno, la prima carica cittadina. Chi non riusciva a emigrare, combatteva per migliorare le infrastrutture di un territorio rimasto anni luce indietro rispetto alle regioni travolte dall’accelerazione economica del dopoguerra. I tentativi di industrializzazione forzata (come il cadavere del cementificio iniziato negli anni Cinquanta e mai finito, recentemente raso al suolo) disarticolarono l’economia contadina e le paranze di pescatori incrementando l’emigrazione verso il nord. Dal 1971 Sapri cominciò a spopolarsi, una storia che si incontra nei vagoni della tratta Napoli-Sapri in Cafè express di Nanni Loy (1980). (leggi l’articolo)
DICEMBRE
NATALE AL BECCARIA
Quello che dice quanto accaduto il giorno di Natale, a chi è abituato a frequentare l’Istituto Penale Minorile “Cesare Beccaria” e i ragazzi che lì sono costretti a stare o che da lì sono passati, è cosa nota, risaputa. Al Beccaria si sta male, sono atavici i problemi, interventi strutturali sono in corso d’opera da sedici anni determinando la chiusura di un’intera ala dell’istituto, la chiusura del reparto femminile, la riduzione della capienza disponibile maschile (da cinquanta a trentuno ragazzi) e il sovraffollamento delle aree restanti (al momento della fuga erano in quarantadue!); al Beccaria manca un direttore in pianta stabile da venti anni, gli educatori sono pochi e stanchi e hanno un sacco di problemi organizzativi, qualcuno di questi è da troppi anni chiuso e istituzionalizzato lì dentro; i servizi sociali sono oberati e fanno fatica a rispondere ai bisogni necessari ai detenuti in carico; al Beccaria, come in qualsiasi altro istituto di pena, gli agenti, con turnover continui, fanno gli agenti. (leggi l’articolo)
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