Il de Martino, 36/2023
È ottobre 2023 quando, durante una breve tappa a Napoli, mi fermo nella libreria Dante&Descartes a piazza del Gesù Nuovo. Entro con le idee chiare: cerco l’opera di Fabrizia Ramondino sui disoccupati organizzati. Il libraio mi dice che proprio quel libro non ce l’ha perché a Napoli va a ruba, ma che se sono interessata all’argomento posso prendere Le fragili allenze di Luca Rossomando, giovane storico napoletano e membro di Napoli Monitor. Questo è stato il primo momento in cui ho avuto tra le mani il libro di Rossomando: lo sfoglio, ma alla fine decido di non comprarlo. Tuttavia, dopo quell’ottobre, ripenso spesso a quel testo perché ho ripreso un mio vecchio progetto di raccolta di interviste ai militanti della sinistra extraparlamentare napoletana: il lavoro di Rossomando cade a pennello e così, durante un altro passaggio in città, lo prendo.
Le fragili alleanze. Militanti politici e classi popolari a Napoli (1962- 1976) è un saggio storico corposo ma di piacevole lettura, è una ricerca condotta con numerose fonti storiche di diversa natura che vengono ben intrecciate dando vita a un affresco delle esperienze politiche e sociali portate avanti da gruppi meno noti della sinistra extraistituzionale della Napoli degli anni Sessanta e Settanta. Inoltre, Rossomando costruisce una sorta di mappa parlante della conflittualità sociale napoletana: attraverso i materiali d’archivio e le voci dei protagonisti, conosciamo la geografia della città, dal periferico rione Traiano dove si lottava nelle baracche al centro storico in cui c’erano le sedi dei disoccupati organizzati.
Il libro di Luca Rossomando è diviso in due parti che corrispondono sostanzialmente ai due decenni indagati e che al loro interno si articolano in capitoli dedicati a quei soggetti, come ad esempio gli studenti e i bambini, interessati dagli interventi politici dei vari gruppi; una galleria fotografica accompagna entrambe le sezioni. Il testo si chiude con Altri sguardi, in cui viene dato spazio ai lavori sul popolo napoletano di Maria Antonietta Macciocchi del Pci e dell’antropologo Thomas Belmonte, la cui opera viene giustamente decostruita grazie a un confronto con le inchieste sociali di Fabrizia Ramondino condotte in quegli stessi anni.
Uno dei punti di forza del libro di Rossomando è l’ampio ventaglio di fonti storiche utilizzate, che sono sia scritte che orali, in alcuni casi inedite o appartenenti a fondi privati. Nella ricerca dell’autore le fonti vengono magistralmente intrecciate, anche se talvolta si sente la mancanza della voce dello storico che analizza le diverse narrazioni attraverso un lavoro di interpretazione della documentazione. Tra i materiali studiati da Rossomando, meritano un approfondimento il corpus di fonti orali raccolte dallo stesso autore e le inchieste condotte da alcuni gruppi extraistituzionali napoletani durante gli anni Sessanta e Settanta: interviste e inchieste, strumenti entrambi che privilegiano l’oralità, l’incontro e lo scambio tra soggettività diverse e l’emersione di voci inascoltate, hanno un ruolo centrale ne Le fragili alleanze e sono quelle fonti che più di altre offrono a chi legge punti di vista tutt’altro che scontati e utili alla comprensione della realtà napoletana.
Il corpus di fonti orali che Rossomando ha raccolto tra il 2017 e il 2021 si compone di 62 interviste, di cui 53 a uomini e 9 a donne – una sproporzione di genere sulla quale vale la pena interrogarsi. Le persone intervistate sono nate negli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta e hanno animato, a vario livello, i gruppi politici cittadini che si occupavano di intervenire nei quartieri, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università e nelle carceri durante i decenni Sessanta e Settanta. Le parole di chi ha vissuto quegli anni occupano buona parte del libro e hanno la capacità di condurci dentro alle esperienze vissute, ai luoghi, ai tempi. Un corpus, quindi, imponente e importante, di cui tuttavia non viene spiegata la costruzione, nonostante anch’essa possa essere utile per comprendere la memoria di quel periodo. Dalle interviste raccolte emerge uno dei tratti caratterizzanti le varie esperienze considerate da Rossomando, ovvero la commistione tra classi sociali diverse e il loro protagonismo politico.
Mi sentivo dentro a quel tipo di situazione in cui tu non sei l’operaio, non sei manco l’intellettuale, non sei manco l’artista, sei uno che partecipa a un capovolgimento. […] Garibaldi alla fine chi l’ha coperto? Sono stati i fabbri che hanno saldato i tubi […], le sarte e i sarti che hanno cucito i teloni, sono stati gli artigiani che dipingevano insegne o cartelli per la frutta. Non c’erano deleghe, i disoccupati non ti chiedevano di disegnare al loro posto: disegnavano e basta […]. E tutto questo non poteva riuscire a una sola persona, per quanto brava, intelligente, capace: riusciva alla moltitudine (pp. 302-304).
Nel racconto di Patrizio Esposito (Napoli, 1951), un artista vicino ai gruppi marxisti-leninisti che partecipa alle azioni comunicative dei disoccupati organizzati e intervistato dall’autore a Napoli nel 2019, viene fuori con forza questa positiva contaminazione tra esperienze differenti. Tali mescolanza e protagonismo li ritroviamo anche altrove, come dimostrano le parole di Cinzia Mastrodomenico (Calitri, 1948), una delle prime volontarie della Mensa dei bambini proletari e poi animatrice del gruppo femminista della Mensa, anche lei intervistata da Rossomando a Napoli nel 2019.
Questo nuovo contributo alla politica e alla società che veniva dalle donne noi l’abbiamo tradotto avendo a che fare con le donne del quartiere […]. Le donne venivano, mangiavano con i bambini, poi ci aiutavano a fare i servizi e dopo gli dicevamo: “Vi potete fermare mezz’ora?”. Ed erano tante… Noi parlavamo del nostro e partiva questo dialogo, così venivano fuori problemi del tipo: “mi costringe a fare l’amore tutte le sere” […]. E allora, una volta facevi venire il medico, un’altra consigliavi l’anticoncezionale oppure davi una mano a cercare un lavoro, e questi erano già degli obiettivi (p. 202).
Questi intrecci di pratiche e persone emergono tanto dalle testimonianze orali quanto dalle inchieste sociali, che sono l’altra fonte centrale nella ricerca di Rossomando. Le inchieste sono una pratica politica tipica degli anni Sessanta e Settanta: intellettuali, medici, operai lavorano insieme e danno voce e spazio ai soggetti sommersi. Nelle parole di Fabrizia Ramondino si riassume l’essenza e la potenza di questo strumento: porsi dinanzi alla complessità delle domande, la cui risposta poteva risiedere soltanto in un incontro diretto e reciproco con settori di classe, non come avanguardie ma come interlocutori; quindi imparare prima di insegnare, ascoltare prima di parlare, mescolare nello scrivere le voci di chi parla e di chi ascolta (p. 244).
Durante la lettura de Le fragili alleanze, mi sono riaffiorate alla mente le parole di un uomo napoletano, G.S. (1947), che ho recentemente intervistato per un progetto di public history su un quartiere periferico di Roma. G.S. mi ha raccontato che per conoscere i luoghi in cui ha vissuto ha scelto di seguire l’insegnamento maoista:
Come diceva sempre Mao Tse Tung: “La prima cosa fate inchiesta: andate a vedere chi c’è, che cosa fa e di cosa ha bisogno”. Quindi ho cominciato a camminare e ho scoperto.
Napoli e le inchieste emergono, dunque, in altri tempi, in altri spazi, in altri incontri e mi sembra che la centralità di tale pratica abbia quasi una sua peculiare declinazione nella realtà partenopea. Mi viene voglia di capirne di più, del resto è proprio in questa capacità di aprire nuovi interrogativi che risiede la grande forza di Le fragili alleanze. (jessica matteo)