Qui racconto la storia degli editti scritti dal sindaco di Torino contro piccole attività commerciali – i cosiddetti minimarket – gestite da cittadini stranieri. Questa storia inizia in Lungo Dora Napoli, un tratto di lungofiume che confina con Borgo Dora, rione del quartiere Aurora. Da Lungo Dora Napoli si accede a piazza Borgo Dora attraverso il ponte Carpanini, transitabile da auto e pedoni. Nella parte pedonale del ponte è presente una tribuna dove persone siedono per un momento o per ore su comodi gradoni di legno. Dagli spalti si possono osservare i germani reali che nuotano o prendono il sole sulle rive limacciose del fiume, il traffico continuo e rumoroso; ci si può fermare per aspettare qualcuno o mettersi a chiacchierare. Si vede, poco più in là, il ponte Mosca, intatto dal 1830, massiccio e trafficato.
Da molto tempo il ponte Carpanini è oggetto di assidui controlli da parte delle forze dell’ordine: sgommano le volanti della polizia, si svolgono identificazioni, arresti, a volte retate. Accade che i malcapitati passino ore in commissariato e poi vengano rilasciati: non esiste alcun reato, i documenti sono a posto. È uno spettacolo inscenato in nome della “percezione della sicurezza”. Sui gradoni del ponte sono soliti sostare soggetti etichettati come “stranieri” e dunque, intrinsecamente, “criminali”, sempre fuori luogo in quanto non bianchi. Politici in cerca di voti e cronisti locali sono ossessionati da origini, usi e consumi delle persone che in questo tratto di fiume transitano o sostano. Secondo la lingua del potere chiunque stia qui è dedito allo spaccio, al consumo di sostanze stupefacenti o altre attività moleste. Lo scorso anno un consigliere comunale ha chiesto in un’interpellanza di smontare le gradinate poiché le persone che siedono sugli scaloni risultano essere solo “spacciatori e [loro] clienti”. Nel documento vengono richiesti inoltre un presidio fisso di forze di polizia, l’uso di telecamere fisse e l’impiego di droni o telecamere mobili per stanare gli indesiderati. Forse, per le autorità, sul ponte è assente l’unica umanità ora desiderabile: apprendisti scrittori, hipster, turisti e creativi.
Su questo tratto di Dora la violenza – sottile o manifesta – è quotidiana. Nel 2019 una delibera della giunta Appendino e le cariche della celere hanno causato l’espulsione degli straccivendoli poveri dal mercato del Balon. Poco tempo dopo il presidente della circoscrizione, esponente del Pd, ha rimosso le panchine sul lungofiume fra il ponte Mosca e via Bologna. Anche in questo caso, secondo l’amministrazione di zona, chi utilizzava le sedute era spacciatore, tossico, oppure soggetto deviato dedito al consumo di alcolici. Spesso sul parapetto in pietra di Lungo Dora Napoli, proprio accanto al ponte Carpanini, qualche cittadino perbene getta olio esausto “per allontanare i pusher” o “per combattere bivacchi e degrado”, come si legge nei titoli delle notizie di cronaca locale. E sempre qui un barista, e informatore della polizia, ha ottenuto dalla circoscrizione la concessione gratuita di suolo pubblico per disporre i tavolini e somministrare bevande a clienti presentabili. Un favore ottenuto in cambio di un controllo sociale determinato ad allontanare marginali e reietti. Accanto ai soprusi, intanto, si costruisce uno studentato di lusso e associazioni di cittadini ricchi di buoni sentimenti partecipano al progetto europeo Tonite: un’accozzaglia di effimeri eventi culturali e presidi sociali per migliorare la “percezione di sicurezza urbana”.
GLI EDITTI CONTRO I MINIMARKET
Proprio in questo tratto di lungofiume si trovano varie attività commerciali aperte in epoche più o meno recenti. Fra queste ci sono due minimarket gestiti da cittadini stranieri. Lo scorso settembre compare un editto del sindaco che ordina ai due minimarket presenti in Lungo Dora Napoli di chiudere alle nove di sera per un periodo di trenta giorni. “In caso di inosservanza di quanto prescritto”, si legge al fondo nell’ordinanza firmata dal sindaco Lo Russo, “le multe dei vigili possono variare tra cinquecento e cinquemila euro”. Nell’oggetto dell’ordinanza si legge: “Limitazione temporanea degli orari di vendita dell’esercizio di vicinato”. Secondo le premesse del documento, il sindaco ha il potere di “riorganizzare gli orari commerciali […] al fine di assicurare il soddisfacimento delle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti nonché dell’ambiente e del patrimonio culturale in determinate aree delle città interessate da afflusso particolarmente rilevante di persone”. La chiusura avviene dunque per ragioni di ordine pubblico. Si tratta di uno strumento versatile, veloce, che permette all’autorità comunale di colpire in modo selettivo il cattivo minimarket. Così la repressione danneggia precise attività commerciali: gestite da persone straniere, frequentate in prevalenza da chi non siede e non consuma nei dehors di bar e locali circostanti.
Questo nuovo strumento repressivo inventato dall’attuale amministrazione (a guida Pd) consente una precisione che non era riuscita alla giunta di Appendino. Quest’ultima aveva imposto in modo generalizzato, solo nelle zone più affollate e centrali della città, la chiusura anticipata alle nove di sera (dal giovedì al sabato) per i minimarket e per tutti i negozi di vicinato che vendono alimenti e alcolici per l’asporto. Il provvedimento della scorsa giunta aveva ancora un tono neutrale, per quanto falso. L’espediente sperimentato da Lo Russo, invece, a stento nasconde l’intenzione discriminatoria. Fino ad oggi il dispositivo ha colpito cinque diversi minimarket in varie zone della città, tutti gestiti da persone straniere. Due si trovano nel quartiere Vanchiglia, due in Lungo Dora Napoli e uno in via Martorelli, nel quartiere della Barriera di Milano, periferia nord di Torino. In questi giorni d’autunno mi sono chiesta come funzioni il meccanismo di questi editti.
IL FASCICOLO DELL’ACCUSA
A ottobre un esercente di Lungo Dora Napoli, colpito dall’editto del sindaco nel mese di settembre, ha richiesto l’accesso agli atti per capire in base a quali elementi o violazioni fosse stata predisposta l’ordinanza. Il fascicolo rivela l’entità delle indagini e delle osservazioni compiute dal corpo di polizia municipale. Nella relazione che apre l’accesso agli atti si legge: “Segnalazione ai fini di emissione Ordinanza di chiusura anticipata attività di vendita al dettaglio c.d. minimarket in Lungo Dora Napoli […]. Come da richiesta del Comando di Polizia Municipale si specifica l’attività di controllo e osservazione svolta in modo continuativo nelle ultime settimane in particolar modo in zone interessate anche dalla cd malamovida”. Le forze dell’ordine sono state dunque mobilitate, e con costanza, nelle indagini sulle presunte irregolarità del minimarket.
Nel fascicolo viene riportato il verbale di un’ispezione amministrativa compiuta da un “agente accertatore” pochi giorni prima dell’emanazione dell’ordinanza. L’agente scrive che il minimarket “risulta composto di un unico locale raggiungibile da un accesso sul marciapiede per cui si entra nel locale (sic), composto da banco cassa, scaffalatura perimetrale esponente prodotti alimentari e non alimentari, regolarmente prezzati e etichettati”. Ancora si legge che la merce esposta non è scaduta. La descrizione prosegue: “Sul retro è presente un locale magazzino ove sono presenti grandi quantificavi (sic!) di bottiglie di birra. Sono presenti tre frigoriferi a colonna: tutti contenenti bibite fresche e in maggior parte bottiglie e lattine di birra. È presente uno scaffale intero dedicato a bottiglie di vino ed alcolici come da foto allegate. I cartelli indicanti l’orario osservato e il divieto di fumare sono esposti regolarmente. Non si riscontrano violazioni amministrative”. Che siano le birre il corpo del reato?
Sfoglio le pagine con le immagini allegate al fascicolo. Sono cinque foto in bianco e nero che provano l’esistenza di un negozio che vende delle merci. Nella prima immagine è inquadrata l’entrata, un gradino per accedere. In vetrina è appesa una scritta in lucine intermittenti con scritto “aperto”, un foglio che indica la distanza da mantenere tra le persone nel negozio, l’orario dell’esercizio, un altro foglio che recita “birra fresca” e l’immagine di quattro marche di birra. Le altre foto scattate nel corso dell’ispezione immortalano da vicino gli scaffali: ci sono shampoo, creme, patatine, prodotti per pulire e per pulirsi. Passate di pomodoro, uova, olio, succhi di frutta, cioccolata, pasta, riso, marmellate. Ci sono molti altri prodotti, poi bottiglie di vino, birre, spumanti. Infine ai frigoriferi vengono dedicate due foto in primo piano. È la prova? In effetti all’interno dei frigoriferi ci sono delle birre.
Nella relazione del commissario della polizia municipale leggo che “lo stesso esercizio, a seguito di osservazione di più giorni, in serata dalle 21 in poi serve bottiglie di alcolici (in maggioranza birra) a un folto gruppo di persone che stazionano nelle adiacenze del locale anche lungo il viale a ridosso del muro che delimita il fiume Dora Riparia, notoriamente ritrovo di personaggi dediti ad attività illecite quali lo spaccio di sostanza stupefacenti (sic). La zona dove è ubicato l’esercizio di vicinato è sovente oggetto di interventi delle FFOO per problematiche create dai soggetti che dopo aver acquistato le bevande alcoliche all’interno del minimarket stazionano all’esterno dello stesso. Il Lungo Dora Napoli nel tratto che va da corso Giulio Cesare al corso Principe Oddone risulta particolarmente osservato da questo Comando Territoriale poiché vi sono più segnalazioni di degrado e problematiche di ordine pubblico e di decoro e di grave nocumento alla convivenza civile nell’area da parte di molti cittadini, tanto che gli organi di informazione molto spesso riferiscono in merito”. Ho trascritto questo lungo brano per contribuire a un archivio dei linguaggi della polizia nel nostro tempo: nonostante la povertà del lessico e della sintassi, la lingua della repressione suggerisce alcuni importanti elementi di riflessione.
L’esercente punito non solo è responsabile delle azioni di “personaggi dediti ad attività illecite”, dello “spaccio”, ma anche di tutto quanto accade a centinaia di metri di distanza, fino a corso Principe Oddone. Forse il suo reato, implicito, è quello di esistere. Noto come agenti, “organi di informazione” e vertici amministrativi elaborino la rappresentazione di un mondo parallelo dotato di peculiari catene di cause ed effetti. S’elabora una rappresentazione del degrado densa di semplificazioni e di stereotipi, poi si presume che la chiusura anticipata di un minimarket possa essere una soluzione. Io osservo dalla strada e noto l’esito davvero concreto delle fantasie del potere: chi subisce questa ordinanza si trova e si troverà in estrema difficoltà per gli incassi mancati a causa della riduzione dell’orario e non riuscirà a far fronte alle spese del negozio. Mi chiedo se l’intento non sia quello di cacciare gli stranieri e di lasciare l’egemonia alle attività commerciali di esercenti italiani abili a dialogare con la polizia, i giornalisti della stampa, il presidente di circoscrizione.
LE LAMENTELE DEI CITTADINI
Nello stesso fascicolo è allegata una “lista di lamentele” inviata da “residenti e commercianti di Lungo Dora Napoli” in cui vengono descritte le “situazioni di degrado e microcriminalità” e di cui evidentemente il minimarket risulta il responsabile principale. La “lista” di rimostranze è colma di espressioni e insulti razzisti ed è stata inviata al questore di Torino, al prefetto, al commissariato Dora Vanchiglia, al comando della polizia municipale, alla Circoscrizione VII. Ecco come è descritta l’attività oggetto di sanzione: “Minimarket Bangla (ormai i soliti noti) che facilitano queste situazioni di degrado smerciando alcolici e bottiglie in vetro che vengono consumate sui muretti antistanti creando osceni bivacchi dove i vuoti di bottiglia vengono abitualmente gettati nelle acque e dove […] tali raduni finiscono in risse e bottigliate con feriti”. Che cosa significa “bangla”? L’esercente è straniero, ma non è di origine bengalese. Questo è uno dei tanti sintomi del razzismo che colora le valutazioni di alcuni residenti. Mi sembra grave, però, che queste lamentele siano accolte dal fascicolo della polizia municipale e costituiscano una prova che legittima l’ordinanza di Lo Russo. In questa città la polizia e la giunta comunale accolgono il razzismo di alcuni suoi abitanti, ne riconoscono il valore di verità e lo utilizzano per sanzionare piccoli commercianti di origine straniera. Come è possibile? Forse il razzismo è consustanziale alle stesse istituzioni.
I gestori dei minimarket non lo sanno ma sono cattivi pastori d’anime, penso con ironia. Potrebbero dedicarsi a fare altro, per esempio andare a raccogliere la frutta nei campi del saluzzese, o fare gli schiavi in qualche cucina più o meno stellata a lavare i piatti e sbucciare patate. Ancora, potrebbero fare i muratori o i giardinieri a nero e poi sparire dalla vista degli autoctoni in qualche ghetto non appena tramonta il sole. Invece si permettono di avere un’attività autonoma, di non avere padroni, di vendere prodotti a basso prezzo. E, soprattutto, osano vendere alcolici senza preoccuparsi delle conseguenze dell’alcol. Non dovrebbero forse, i gestori dei minimarket, preoccuparsi della morale e del decoro per le strade della città? È risaputo, invece, che vendere alcol all’interno di bar e ristoranti, all’interno di spazi grandi quanto un bagno o nel perimetro di un dehors delimitato dal nastro bianco e rosso della stradale, non produce assembramenti o “una situazione di disturbo della tranquillità pubblica e di degrado urbano”. Al di là dell’amara ironia, noto che la convergenza tra i punti ciechi dello stato di diritto e la linea del colore permette di produrre ordinanze arbitrarie, utili a colpire soggetti specifici: stranieri e poveri. Così a Torino il razzismo istituzionale e il moralismo repressivo servono a favorire un tipo peculiare di commercio e di consumo: bianco, pulito, borghese e certo perbene. “Rigenerazione urbana”, dicono le classi dirigenti al potere.
Certo, è ingenuo pretendere dal governo della città una coscienza, una sensibilità verso le ingiustizie subite da chi è oppresso. Osservato da qui, dal lungofiume, il potere è indifferente e agisce senza un perché. Alla fine delle sanzioni i gestori dei minimarket hanno riaperto la sera, ma che cosa dovrebbero fare per evitare nuovi provvedimenti? Chiedere ai clienti di bere poco e, per favore, essere educati? È una storia kafkiana. Per i marginali il governo di tutte le cose non ha una ragione: semplicemente sussiste, e sanziona. (manuela cencetti)
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