da La Repubblica Napoli 7 dicembre 2011
Nel tempo di una crisi che assume ogni giorno dimensioni sempre più grandi quanto misteriose, interrogarsi sul futuro delle politiche sociali può apparire un semplice esercizio di pensiero. Forse lo è, perché sin dall’anno prossimo (2012) i tagli dei trasferimenti statali determineranno effetti devastanti. Forse invece ha ugualmente senso, se riteniamo che la crisi è anche l’occasione in cui ridefinire rapporti di forza tra concezioni diverse del sociale. Ed è anche l’occasione per richiamare, come giustamente ha fatto Giovanni Laino dalle pagine di questo giornale, le istituzioni ad atteggiamenti di concreta responsabilità.
Da quali dati partire? Innanzitutto dallo scenario inquietante dei prossimi mesi, specificando che faremo riferimento alla parte di welfare che riguarda gli interventi sociali (e non quindi alla parte che interessa previdenza e sanità).
In primo luogo, bisogna premettere che il sistema delle politiche sociali, così come delineato oltre dieci anni fa, con la legge quadro n. 328, si è rivelato più immaginato che reale. E questo perché la variabilità delle risorse, disperse in diversi Fondi con le quali era finanziato, non ha mai dato certezza ed esigibilità dei diritti sociali. La mancata definizione di quelli che tecnicamente si definiscono livelli essenziali di assistenza sociale impedisce una tutela reale, anche in sede giudiziale, ai cittadini che si vedano, per esempio, ridotte le ore di assistenza domiciliare o chiudere uno sportello antiviolenza.
In secondo luogo, se nel 2008 le risorse dei vari Fondi nazionali per le politiche sociali ammontavano a un miliardo e duecentotrentuno milioni di euro, nel 2012 ci sono risorse per soli duecentosettantotto milioni. Una riduzione del settantotto per cento. Questo taglio, che precede la fase di crisi attuale, ed è frutto di politiche che confondono il sociale con la carità, ha scaricato sulle spalle dei comuni e dei cittadini i costi degli interventi e dei servizi sociali. E oggi, in una fase in cui, i trasferimenti ai Comuni sono ridotti altrettanto drasticamente, possiamo dire che l’effetto di questi tagli inciderà pesantemente nella vita quotidiana di ciascuno.
Per fare un esempio concreto, la Campania riceverà dal Fondo nazionale politiche sociali per il prossimo anno quattro milioni di euro (erano sessantasette nel 2008), vale a dire che i milioni di cittadini campania avranno per le politiche sociali meno di quello che l’ex presidente del Consiglio ha elargito nel giro di qualche festa alla cerchia delle sue amiche più care.
In terzo luogo, sono ancora sottovalutati gli effetti del cosiddetto federalismo fiscale che costituisce una frattura insanabile tra il mezzogiorno e il resto del paese. Quando la riforma andrà a regime (il tempo dei prossimi due anni), scompariranno i meccanismi di redistribuzione nazionale delle risorse e le regioni più povere dovranno farsi carico per intero della loro povertà.
Alla luce di ciò non sono possibili che due considerazioni. La prima è che è necessario comprendere che ogni dinamica locale si inserisce in un quadro più ampio che vede progressivamente arretrare o scomparire l’idea di una politica di inclusione sociale a favore di interventi spot, progetti d’occasione, iniziative di facciata e spicciola carità. La seconda è che ovviamente tutto questo ha un impatto più forte nel mezzogiorno e nella nostra regione, dove, tranne rare eccezioni, non si è mai consolidato un reale sistema di interventi e servizi alla persona. Se vogliamo invertire questo stato di cose non possiamo che cominciare da una battaglia che rivendichi diritti e risorse per le politiche sociali, che sia consapevole dell’effetto di redistribuzione e equità sociale del welfare. Non c’è più tempo, siamo già in ritardo. Ci troviamo ad affrontare un crisi che, per dirla con le parole di Robert Castel, ha determinato la destabilizzazione di chi è stabile e l’insediamento nella precarietà di giovani e disoccupati. Nessuno sarà più disponibile a perdere tempo dietro una politica di annunci ed apparenza. Meno che mai gli operatori sociali, da sempre elementi precari di questo fragile sistema, e i cittadini che attendono risposte concrete ai loro bisogni. (dario stefano dell’aquila)
Leave a Reply