In Spagna quando un calciatore tira un rigore come quello di Pirlo all’inglese Hart nei quarti di finale o come quello di Sergio Ramos al portoghese Rui Patricio nella semifinale dell’Europeo che si chiude oggi, la gente non dice “gli ha fatto il cucchiaio” ma “l’ha tirato alla Panenka”, evocando il modo in cui il cecoslovacco Antonin Panenka risolse a favore della sua nazionale la finale dell’Europeo del 1976 contro la Germania Ovest. Pare che prima di lui non fosse mai venuto in mente a nessuno di tirare un rigore in quel modo. All’epoca Pelè commentò che l’esecuzione di Panenka doveva essere opera di un genio o di un imbecille. Il responsabile dichiarò senza complessi di appartenere alla seconda categoria.
In Spagna qualche giorno fa ha festeggiato un anno di pubblicazioni un mensile che porta il nome del centrocampista cecoslovacco, oggi sessantacinquenne presidente del Bohemians Praga. La testata del mensile suona così: “Panenka. El fùtbol que se lee”. Il calcio che si legge. È un magazine a colori di 116 pagine, stampato in cinquemila copie, con millecinquecento abbonati e una distribuzione che raggiunge le librerie delle principali città spagnole e alcune edicole di Barcellona e Madrid. La rivista è nata in un bar di Barcellona in seguito alle conversazioni di un gruppo di giornalisti, sportivi e non, che hanno costituito una società editoriale e hanno coinvolto nell’impresa un buon numero di colleghi, e poi scrittori, illustratori, fotografi e grafici. Ma anche allenatori e calciatori. Per avere un’idea dei contenuti basta citare qualche punto del decalogo, o manifesto, che hanno stilato per rendere espliciti i temi che li appassionano e con quale stile si propongono di affrontarli. Il primo è questo: “A ‘Panenka’ piacciono le storie di calcio che non trovano spazio nei media mainstream: storie di esseri umani che vincono e perdono. Soprattutto che perdono”. Il secondo: “Panenka racconta queste storie anche se i suoi protagonisti militano nel campionato turco-cipriota e non si depilano le sopracciglia. Anzi, meglio se erano barbuti, giocavano nel campionato sovietico del ’77 e ascoltavano clandestinamente i dischi dei Rolling Stones”. E ancora: “Panenka non collabora con la dittatura dell’attualità. Non si sforza di dissimulare gli sbadigli durante le conferenze stampa banali o le risposte fornite con il pilota automatico… Ci appassiona la capacità del calcio di trasportarci in altri paesi e in altre epoche. Società, cultura e politica rimbalzano insieme al pallone. Siamo convinti che il calcio meriti un altro linguaggio e un’altra estetica…”.
Ai redattori di “Panenka” abbiamo posto alcune domande per introdurci a Italia-Spagna, la partita che chiuderà, speriamo degnamente, il campionato europeo di calcio 2012.
Quali sono i giocatori che preferite delle due finaliste?
Per l’Italia scegliamo l’intelligenza di Pirlo e il caratteraccio, l’imprevedibilità e il talento di Mario Balotelli. Della Spagna, in questo Europeo, evidenziamo tre nomi: Sergio Ramos, Jordi Alba e Andrés Iniesta, i giocatori che stanno facendo la differenza.
Tre nomi nuovi che ci lascia questo Europeo.
Il difensore laterale ceco Gebre Selassie, l’attaccante tedesco Marco Reus e il difensore centrale greco Kyriakos Papadopoulos.
Quali le novità tattiche dell’Europeo, se ce ne sono state?
Ci è sembrato interessante il piano di Prandelli nella prima partita contro la Spagna. Se poi cambiamo interessante con infruttuosa aggiungiamo la variante di Blanc con la Francia, sempre contro la Spagna, lasciando fuori Nasri e aggiungendo un laterale sulla fascia destra. Non gli è riuscita bene però.
Quanti passaggi servono per fare un gol?
Per la Spagna sono sempre pochi… A parte gli scherzi, nel calcio il gioco d’attacco non ti assicura né gol né risultati. Perché il possesso della palla senza la capacità di concludere non serve a niente. Anche se in questi anni il gioco della Spagna è stato avallato da un titolo mondiale e da un europeo, quindi non c’è ragione per cambiare.
Esiste oggi in Spagna un movimento contrario al tiki taka?
Pensiamo di no. Ci sono state critiche alla scelta di giocare senza un ‘9’ puro, ma lo stile di gioco è ancora sacro, tanto per il commissario tecnico e i suoi giocatori quanto per i tifosi. L’assenza di David Villa per infortunio ha comportato più problemi nello schieramento spagnolo di quanto si pensasse inizialmente.
Perché i calciatori spagnoli in Italia non funzionano?
Può essere che il campionato italiano non attragga a sufficienza gli spagnoli. Mentre è provato che in altri tornei, come quello inglese, si disimpegnano molto bene. Forse è una questione di ambizione? Bojan, José Ángel, De la Peña, Mendieta… giocatori con talento e qualità tecniche (per citare gli ultimi che hanno giocato in serie A) ai quali è mancato peso e personalità all’interno della squadra. È strano, però pochi spagnoli riescono a esprimersi al meglio in Italia.
Cosa si può salvare dei quotidiani sportivi?
Diverse cose. Anche se spesso devono pubblicare articoli ripetitivi il loro compito è fondamentale per aiutare a crescere l’interesse verso il calcio. Il problema è che quasi tutti i quotidiani sportivi sono schierati per un club o per l’altro e questo perverte la forma in cui oggi si “consuma” il calcio. (luca rossomando)
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