Quando sono venuta per la prima volta, quattro anni fa, alla stazione di Mestre da via Ulloa, mi hanno raccomandato di non restare sola, anche in pieno giorno. In realtà, nei paraggi si aggirano da un lato i turisti che hanno trovato alloggi a prezzo più contenuto per visitare la Venezia fiaccata dal turismo predatorio; dall’altro, gli operai che, per lo più immigrati, si muovono lungo le direttrici ferroviarie locali per raggiungere le fabbriche.
È sabato pomeriggio. Stavolta, la parte più consistente della fiumana che si muove all’uscita della stazione lungo via Piave è costituita dai partecipanti alla manifestazione. Sono le cinque. Parcheggiato lungo il marciapiede di fronte la stazione c’è un grande pullman di linea della Mercedes. Un vigile è salito a bordo, sembra contrattare qualcosa con l’autista, probabilmente lo sta informando del percorso del corteo. Sul vetro campeggia un cartello plastificato tenuto su da una ventosa: “Casino di Venezia. Stazione / Ca’ Noghera”.
Tra la folla pronta a riversarsi sulla Serenissima, gli amici di Giacomo Gobbato indossano magliette nere con la scritta Rivolta, il centro sociale presso il quale era attivista. Sono giovani, alcuni giovanissimi. Ci sono almeno due generazioni di militanti del Nord Est, si sono dati appuntamento per tentare una narrazione collettiva capace di ricomporre il senso della tragedia avvenuta nella notte di venerdì scorso, strappandola alle strumentazioni in agguato dietro l’angolo.
Giacomo Gobbato era intervenuto insieme al suo amico Sebastiano per fermare un’aggressione a scopo di rapina ai danni di una donna. Un solo fendente è stato sufficiente per ammazzarlo.
«Oggi ci mettiamo in marcia – si apre con questo intervento il corteo – per riprenderci la città, perché i territori non siano territori di sacrificio, non siano in balia di chi inquina, avvelena, specula e svende». L’emergenza sociale, qui, si è acuita nel tempo, con la stabilizzazione della crisi. Oggi le strade e i parchi di Mestre riportano storie di sofferenza e disperazione. «A inizio giugno – racconta D., che lavora in un centro di accoglienza – ho passato intere giornate in questura per riavviare le pratiche di richiesta documenti di un ospite che aveva subito una rapina con arma bianca, di ritorno da lavoro. Gli avevano rubato tutto, anche i documenti».
«Fino a una decina di anni fa – spiega invece C. – avevamo un tavolo cittadino dei servizi per le persone senza dimora promosso dal comune di Venezia, a cui partecipavano i referenti di diverse realtà, oltre a enti pubblici e privati che offrivano assistenza alle persone in difficoltà abitativa». L’eliminazione progressiva di strumenti di questo genere ha avuto effetti devastanti.
Negli ultimi anni, inoltre, Mestre ha visto un aumento rilevante dell’uso di eroina, elemento che ha trasformato la città nell’epicentro della crisi dell’intera area geografica. Stando alle statistiche diffuse da geoverdose.it, legato a Medicina delle Dipendenze – Italian Journal of the Addictions, si tratta della città italiana in cui si muore di più per overdose.
Quando la manifestazione attraversa corso del Popolo, il corteo si arresta nel punto in cui, poco più di una settimana fa, Giacomo Gobbato ha trovato la morte. La musica, che fin lì aveva accompagnato il corteo, intervallata da cori in memoria di Jack, si interrompe per lasciar intervenire un’attivista del laboratorio climatico Pandora.
Le istanze si fanno concrete, intrecciandosi: richiesta di spazi sociali, denuncia del taglio dei fondi da destinarsi alla marginalità sociale, e dell’inadeguatezza delle politiche fin qui messe in atto. Le parole sono vibranti di dolore ma al contempo lucide. Lungo l’intero corso del Popolo risuona un applauso commosso. «Senza cedere a paura e odio scegliamo azione e solidarietà», lo slogan più efficace.
Il corteo si conclude a piazza Ferretto. A prendere la parola è Sebastiano Bergamaschi, l’amico di Giacomo Gobbato rimasto ferito a una gamba durante l’aggressione. Il suo è un invito a ritornare a vivere e a far vivere gli spazi pubblici e le strade cittadine, ripartendo dalla condivisione e del mutuo aiuto, l’unica possibile via dal basso per combattere una violenza dilagante irrimediabilmente legata alle condizioni sociali disastrate: «Rifiutiamo l’individualismo con cui siamo cresciuti e riconosciamoci come fratelli e sorelle». È questo il messaggio principale del corteo, a cui hanno partecipato un centinaio fra associazioni, comitati, sindacati, partiti e tutte le realtà sociali che hanno rilanciato l’invito ad abitare le strade, impegnandosi a sostituire la retorica della sicurezza con il paradigma della solidarietà. (marilisa moccia)
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