Era chiaro fin dalle prime settimane di pandemia che tra “decoro” e “prevenzione del contagio” c’era continuità. A ciò avevo dedicato un duplice pezzo su Giap, che si chiamava appunto: La viralità del decoro. Tra le persone attente, non invasate dal virus, c’era su questo tema una discreta convergenza, pur con differenze vistose. Qualcuno diceva: “Sì, la retorica e la forma dei provvedimenti pandemici sono in continuità con quelli del decoro e quindi della paranoia securitaria, però qui siamo di fronte a un pericolo vero, quindi dobbiamo accoglierli pur disprezzando le forme e la retorica con cui vengono accompagnati”.
Altri, con interiore tortura durata mesi, continuavano a pensare, e spesso però a tacere temendo la lapidazione, che nella definizione del pericolo pandemico, nella sua magnitudine percepita, fosse già penetrato il virus securitario, e che dunque fosse ormai difficile determinare le reali dimensioni dell’emergenza che stavamo vivendo. Quando un fatto storico e sociale viene assunto come fatto emergenziale totale dal potere, esso s’imbeve tanto d’emergenza da rendere impossibile dire in che misura sarebbe stato un’emergenza al netto (ipotetico) dei provvedimenti governativi.
Se, per esempio, si fosse tentato seriamente di curare i malati di Covid con i farmaci e le prassi disponibili, anziché trascurarli a domicilio facendo tabula rasa della medicina di base, per poi assembrarli in ospedale dopo aver lasciato che i sintomi raggiungessero il picco, sottoponendoli infine a terapie che si è faticato a cambiare anche dopo che si sono rivelate inadeguate (e tutto ciò secondo il presupposto, plasmato dalla forma mentis emergenziale, che è sempre presentista e nuovista, di trovarsi di fronte a qualcosa di imparagonabile a qualsiasi vicenda sanitaria precedente); se si fosse almeno tentato questo saremmo stati davanti a un’emergenza delle stesse dimensioni? Difficile da dirsi, impossibile da provarsi. Dunque andiamo avanti.
In una galassia lontana millenni luce, nel 2019 e in un fortunato libretto pubblicato da Alegre, avevo tracciato una sorta di identikit di chi attraversa la città decorosa e cioè turistificata, una classifica del diritto a viverla che procedeva da chi sta più in basso (e quindi di diritti non ne ha) fino ai e alle fortunate, lassù in alto. L’avevo fatta con un elenco numerato al contrario, che riporto qui di seguito:
4) Al gradino più basso ci sono […] i non‐consumatori non‐cittadini, ovvero i migranti poveri. Essi sono colpiti da divieto d’accesso o di permanenza, e sono sempre irregolari da un qualche punto di vista (permesso di soggiorno, di lavoro, autorizzazione commerciale…), perché le regole sono confezionate precisamente per escluderli.
3) Appena sopra di loro ci sono i non‐consumatori cittadini. Il loro status di cittadinanza, sia esso comunitario o nazionale, non è di fatto sufficiente a garantire loro la pienezza dei diritti civili. […] Su di loro viene esercitato il pregiudizio meritocratico: se sono poveri, se dormono in strada, è colpa loro, “non si fanno aiutare”.
2) La categoria più ampia è di certo quella dei consumatori cittadini. Essi (potrei anche dire: noi) devono comportarsi bene, dimostrare di sapersi guadagnare il welfare residuo, o meglio ancora avere un’occupazione che garantisca loro il welfare aziendale. Possono essere considerati pericolosi se aderiscono a movimenti sindacali o urbani politicizzati, in quanto potrebbero bloccare il traffico o anche il semplice fluire della folla impegnata nello shopping; e di certo sono indecorosi quando non consumano abbastanza, per esempio bevendo birre seduti in piazza invece che al pub. In questi casi scivolano assai facilmente nella categoria 3, e possono essere manganellati, stigmatizzati e tormentati senza troppe formalità.
1) In cima alla gerarchia, ovviamente, c’è il turista. Egli è il consumatore non‐cittadino, quintessenza del soggetto sgravato da legami e bisogni sociali, privo di necessità che non possano essere soddisfatte dal denaro che egli stesso porta in dote. Poiché è totalmente depoliticizzato, è interamente utilizzabile politicamente: ogni aggressione delle autorità nei confronti della vita urbana viene infatti giustificata dicendo “non possiamo dare una brutta immagine della città ai turisti”, e la discussione è chiusa.
Un gruppo di studentesse, in un corso universitario in cui si era immeritatamente parlato di questa mia ipotesi, l’aveva presentata graficamente come un quadrato diviso in quattro settori, cosa che mi è parsa assai più geniale e chiara della mia stessa formulazione: si iniziava, con il minimo dei diritti e delle libertà, con il settore non-consumatori non-cittadini, a seguire le altre due categorie e infine, apoteosi delle libertà post-civili, ribaltamento esclusivo ed escludente, si arrivava ai non-cittadini consumatori, cioè ai turisti.
Poi di mezzo c’è stato il Covid, e la torva brigata della sinistra pandemica – chiusa in casa a urlare sui social contro fantasmi che le apparivano come trumpiani e complottisti, placandosi solo quando guardando Netflix credeva di leggere Gramsci – ha sentenziato che nulla sarebbe stato più come prima. E invece, scorno massimo, eccolo qui, il nuovo quadrato magico della fine inverno del 2022, incipit del terzo anno pandemico, che proprio come quello del Sator puoi leggerlo nel senso e nella direzione che vuoi, ma pur sempre testimonia della stessa roba, cioè che le ruote dell’esclusione continuano a girare, e pure meglio di prima. Non solo i diritti genericamente umani sono evaporati, ma anche gran parte di quelli legati alla cittadinanza, e ciò tra gli applausi della man sinistra (era robaccia borghese, in fondo, no?). Rimangono, a giocarsela, solo il soldo e lo stato vaccinale.
Nel complesso siamo di fronte, come scrivono Consigliere, Pacco e Zavaroni, a un enorme processo di “estensione della violenza strutturale”, compresi i dispositivi di esclusione sopra esposti, “a una parte più ampia della popolazione”. E cioè a quella parte che, “in quanto bianc[a] e cittadin[a] di una nazione ricca, nella seconda metà del Novecento [è stata] dal lato (relativamente) sicuro della barricata, con accesso a un certo grado di benessere materiale e di privilegio geopolitico e con la possibilità di disvedere molta della violenza prodotta dal sistema”; ma le cui condizioni andavano da tempo erodendosi sotto i colpi del neoliberismo.
Con in mente questo processo di estensione dell’esclusione, possiamo così ripercorrere la nostra scaletta verso l’inferno. Ai posti più infimi, il terzo e il quarto, troviamo i non vaccinati senza sghei. Come mi ha detto un amico con un titolo e una professione: “Se scegliessi io di non vaccinarmi verrebbe presa per una bizzarria; per chi è senza casa diventa una roba impensabile, che può costare carissimo”. Chiacchierando allora, si era nel settembre del 2021, avevamo citato tra noi un caso trentino di “apartheid per i senzatetto” non vaccinati, poi rivelatosi una fake news. Avevo quindi rinunciato in miei scritti successivi a richiamare quella conversazione, che pure continuava a sembrarmi utile, per non rischiare di mescolarmi con complottisti bufalari: vade retro, sia mai! Ma poi, come ormai quasi regolarmente accade, la bufalaccia era diventata verità e il gennaio del 2022 la Repubblica nelle pagine romane titolava: “Covid e freddo: è emergenza clochard. ‘Senza vaccini, condannati a morire’”. Ops: la fake news è diventata un true crime, pur nell’indifferenza dei gettonatissimi debunker, e davvero senza certificato verde non si può accedere ai luoghi (le stazioni della metro) dove trovare riparo dal freddo. Le caselle 4 e 3 sono così riempite con successo: la cittadinanza italiana o comunitaria non ti salva, se sei povero e non vaccinato la città non ti vuole, manco nei sottoscala, e devi mettere in conto di crepare assiderato. Ovviamente, a conferma di quanto scritto nel lontano 2019, è colpa tua se ti trovi in quella situazione, non avendo fatto la puntura. Come si dice ormai dai tempi dei primi Daspo, quando i sindaci (spesso e volentieri dem) scacciavano i senzatetto dalle stazioni e dai rifugi di fortuna: “Non si vogliono fare aiutare”. I più ipocriti, che coincidono spesso con i più progressisti, concedono: “Non abbiamo saputo spiegare i benefici della vaccinazione”. Come se chi è povero o marginale non potesse avere una sua propria opinione, magari sbagliata ma liberamente formatasi, ma solo e sempre si trattasse di ragionamenti ed egemonie che altri e altre, più colte e affluenti, devono combattere e vincere sul corpo dello sventurato.
Dei cittadini consumatori, cioè di noi, è facile dire. Se non ti vaccini perdi i diritti a prendere i mezzi pubblici, entrare in gran parte dei negozi, andare al bar o dal tabaccaio, persino pagare una bolletta o ritirare una raccomandata in posta; e ne puoi recuperare solo alcuni (non tutti, e non quello preziosissimo alla mobilità) con una tassa di quindici euro ogni due giorni. Che è poi una tassa dalle facce multiple, perché oltre alla spesa prevede un fastidio piccolo piccolo (quello del tampone) e uno grosso grosso, cioè il dover essere riconoscenti a Salvini, e solo a Salvini, per la possibilità di quelle quarantotto ore da quasi demi-citoyen. Se poi hai più di cinquant’anni oppure se appartieni a categorie contrattuali prese di mira semplicemente perché rappresentative del servizio pubblico (scuola, sanità e università), perdi il diritto al lavoro e cioè al reddito. E quindi, esattamente come previsto nel quadrato del decoro, perdendo il reddito aumenta la tua possibilità di scivolare nella categoria più sfortunata, quella del non vaccinato povero, quella su cui è legittimo esercitare la più brutale politica dell’esclusione.
Come salvarsi da questo azzeramento, annichilimento, della libertà? Facile: basta essere turisti, cioè occupare la casella giusta, quella dell’ultra-cittadinanza conferita dalla grana, dai danè. Il ministro Speranza, mesto persecutore, verso i turisti applica la politica della mano tesa, della carezza rassicurante e della porta aperta. Così dal primo marzo i turisti potranno giungere, da tutto il mondo, con un semplice tampone e senza quarantena, anche se non vaccinati o trattati coi vaccini foresti, di quelli non riconosciuti dalle nostre Sante Apotropaiche Autorità. E una volta superato il gate aeroportuale ed entrati nel paese con la benedizione del Disperante, vogliamo davvero credere che questi turisti saranno tenuti fuori dai bar e dai ristoranti solo perché il loro pass non è abbastanza rafforzato? Quale commerciante, dopo il tam-tam di questi giorni sulla manna dal cielo turistica in atterraggio, vorrà essere più severo del Fustigatore in persona, del Diafano Ministro del Rigore?
Intanto, alla stessa data del primo marzo, per uomini e donne non vaccinate ma semplicemente e banalmente cittadini o residenti stanziali di questo paese è previsto ancora come minimo un mese di esclusione dagli uffici, dai mezzi pubblici, dallo sport, dal poter entrare in un bar anche solo per pisciare… e, per quelli sottoposti all’obbligo per categoria o per età, sono previsti ancora almeno tre mesi e mezzo di sospensione da lavoro e reddito. Nel mondo coerentemente rovesciato del governo dei migliori si sceglie, quindi, di conculcare le libertà indispensabili di una significativa minoranza del paese, mentre si ripristina in modo insultante e per prima la più fatua e neoliberale delle libertà, la più inquinante e socialmente tossica, la “libertà” del turismo. (wolf bukowski)
Leave a Reply