Era il 1987 quando gli autori di Terminillo Anno Zero lanciavano un’accorata testimonianza su un disastro interamente consumato sull’arco appenninico reatino. L’intento dello scritto – ritirato dallo stesso editore sotto la pressione della politica locale – era di denunciare un processo, avviato durante il fascismo, che ha avuto come esito una vera e propria “catena di smontaggio della natura”. Gli autori si chiedevano se “il Tetricus Mons fosse ancora la montagna selvaggia cantata da Virgilio, dove maestosa volteggia l’aquila”, oppure se fosse diventata “solo la stazione sciistica più attrezzata dell’Italia centro-meridionale”.
La montagna “tutta da sciare” è uno dei polmoni verdi del Lazio, eppure dagli anni Trenta del Novecento continua a essere definita la Montagna di Roma, un sobborgo della metropoli, soffocato da residence, alberghi e ville. Il testo ricostruiva le dinamiche speculative in corso sulla montagna reatina, stravolta dalla costruzione di strade, insediamenti turistici, nuovi impianti di risalita, come quelli che il progetto TSM2 ha riproposto nel 2020 e contro il quale le attiviste e gli attivisti di Balia dal Collare tentano di opporsi insieme al cartello delle associazioni #NoTSM.
IL PROGETTO
La montagna del Terminillo è l’esempio di un processo di urbanizzazione dell’ambiente montano, di distruzione degli ecosistemi in favore della speculazione edilizia, autorizzata fin dagli anni Settanta nell’ambito del piano paesistico, definito “piano urbanistico e turistico” della montagna. Da qui nasce il progetto TSM – oggi TSM2 –, Terminillo Stazione Montana, che prevede una spesa di circa sessanta milioni di euro, di cui 13 mila in capo alla regione Lazio e la restante parte affidata a un ignoto investitore privato.
Il progetto prevede la costruzione di dieci impianti di sci da risalita (che si aggiungerebbero a quelli già esistenti e fatiscenti costruiti durante il fascismo); sette nuovi rifugi (al netto di immobili in disuso presenti nell’intera area montana); trentasette chilometri di nastri trasportatori amovibili e l’abbattimento di circa tredici ettari di antiche faggete presenti nel bosco di Vallonina.
La storia del progetto risale al 2009, quando la giunta regionale guidata da Marrazzo intraprende un dialogo con la provincia di Rieti e alcuni comuni (Leonessa, Vazia, Cantalice e Cittareale) per mettere nero su bianco un piano relativo alla ristrutturazione e ampliamento degli impianti sciistici. Nel 2015 viene presentata una prima versione dai progettisti della TSM S.p.a. che fanno capo alla provincia di Rieti, ma il progetto non supera la Valutazione di impatto ambientale, in base al programma Rete Natura 2000 che include la Vallonina (comune di Leonessa) tra le aree protette e intoccabili sul piano ambientale.
Nel 2019 il progetto viene ripresentato in Regione senza modifiche con il nome di TSM2, e nel settembre 2020 viene valutato nella sua forma definitiva. Il 31 dicembre 2020 l’allora dirigente regionale della Sezione ambiente e rifiuti Flaminia Tosini (che sarà coinvolta pochi mesi dopo nello scandalo della gestione dei rifiuti a Roma) firma la Valutazione di incidenza (Vinca). Il 19 gennaio 2021 viene firmata la Valutazione di impatto ambientale (Via) che sembra esprimere un mandato politico più che tecnico. L’atto ufficiale di approvazione del progetto spetta però alla provincia di Rieti, che sollecita gli uffici competenti per chiudere la Conferenza dei servizi entro il 5 aprile 2021 e procedere con l’apertura dei cantieri.
Un cartello di associazioni deposita ricorso contro la Via, insistendo su due aspetti rintracciabili nel Piano territoriale paesaggistico regionale in merito ai Siti di interesse comunitario (Sic) e alle Zone a protezione speciale (Zps). Nonostante la fondatezza del ricorso, il Tar del Lazio boccerà l’atto nel maggio 2022. Le associazioni risponderanno con un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato, ancora in attesa di pronuncia. Balia dal Collare, parallelamente al lavoro delle associazioni, scriverà un esposto fondato sul principio dei demani collettivi. La provincia di Rieti presenta infatti una superficie produttiva (seminativo, pascolo, boschi) che risulta coperta da usi civici per il 43,4% del totale, ai quali si aggiungono alcune aree, prima appartenenti all’Abruzzo e all’Umbria ma oggi collocate nel Lazio, pari al 49% del totale, che si connotano come terreni di uso demaniale. Questa montagna, dunque, è caratterizzata da un tipo di diritto di uso civico che storicamente aveva una funzione conservativa e di sussistenza e che oggi si vorrebbe finalizzare ad altri obiettivi, quelli del progetto TSM2.
L’ATTIVISMO DI BALIA DAL COLLARE
Balia dal Collare prende il nome da una specie protetta presente nel bosco della Vallonina, che nell’iconografia del gruppo è un volatile che indossa un paio di scarponi e cammina in montagna tracciando una nuova geografia del territorio fatta di significati antichi e nuovi e di un dialogo intergenerazionale continuo. Il collettivo è composto da persone di età compresa tra i venticinque e i quarantacinque anni. Le ragioni del No alla distruzione dell’ambiente appenninico nascono dalla consapevolezza di una “cura” necessaria del territorio, che molti identificano con la natura, ma che le attiviste e gli attivisti sentono come parte integrante dei loro stessi corpi, radicati in un mondo che pian piano va scomparendo; radicamento accompagnato da un destino di costante mobilità inter-appenninica, metro-montana ed extra-territoriale, per motivi di studio, lavoro, necessità di stimoli culturali e sociali.
Dopo l’approvazione della Valutazione di impatto ambientale nel 2020, l’associazione Salviamo l’Orso, avvalendosi della collaborazione di Balia dal Collare, presenta un esposto alla procura e al Commissario usi civici per Lazio, Toscana e Umbria, evidenziando la necessità di nuove valutazioni. La materia del contenzioso si fonda sul principio dei demani collettivi, decidendo di utilizzare lo strumento degli usi civici gravanti sui beni demaniali coinvolti nel progetto. Attualmente i domini collettivi del monte Terminillo sono gestiti, con un’unica eccezione, dalle amministrazioni comunali, che tuttavia non godono della piena libertà di azione in merito alla loro disposizione. La proprietà dei beni, infatti, è della collettività, la quale esercita i suoi diritti sui terreni. Tutto ciò è stabilito nella legge 168 del 2017, in base alla quale i domini collettivi sono soggetti alla Costituzione, hanno la capacità di produrre norme vincolanti e sono titolari della gestione del patrimonio naturale, economico e culturale dei loro territori di riferimento. Sempre questa legge valorizza i beni collettivi come strumenti per la tutela del patrimonio ambientale e in quanto elementi fondamentali per lo sviluppo delle comunità locali. Queste norme vanno a limitare l’uso dei terreni in riferimento al TSM2; per procedere con altri interventi, come quelli previsti dal progetto, è necessario mutare la destinazione d’uso dei terreni.
L’udienza relativa all’esposto ha avuto inizio nel 2021. L’anno successivo è stata bloccata da un tentativo di messa in discussione, da parte della TSM S.p.a., della competenza del Commissario agli usi civici rispetto alle questioni demaniali: la compagnia rivendica infatti che il diritto alla concessione sarebbe distinto dall’occupazione/edificazione dell’area, togliendolo dalla suddetta competenza commissariale.
Recentemente la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, riconoscendo al Commissario la piena competenza sul contenzioso. Il Commissario ha avviato un procedimento valutativo per il sequestro dei terreni ai comuni, poiché questi ultimi hanno agito secondo una logica del “possesso” degli usi civici, escludendo di fatto le comunità locali dalla possibilità di rivendicare un diritto di tutela dei beni e dell’ambiente. È stato costituito un comitato delle popolazioni residenti, a tutela degli usi civici in sede di udienza. Il comitato, composto principalmente da persone anziane, fatica a trovare energie per riarticolare nel presente, tramite la gestione collettiva delle terre, quella relazione tra essere umano e ambiente in cui la comunità è essa stessa un valore fondante e di natura intergenerazionale.
IL POTENZIALE DELLA PARTECIPAZIONE
Balia dal Collare è partita dalla consapevolezza della storia del territorio montano che si estende per 23 mila ettari di pascoli, boschi e vette, in larga parte demanio collettivo. Nei decenni la disgregazione dei paesi montani ha inciso in modo significativo sul tessuto sociale e sui modelli insediativi dell’area. La nascita della moderna località sciistica ha lasciato dietro di sé una lunga serie di vecchi centri abitati ormai fantasma e un vuoto di partecipazione intorno alla difesa delle risorse. Il collettivo ha intrapreso una faticosa relazione con il territorio e i suoi abitanti in una tensione costante tra la critica alle dinamiche speculative e il desiderio di “fare” comunità.
In questi anni Balia dal Collare ha organizzato manifestazioni/escursioni nei luoghi interessati dal progetto TSM, portato lì docenti e curiosi per costruire percorsi di formazione e scambio. Il metodo è quello del camminare. Gli interrogativi nascono in seno alla possibilità di agire insieme per ripensare la gestione delle risorse, a partire dalle esperienze di vita sociale ed economica che contraddistinguono oggi questa parte di Appennino.
I demani collettivi rappresentano quindi anche un esempio di immaginazione per riattivare energie, per difendere l’ambiente dal modello neoliberista, per costruire progettualità locali in una funzione più propriamente ecologica. Fare tutto ciò richiede presenza, implica ritorni, movimenti lungo la dorsale appenninica, attraversamenti dei luoghi in cui si è consumato il disastro e presidio di quelli in cui anni di inerzia e cattiva gestione hanno creato veri e propri abbandoni.
Il vuoto delle terre di mezzo, in cui gli attivisti abitano e tornano ad abitare, diventa un pieno potenziale a partire dalla costruzione di relazioni vive, rappresentabili ben oltre la narrazione dualistica dominante che contrappone il soggetto ritornante, eroe coraggioso, e chi fugge dalla città per esasperazione. Tali narrazioni segnano un solco tra resilienza e restanza, rischiando di oscurare la dimensione politica delle emozioni di chi dialoga costantemente con pratiche volte al ritorno e a una necessaria mobilità; di chi rifiuta le logiche del lavoro precario, che immagina nuove forme di abitare che rimettano a valore ciò che la società del consumo ha svalorizzato e reso folklore o merce nostrana.
Il ragionamento collettivo sui ritorni e su modi nuovi di abitare le aree interne è un esercizio mai concluso all’interno del collettivo, accompagnato da una capacità di presidiare criticamente questi territori, carenti di servizi, di luoghi della cultura e della socialità, dove i tassi di disoccupazione locale sono altissimi e gli stipendi tra i più bassi in Italia. Il legame con ciò che resta non è privo di dolori, essi portano ad allontanarsi e al contempo a vivere come un’emergenza quel desiderio di ritorno. Parafrasando De Martino “coloro che non hanno radici, e sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l’immagine e il cuore tornano sempre di nuovo, e che l’opera di scienza o di poesia riplasma in voce universale”. Poggiare su radici solide e ricercare un posto nel mondo, attraverso il confronto col mondo rurale che scompare, ha un potenziale istruttivo, trasformativo, di potenziale resistenza, come sottolinea Sandro Abruzzese parlando dei possibili vantaggi del vivere una dimensione di provincia.
Questa tensione auto-riflessiva influenza ogni membro del gruppo, con l’idea di ritorno e impegno, e con la possibilità di posizionarsi in modo critico rispetto a visioni e pratiche che fanno del corpo-territorio la metafora di un oggetto da violare, da cui estrarre valore, lasciando vuoti di senso e di relazioni. L’obiettivo più ambizioso è il superamento del conflitto con chi ha perso il contatto con quel potenziale partecipativo, unica energia per trasformare i mondi locali. Con pazienza, e anche col rischio di una sovraesposizione, i passi negli anni sono stati lenti, accompagnati da scoraggiamento e piccoli entusiasmi, in una ostinata pratica di riattivazione collettiva; il coinvolgimento degli abitanti ha ruotato intorno al riutilizzo di strutture fatiscenti abbandonate in mezzo ai boschi su cui è presente un diritto di uso civico; attraverso la riapertura di cammini storici riscritti e tracciati dagli stessi abitanti; tramite la costruzione di una rete di studiosi e attivisti che stanno ritracciando e scrivendo la storia ambientale dell’Appennino, una storia minore nascosta tra le pieghe della storia ufficiale; con la pratica della cura dei luoghi, delle risorse, connettendo i movimenti sociali internazionali, nazionali e urbani alle iniziative locali, per nutrire le relazioni e favorire connessioni e pratiche di solidarietà.
A partire dai vuoti lasciati dalla gestione politica delle aree interne, e dei tentativi di riempire questi territori di infrastrutture turistiche, centrali, discariche e inghiottitori di denaro e rifiuti, prendere il tempo per immaginare, permette anche di elaborare le fatiche individuali del come “stare” in questo presente, per abitare questi luoghi, tra disagi, vuoti culturali, mancate ricostruzioni, crisi abitative e un gran bisogno di passione politica e rinnovate energie per gli spazi sociali, affinché siano le stesse persone che li abitano a voler tornare per salvaguardare un patrimonio vitale tutt’altro che perduto. (serena caroselli)
Sorprende che queste associazioni si impegnino con merito se viene tagliato un albero ma nulla dicano della geoingegneria clandestina che sta devastando l’Italia intera, Terminillo compreso.
Per non parlare delle auto elettriche: una bomba super inquinante con batterie pesantissime non riciclabili realizzate grazie a milioni di schiavi nelle miniere di litio e cobalto
Ci sono numerose inesattezze che vanno chiarite in modo sintetico
– A Terminillo dal 1930 ad oggi non è mai stato avvistato alcun orso, al contrario di quanto avviene in Abruzzo
– Il TSM2 per il 90% altro non è che la riattivazione e sostituzione dei vecchi impianti dismessi negli ultimi 40, i cui ruderi arrugginiti sono ancora in bella vista danneggiando il paesaggio
– Il TSM2 eliminerà gli orribili pali elettrici interrandoli, donando nuova bellezza al paesaggio
– Se il TSM2 verrà realizzato, comunque i km di piste saranno il 30% di quelle di Roccaraso, località dove ogni anno aumentano km di piste e alberghi, senza che nessuno dica nulla.
– Il rilancio di Terminillo è bloccato dai potentati economici abruzzesi divenuti un vero colosso economico.
– Le concessioni edilizie a Terminillo sono completamente ferme da 30 anni e continueranno ad esserlo: nessuno può più costruire nulla, nemmeno un pollaio.