“La salute non è in vendita”, recita lo striscione del primo impatto, quello che vedo perché il verde fluorescente su cui la scritta è impressa dà un sapore estivo all’adunanza, mi ricorda subito di canotti, salvagenti, calore. Ma la temperatura è mite, i poliziotti camminano con le mani conserte, tre camionette davanti e due dietro, quaranta divise in lento movimento e ispettori della digos che si coordinano via radio. Prima di partire si palesa il popolare vecchietto che in queste occasioni vende i fischietti. Ha il viso smunto e una serie di denti in meno, prova a vendere ma gli riesce difficile con così poche persone. Allora se la prende con «i neri, che non se ne tornano al paese loro». Qualcuno abbozza anche una risposta, poi il vecchio resta solo col suo carico di invenduto e risentimento. Unione sindacale di base, Medicina democratica, disoccupati del Movimento 7 novembre: ci si mette in cammino poco dopo le undici.
Il corteo è annunciato sui canali stampa come la “Giornata mondiale d’azione contro la commercializzazione della salute”. Ibrahimi dell’Usb chiede al megafono «il rispetto dei rifugiati che hanno dovuto subire l’imperialismo europeo». Tra i ragazzi dell’ex Opg si parla di Siria, di Trump, di Salvini, come a dire che un dissesto come quello della sanità pubblica campana è comunque parte di un tutto che crolla, di uno sfascio così diffuso da confondere anche chi para i colpi. Andrea guida il corteo con il suo totem e un cappello da archeologo. È un artista «ma non voglio entrare nel mondo dell’arte. Da piccolo mi chiesi cosa diventare da grande e mi risposi: “un uomo libero”».
Medicina Democratica, in prima fila, ha molti medici iscritti, una vasta fascia d’ascolto eppure “pochi attivisti”, dice Paolo Fierro, otorinolaringoiatra. Mi consegnano un documento che evidenzia le criticità con dati obiettivi: l’aspettativa di vita a Napoli è di due anni più bassa – per uomini e donne – della media nazionale (Istat); in regione ci sono cinque dei dieci peggiori ospedali nazionali (Agenas); punteggio più basso tra i Lea (livelli essenziali di assistenza) in Italia. La riforma annunciata da De Luca dovrebbe rendere la regione Campania “la migliore sanità pubblica nazionale”. «La salute è diventata merce, questo insegnano nelle università cittadine. I giovani medici imparano a diventare parte dell’upper class. La sanità qui in Campania diventerà sempre più un problema giudiziario, perché chi si piega e chiude gli occhi fa carriera».
Il corteo sfila lungo corso Umberto I mentre le auto in direzione Garibaldi si innervosiscono e aprono malvolentieri spazi ai motorini. A “la lotta paga” qualcuno dall’abitacolo risponde “jat’ a fatica’”. La signora Carmela plaude a Chiara, che al megafono lancia invettive: «Sei stata brava. Hai detto tutte cose vere». Ieri Carmela ha assistito ai Quartieri Spagnoli un quarantenne infartuato che ha aspettato per un’ora e mezza l’ambulanza. «Purtroppo è morto, io gli ho fatto anche la respirazione bocca a bocca, ma se fossero arrivati in tempo con l’ossigeno l’avrebbero salvato. Dopo cinque telefonate, si sono mossi solo quando ho chiamato il 113».
Giuseppe Pellino è in pensione da dieci anni, ma è stato caposala del reparto di psichiatria dell’Ascalesi per venti. Ha fatto parte del Tribunale per i diritti del malato ed è stato osteggiato, racconta, «da vertici e sindacati». All’Ascalesi, nel suo reparto, non c’era la porta d’emergenza «questo pochi mesi dopo la strage di San Gregorio Magno del 2001, quando diciannove pazienti dimessi da un manicomio morirono in una “struttura intermedia” in seguito a un incendio, perché non c’era porta d’emergenza. Allora protestai, volevo la porta d’emergenza a norma, ma preferirono chiudere il reparto invece di costruire una porta». Da quella data e fino alla pensione Pellino è stato «vittima di mobbing da parte di dirigenti e sindacati».
Dal megafono le grida a cadenza d’inganno dei ragazzi dell’Opg: si condannano le spese militari del governo, si parla di una “lotta tra poveri” decisa a tavolino. «Dispotico», «in pasto ai lupi», «bailamme», qualche parola in francese. Qualcuno chiede che si vada un po’ più veloci, bisogna arrivare in piazza Dante e allestire i banchetti informativi dei comitati, che proveranno a dialogare con i cittadini a partire dalle tre e mezza. A seguire, i militanti del Presidio di salute solidale hanno organizzato due ore di attività con il loro ambulatorio mobile. Gli incontri e gli interventi andranno avanti fino a sera.
Quando il corteo sta per chiudersi, incontro Giorgio, un agile e sorridente “marxista-leninista”. Ha fatto per tanti anni il poligrafico al Mattino, ora cammina con Medicina Democratica. Gli chiedo il nesso che sfugge. Lui prima ricorda gli anni d’oro del giornale, «quando si tiravano anche seicentomila copie se c’era il Lotteria», poi mi spiega che da diversi anni collabora con il dottor Fierro. «Con la lotta abbiamo ottenuto il primo ambulatorio internazionale per migranti, all’Ascalesi. Dopo anni e anni l’abbiamo vinta noi, e ora l’ambulatorio è ancora attivo. Anche quando arriverà il mio giorno e je iett’ ‘o sanghe, l’ambulatorio resterà». Dai tavolini di un bar qualcuno cala gli occhiali da sole sul naso e cerca di capire. (davide schiavon)
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