Sarà presentato a Napoli sabato 19 novembre (ore 17:30), a Palazzo Venezia (via Benedetto Croce, 19), La straniera. Migrazioni, asilo, sfruttamento in una prospettiva di genere, di Enrica Rigo.
Con l’autrice interverranno: Stella Arena (avvocata), Francesca De Rosa (università L’Orientale), Amarilda Lici (Asgi), Laura Marmorale (Mediterranea Saving Humans), Gaia Tessitore (università Federico II).
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Il libro di Enrica Rigo, La straniera. Migrazioni, asilo e sfruttamento in una prospettiva di genere (Carocci, 2022, pp.142, 16 euro), affronta in maniera chiara e con una lettura femminista il tema dei confini. Nel testo la prospettiva di genere taglia trasversalmente le tematiche del diritto d’asilo, decostruendolo criticamente per affrontarne i limiti. “Piuttosto che mettere l’accento sull’apporto delle donne migranti alla riproduzione della società di arrivo e di partenza – scrive Rigo –, la prospettiva proposta in queste pagine punta a evidenziare la centralità della mobilità, e dunque della rivendicazione della libertà di movimento, come componente nonché condizione della riproduzione sociale”.
Al centro del testo è quindi la libertà di circolazione degli individui, rispetto ai quali gli stati-nazione in disfacimento continuano a mostrare la loro natura dispotica ponendo limiti alla libertà di movimento. Con i confini gli stati dispiegano tutto il loro potere nei confronti della soggettività migrante. I confini rappresentano quel potere che travalica e invade anche lo spazio privato fino a determinare e controllare ogni momento dell’esistenza. I migranti che decidono di sfidare il potere dei confini hanno in sé un elemento rivoluzionario, poiché da un lato sono costretti ad affrontare materialmente l’attraversamento delle frontiere, dall’altro lato anche a subirne gli effetti della subordinazione lavorativa e dello sfruttamento nei paesi di transito e in quelli di arrivo.
Con questo libro, Rigo scrive un manifesto dei diritti – dalla libertà di movimento a quella di riproduzione sociale –, una visione critica dei vari sistemi giuridici, una critica serrata ai poteri economici che attraverso il controllo sui confini producono discriminazioni – basti pensare alle donne straniere che svolgono lavori essenziali nel nostro paese, come quelli domestici o di cura.
Questa marginalizzazione inizia nelle norme del Testo Unico dell’Immigrazione, che legano il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, e questo all’iscrizione anagrafica (che dipende a sua volta dalla disponibilità di un alloggio idoneo), e disciplina anche il ricongiungimento familiare, quindi gli affetti. Questo intreccio perverso comprime i diritti delle lavoratrici in modo totale, rendendoli dipendenti non solo dal datore di lavoro ma anche dal luogo di lavoro. In questo schema l’emancipazione della donna italiana avviene – se così si può dire – subordinando la donna straniera, che si prende carico di quei lavori domestici e di cura liberando le altre donne dal ruolo di “angelo del focolare”. Ma tale sistema non emancipa la società tutta, che vive di regimi di classe non superabili e difficilmente visibili. Controllare la mobilità dei corpi dei migranti e in particolar modo delle donne migranti diventa uno strumento per governare la produzione e la riproduzione sociale. Se una società è il frutto delle relazioni tra gli individui, appare chiaro che queste relazioni sono subordinate da un lato ai confini materiali e immateriali e dall’altro ai confini economici e di classe. L’autrice ci consegna quindi uno strumento per agire, ma anche tante domande ancora aperte e in particolare un interrogativo: come può il diritto essere tutela di tutti attraverso una prospettiva di genere?
Per tradurre il testo in immagini: i confini nel volume appaiono come il potere patriarcale/coloniale, la libertà di movimento, e le donne e gli uomini che li attraversano sfidandoli, il femminile.
Nella seconda parte del libro, l’autrice si interroga sul diritto d’asilo, scritto in chiave maschile dalla Convenzione di Ginevra del 1951, in cui “la definizione di rifugiato risulta costruita intorno alla distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, che privilegiando la prima discrimina di fatto le donne nella protezione offerta dalla Convenzione”.
Questa impostazione ha lasciato prive di tutela per molto tempo le donne vittime di violenza domestica o sessuale, ascrivendo questi temi alla parte privata della vita, non affrontandoli come tema pubblico e politico. Infatti, le donne sono rimaste prive per lungo tempo della protezione internazionale dalle persecuzioni agite da privati o agenti non statali, oppure ancora peggio sono state descritte con la retorica tipica “di donne del terzo mondo”, donne da salvare da parte del sano e giusto Occidente. Solo nel momento in cui la visione femminista si è fatta spazio, l’approccio al tema è stato modificato liberandosi da una visione sessista e vittimistica, ma ponendo tali problemi sul piano pubblico e politico. Chiaro esempio è la lettura vittimistica con cui il tema della tratta viene affrontato da una parte del diritto, che pone al centro la vulnerabilità in chiave soggettiva e non oggettiva della donna migrante. In altri termini, la vulnerabilità oggettiva è data dall’assenza del diritto a migrare e circolare liberamente senza autorizzazione al soggiorno, e non invece da qualità personali dell’individuo come la minore età, lo stato di gravidanza, la malattia e così via. “Non vi è dubbio – scrive Rigo – che le condizioni in cui si determina la tratta non siano condizioni oggettive, bensì politiche, sia rispetto alle discriminazioni subite nella società di partenza […], sia rispetto alle società di arrivo, dove la condizione delle donne trafficate è segnata profondamente dall’accesso o meno a uno status di protezione”.
Tale interpretazione nella pratica lascia senza tutela quei soggetti che più necessitano di un intervento e crea discriminazione tra individui e bisogni. I confini risultano, in quest’ottica, utili non solo per dividere ma anche per disciplinare e normalizzare, perché sottopongono a una condizione di possibile illegalità i soggetti.
Nel libro di Rigo questo approccio viene completamente superato: la prospettiva di genere sposta tutto sul piano pubblico, quindi politico ed economico. In particolare, l’autrice, in maniera aperta e sistematica, dà una lettura dell’impianto del diritto dell’immigrazione come causa ed effetto del sistema di soggezione a cui sono sottoposti i migranti. Se ne ricava una lettura del diritto di classe e di genere che connette i diritti civili alle rivendicazioni economiche e sociali.
Rigo vede nei migranti un elemento di rottura con il sistema costituito, perché operano con le loro scelte e a proprio rischio la destrutturazione degli equilibri criticati. Il riconoscimento di uno status legale da parte dell’Europa ai migranti dipende – da questa prospettiva – dalla distribuzione delle risorse economiche. Redistribuzione e riconoscimento sono affrontati in connessione, l’uno non può prescindere dall’altro: “Detto in altri termini – scrive Rigo –, la distinzione tra chi ‘conta’ e chi ‘non conta’ è determinata sempre più dalla differenza tra chi ha la possibilità di muoversi attraverso i confini e chi invece può farlo attraverso limitatissime condizioni, assumendosene su di sé il rischio”.
“La straniera” è il metro con cui la società deve misurarsi per capire il suo grado di avanzamento. Il nostro mondo, nelle pagine di questo saggio, appare segnato dalle discriminazioni a cui gli individui in movimento vengono sottoposti, ma altrettanto chiaramente emergono gli strumenti a disposizione per superare i limiti strutturali. L’approccio intersezionale è l’unico possibile e, se effettivamente applicato, può determinare nell’agire, giuridico e non, il cambiamento necessario per sovvertire le dinamiche di sfruttamento e di “confino”. (stella arena)
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