È in uscita, il prossimo mese di marzo, il nuovo numero (primavera 2017) de L’almanacco de La Terra Trema, rivista trimestrale autofinanziata e pubblicata a partire dal novembre 2015. Riproponiamo a seguire un articolo pubblicato all’interno dell’ultima uscita (inverno 2016).
Da un po’ ci dicevamo: andiamo in Calabria. Negli anni, i vignaioli che abbiamo incontrato e conosciuto con La Terra Trema sono stati tanti. Un gruppo giovane che ha intrapreso un bel percorso in un territorio con un patrimonio culturale, storico e agricolo smisurato.
Da sud a sud. Partiamo dalla Sicilia ionica, da Catania. Un’ora, traghetto incluso, e siamo a Reggio Calabria. Da lì, percorrendo la punta dello stivale, in due ore arriviamo a Bianco, Locride. Il viaggio è affascinante, il paesaggio potente e contradditorio. Il blu del mare ci cinge a destra, l’Etna per un tratto ci accompagna; Reggio e la sua periferia sono un monumento eretto all’incompiuto calabrese, ferri della speranza svettano coi loro tondini dai pilastri dei solai di case mai finite ma già abitate.
Oltre è un susseguirsi di località marittime. Melito, Bova Marina, Palizzi, Brancaleone, Marinella, più andiamo avanti più la voglia di tuffarsi in quel mare immenso si fa insistente. Bisogna andare però, maldestri e capaci di perderci infinite volte siamo quasi in ritardo e il tempo a disposizione è già poco.
L’appuntamento a Bianco è con Santino di Cantine Lucà. Santino ci aspetta nel suo punto vendita di vino sfuso e in bottiglia, tutto è nuovo, appena inaugurato. È sempre straniante rivedere “i nostri vignaioli” a casa loro: nell’immediato il ricordo va alla condivisione di emozioni nel pieno della fiera feroce metropolitana e frenetica, subito dopo ci si proietta a centinaia di chilometri da quel ricordo, qui.
Ci abbracciamo. Saliamo nell’auto di Santino per dirigerci verso le campagne. Santino ci indica su una mappa del territorio posta sul ciglio della statale la postazione delle sue vigne: la minuscola Doc Greco di Bianco (che comprende solo il comune di Bianco e una piccola parte del comune di Casignana), ma soprattutto, ci racconta agitando le mani, l’estensione vitata erosa col passare del tempo: «Qua un tempo c’era una vigna, ora è una vigna abbandonata; qua, quando ero ragazzino io, era tutto vigne e agrumeti, ora è incolto; qua hanno espiantato le viti per farci un campo di bergamotto».
Il bergamotto, ci racconta, è un antichissimo agrume fortemente localizzato in queste zone, dire tipico è poco, il 90% della produzione mondiale arriva dalla Calabria, dove resa e qualità sono le migliori. Quasi tutto prodotto nella provincia di Reggio Calabria nella parte che si affaccia al Mar Jonio, è un agrume di cui si sa ancora poco (per esempio non si conosce la sua genesi botanica) e che si adatta difficilmente fuori da questo territorio. Oltre alle industrie di bevande, dei dolci e delle essenze, negli ultimi anni anche l’industria farmaceutica sta investendo molto nella ricerca e nella produzione di questa pianta da frutto che sembra avere numerose proprietà curative. Certo la valorizzazione e la ricerca intorno a un frutto che ha delle ottime potenzialità agronome, gastronomiche e curative sono ben viste, anzi auspicabili; il problema è l’oligopolio che si sta consolidando e l’estirpazione di una coltura produttiva con storia millenaria a discapito di un’altra.
Non c’è un incentivo al recupero dell’incolto, dell’improduttivo, ma c’è da parte delle istituzioni un abbandono e mancato supporto alla millenaria e storica cultura vitivinicola di questo territorio, nonostante alcuni eroici vignaioli stiano facendo e sviluppando dei vini con dei bei riconoscimenti in giro per l’Italia.
Ci inoltriamo nella campagna selvaggia e sconfinata e i racconti di Santino si snodano tra le strade sterrate. Il nonno di Santino ha iniziato ha coltivare l’uva facendo vino sfuso. Il padre è entrato in una cooperativa con altre quindici piccole aziende locali conferendo lì tutte le uve. Negli anni Ottanta la cooperativa è fallita, a quel punto Santino e suo fratello hanno iniziato a produrre vino con la propria etichetta.
Nel territorio ci sono circa venti aziende, la metà di queste vende il vino sfuso e uve ad altre cantine, l’altra metà esce con le proprie etichette, ma non tutte hanno la cantina. Arriviamo in campagna, bella, distante dal centro abitato. Il terreno è argilloso calcareo e ha un colore lunare. I campi sono infestati da piante di liquirizia. Qui Santino ha parte dei suoi ulivi, ulivi secolari, varietà Geracese, di proprietà. L’olio biologico certificato lo conferisce tutto a una cooperativa sociale. Apriamo una bella discussione a questo proposito e cerchiamo di spingere Santino a provare con una propria etichetta. In questa campagna convivono anche circa un ettaro di Nerello Calabrese e due di Greco di Bianco. In totale Santino possiede quindici ettari vitati, dieci ettari di olivi, un ettaro a bergamotto e un paio di ettari a seminativi (per lo più grano). Quest’anno la zona è stata colpita in modo serio dall’oidio (infezione fungina, tra le più gravi che possono colpire la vite) e purtroppo anche i vigneti di Santino non sono stati risparmiati nonostante i trattamenti a base di zolfo. Dovrà fare un bel lavoro di selezione al momento della raccolta, selezione che ha già fatto più volte tra i filari togliendo i grappoli malati. Lavorare in campagna ti mette di fronte anche a questi problemi, soprattutto se si fa un tipo di agricoltura, come quella di Cantine Lucà, che non contempla l’utilizzo di prodotti di sintesi.
Ci dirigiamo verso casa di Santino. Il paesaggio è sconfinato, si alternano vigneti ordinati, in produzione, a vigneti abbandonati, campi incolti, uliveti secolari, nuovi impianti di bergamotto e mini porzioni storiche con viti ad alberello, alberi da frutto, ulivi e piccoli orti.
Oltre il mare, la Libia
La casa di Santino è in una posizione splendida, attorniata da altri vigneti di Greco B di sua proprietà. Dalla terrazza di casa lo sguardo si perde tra colline, campi coltivati, boschi, l’azzurro del cielo e il blu del mare, a pochi chilometri in linea d’aria, la vista si estende senza fine. Ad attenderci ci sono una bellissima Matilde e Candia, moglie di Santino, che ha preparato un pranzo che ci fa sentire a casa. Santino apre una bottiglia di Marasà 2013 (nerello calabrese 80% e gaglioppo 20%): strepitoso, con capocollo e soppressata ricavati dai suoi maiali, la pasta al sugo, la carne con le carote, i peperoni con le patate e il formaggio di capra (le verdure sono del suo orto). Dopo il bel pranzo e le belle chiacchiere scendiamo in cantina. Tra cantina e casa incontriamo i maiali per consumo interno (i classici Middle White e i Neri di Calabria) e un bell’allevamento di capre aspromontane.
La cantina dell’azienda è attrezzata ma spartana. Niente effetti speciali e soluzioni architettoniche e tecnologiche alla moda. Qui si vinificano quattro tipologie di vino. Il vino emblema dell’azienda e con una storia interessantissima da indagare e valorizzare è il Greco di Bianco Doc. Vino passito da uve di Greco B. (laura m. alemagna e paolo bellati / continua a leggere)
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