Il numero di persone morte in un anno in Europa per la presenza di inquinanti nell’aria è una di quelle notizie che emergono almeno una volta all’anno, di solito in seguito alla pubblicazione dei risultati di una ricerca istituzionale, attirando un’attenzione breve e puntuale. I numeri però colpiscono. Secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente, nei paesi dell’Unione europea sarebbero ogni anno oltre trecentomila le morti premature dovute alla scarsa qualità dell’aria che viene respirata. L’Agenzia inoltre fa notare che queste condizioni causerebbero anche l’insorgere di diverse malattie correlate. Non tutte le aree europee sono colpite allo stesso modo: le zone industrializzate sono quelle più a rischio e tra di loro la pianura padana è una di quelle che presenta, da anni, i dati più preoccupanti.
A causa delle continue violazioni della Direttiva europea 50 del 2008 che stabilisce i criteri per valutare i livelli “accettabili” di inquinamento dell’aria, nel maggio 2022 l’Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in seguito a procedure di infrazione che andavano avanti da tempo. Oltre al superamento dei limiti, in particolare per quel che riguarda il diossido di azoto, la Corte contestava all’Italia la mancanza di provvedimenti volti a cambiare lo stato delle cose. Le violazioni prese in considerazione nella sentenza sono localizzate soprattutto nel nord Italia, ma sono incluse anche città come Catania e Roma. Si tratta quindi di un problema non nuovo che ha molteplici cause, tra cui il tipo di riscaldamento usato dalle case e gli scarichi dei mezzi di trasporto.
Le condanna della Corte e, più in generale, le disposizioni dell’Unione europea hanno influenzato norme e regolamenti statali e degli enti locali, indicando gli obiettivi da raggiungere. Per esempio, Milano ha istituito la cosiddetta Area C, che copre però solo la parte centrale della città. All’estero, città come Barcellona e Parigi hanno instaurato delle “zone a basse emissioni” molto più ampie, che coprono sia il centro sia alcune aree periferiche e dei comuni vicini. In tutti questi casi sono state introdotte limitazioni all’uso di alcune tipologie di veicoli.
Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, in carica da ottobre 2021, e la sua giunta, hanno deciso di seguire una strada simile. Una delibera approvata il 10 novembre 2022 istituisce una zona a traffico limitato che, oltre a coprire il centro, include diversi altri quartieri fino a toccare sia a nord sia a sud-est il Grande raccordo anulare. Vengono così introdotti dei divieti di circolazione per tutte le ore dal lunedì al sabato per i veicoli considerati più inquinanti. Sono previste poi ulteriori restrizioni per gli anni a venire. Le automobili comprese nei primi divieti dovrebbero ammontare a circa un terzo del totale circolante, secondo stime della regione Lazio.
La delibera della giunta capitolina ha causato non poche proteste: la destra romana nelle sue diverse sfumature ne vuole approfittare per mettere in difficoltà Gualtieri, ma anche chi rappresenta la lista Sinistra Civica Ecologista, parte della maggioranza che sostiene Gualtieri, ha chiesto di rivedere il provvedimento coinvolgendo di più la cittadinanza, potenziando il trasporto pubblico e intervenendo su altre fonti di inquinamento, come i riscaldamenti.
Al di fuori del consiglio comunale si muovono anche altre realtà: per esempio, la Rete ecosocialista di Roma sostiene che il provvedimento farebbe solo pagare alle persone più povere i costi della crisi ambientale. Si propone invece di puntare su un trasporto pubblico gratuito o a basso costo per limitare il più possibile l’uso dei mezzi a motore privati, proporre un servizio di taxi a prezzi accessibili e con carattere di collettività, e incentivare la ciclabilità, anche installando dissuasori per le vetture private nel centro cittadino.
Quando si prende in esame un provvedimento come quello del Comune, e le relative controproposte, bisogna ricordare che Roma, rispetto alle grandi città europee citate in precedenza, ha delle caratteristiche particolari. Oltre alla cronica mancanza di metropolitane (appena tre linee) e di trasporti su ferro (le linee di tram sono poche con una, la 8, non più in funzione da mesi per lavori di manutenzione) negli anni la città è cresciuta in modo spesso disordinato, finendo per occupare una superficie molto estesa. Città come Barcellona o Parigi, anche prendendo in considerazione i comuni limitrofi, hanno una dimensione molto più compatta che rende gli spostamenti meno lunghi, oltre a disporre di un’estesa rete di trasporti pubblici su gomma e, soprattutto, su ferro. Inoltre, i nuovi quartieri romani, nati a volte in modo abusivo, non avevano collegamenti con il resto della città e quindi per molte persone l’automobile è stata la risposta alla necessità di spostarsi ogni giorno. «Stiamo assistendo a un progressivo svuotamento della città, con sempre più persone che finiscono per vivere in comuni vicini a Roma che negli ultimi anni hanno visto crescere di molto la loro popolazione: questi spesso sono mal collegati e quindi per chi lavora a Roma non è facile fare a meno di una macchina», ci dice una persona del laboratorio Granma di San Lorenzo che lo scorso 14 giugno ha partecipato a una delle assemblee aperte sull’istituzione della Zona a traffico limitato che si stanno svolgendo a Roma in queste settimane. «Noi non neghiamo il problema dell’inquinamento, però vogliamo che su questi temi ci sia un vero confronto con la cittadinanza. Si potrebbero prendere già ora dei provvedimenti per rendere il trasporto pubblico più adatto alle esigenze della città: per esempio potenziando alcune linee di autobus quando si vede che c’è più afflusso. Sono provvedimenti a costo zero o molto basso. Tra l’altro, c’è il rischio concreto che tra poco i biglietti dei trasporti pubblici a Roma aumentino del trenta per cento e gli abbonamenti del quaranta, disincentivandone ancora di più l’uso. Chiediamo che l’aumento sia scongiurato e che si ritiri la delibera sulla Ztl», aggiunge.
Sul tema della mobilità, come su quello dei rifiuti, la giunta Gualtieri si gioca parte della sua credibilità. Oltre all’inquinamento il modo di spostarsi incide sulla fisionomia di un centro urbano e quando si interviene occorre prendere in considerazione diversi aspetti, come peraltro fa, almeno in parte, il Piano di mobilità sostenibile (Pums) approvato nel 2022. Oltre all’elaborazione progettuale, occorre però essere in grado di far percepire alla cittadinanza un disegno più ampio ed equo di trasformazione del trasporto urbano, magari con nuovi investimenti sul trasporto pubblico (anche per collegare le periferie tra loro), aree chiuse al traffico, per esempio vicino alle scuole, o con zone in cui si può circolare al massimo a 30 km/h. Suggerire che sia sufficiente sostituire le macchine con il motore a scoppio con quelle a motore elettrico per ottenere dei buoni risultati è fuorviante: anche queste ultime hanno un impatto ambientale non secondario per quanto riguarda la loro produzione, l’approvvigionamento di energia e lo smaltimento, senza dimenticare che anche loro occupano molto spazio nelle strade cittadine.
È difficile far passare l’idea che la macchina non sia il modo migliore per spostarsi in città se non si è in grado di fornire delle alternative chiare e accessibili, soprattutto per chi non ha la possibilità di acquistare mezzi più moderni. Eppure è proprio su questo, e sulla sua capacità di costruire un consenso intorno alle misure proposte, che la giunta Gualtieri misurerà l’efficacia delle sue politiche in tema di trasporti. (alessandro stoppoloni)
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