Crescere a Burgos, nel nord della Spagna, durante gli anni Novanta nel quartiere di Gamonal, significa crescere insieme alle fabbriche, agli operai con le tute da lavoro in cotone blu, quelle che mamma lavava tutti i venerdì, agli altri ragazzi con cui condividi la strada e il lavoro dei tuoi genitori nell’industria, con i quali vedi, senza capire, i primi striscioni alle finestre o i primi scioperi operai. Quando usciva il fumo nero dei pneumatici bruciati dalla fabbrica Firestone, mamma diceva semplicemente: «Sono in sciopero, è normale». La normalità, poiché quando sei piccolo il quartiere è l’unica realtà che conosci. Ma sarà nel 2005, durante le proteste nella via Eladio Perlado, che comprendi che non solo è quartiere operaio ma anche combattivo.
È in quell’anno che la mia generazione, nata e cresciuta a Gamonal, partecipa alla prima manifestazione. L’opposizione alla costruzione del parking sotterraneo percorre tutto il quartiere nei mesi prima dell’inizio dei lavori. Questa volta vedi gli striscioni e capisci perché sono là, condividi la paura delle famiglie per le loro case – il crollo dei palazzi nel quartiere del Carmel a Barcellona è il precedente più vicino – e inizi a capire che vivi in un quartiere diverso, poiché la giustificazione del comune è quella di trovare una soluzione alla mancanza di parcheggio nella zona, cosa che si scontra con la tua quotidianità giacché nessuno parcheggia con il freno a mano e quando bisogna uscire con la macchina, si spingono quelle parcheggiate in seconda e terza fila.
Alle sei del mattino di un giorno d’agosto gli abitanti del quartiere si sono gettati in strada, un po’ prima è arrivata la polizia con gli operai per iniziare i lavori, ma sono riusciti a fermarli. Il pomeriggio, dopo un’assemblea, gli abitanti iniziano a buttare giù le recinzioni: sono gli anziani i primi a farlo e ad animare noi giovani. È la prima volta che ti trovi a urlare contro la polizia, che vedi gli adulti che litigano tra loro, che vai con loro a bloccare la strada principale mentre intorno a te ascolti «ci dobbiamo far sentire», «il comune sapeva che non volevamo», e non sai come ma la polizia inizia a caricare. La gente corre, i bar ti fanno entrare e chiudono le serrande per proteggerti, vedi i primi cassonetti della spazzatura bruciati, i vicini aprono i portoni dare rifugio a chi scappa, mentre dalle finestre volano contro la polizia padelle, buste della spazzatura… Ho solo sedici anni e i miei genitori mi cercano e mi mandano a casa. Il giorno dopo cammino per la strada, sembra un campo di battaglia; dicono che gli scontri siano durati fino a tardi e che ci sono degli arrestati, ma quello che importa è che il parking non si farà. E se i più anziani non sono sorpresi, noi abbiamo vinto per la prima volta. Per mesi si rinomina la strada come Eladio Pearl Habor. Non lo sapevamo ancora ma sarebbe stato il precedente di ciò che accadrà nel 2014.
Nell’autunno del 2013 si comincia a parlare del Bulevar, un progetto che prevede la ristrutturazione della strada principale, la calle Vitoria, e la costruzione di un parking sotterraneo a pagamento. Le autorità dicono che lo fanno con il consenso del quartiere – mentre tu pensi che non hai mai sentito parlare di questo Bulevar – ma, soprattutto, che spenderanno più di dodici milioni di euro nel quartiere della città più colpito dalla crisi. Il 22 novembre andiamo alla prima manifestazione durante la quale ci informano che si è creata la Plataforma No al bulevar, formata dagli abitanti per organizzare l’opposizione, ci invitano a partecipare nella campagna Colapsa el Ayuntamiento, a inviare in massa mail e a chiamare il numero verde del comune per chiedere perché continuano col loro progetto quando invece gli abitanti non vogliono spendere tutti quei soldi. Col freddo di dicembre assistiamo all’ultima manifestazione dell’anno, nella quale si chiede che quei soldi siano investiti in cose più importanti: ristrutturare la biblioteca, finire i lavori dell’asilo nido di cui si ha tanto bisogno, attuare politiche per i disoccupati. L’8 gennaio iniziano i lavori, anche se il giorno prima si è tornati nella strada. Questa volta i manifestanti non riescono a fermare i lavori come nel 2005 e con il cantiere aperto si estende la sensazione di ingiustizia, poiché dopo tanti mesi il comune non solo non ascolta la volontà della gente ma addirittura inizia i lavori senza il consenso. Le assemblee convocano un’altra manifestazione in strada e si decide che i vicini scenderanno tutti giorni alle sei del mattino per bloccare i lavori e che ci saranno manifestazioni tutti giorni finché il comune non si deciderà a fermare il progetto.
Così il 10 gennaio vado con i miei genitori, ci siamo tutti, canto e urlo con le mie amiche e dopo la manifestazione andiamo a casa. La notte si sentono i primi scontri con la polizia; vedi i ragazzi dalla finestra che corrono, mamma è al citofono per farli entrare nel portone di casa. Non sai bene che succede e il giorno dopo ti dicono che ci sono stati diciassette arresti, qualcuno lo conosci, venivano con te a scuola. Siamo tutti arrabbiati, e sarà da quel momento che tutti giorni alle dodici ci saranno le assemblee, durante le quali la gente prende i megafoni e invita tutti a resistere; si raccolgono soldi per mettere in libertà provvisoria i detenuti, le vicine portano caffè e cioccolata calda per combattere il freddo alle persone che fermano i lavori tutte le mattine, si ricorda il 2005, mentre noi giovani sentiamo per la prima volta gli anziani raccontare delle mille lotte che sono state fatte, della speculazione urbanistica, sentiamo parlare di Méndez Pozo – uno dei primi condannati per corruzione in Spagna e proprietario della principale azienda costruttrice del Bulevar e del principale giornale della città – e di come la ristrutturazione vada soprattutto a suo beneficio. Il sindaco del Partido Popular, Javier Lacalle, dice che ormai è tardi per fermare i lavori, ma tutti siamo d’accordo: si continuerà.
Nei giorni seguenti, le stesse dinamiche: assemblee la mattina, manifestazioni la sera – si aggiungono quelle fino alla caserma, in cui si chiede la libertà dei detenuti, e fino alla sede del giornale, che continua a criminalizzare i manifestanti – e scontri la notte. Siamo su tutti i telegiornali e iniziano ad arrivare le televisioni, alle quali interessano solo gli scontri che si verificano la sera, e la gente prende la parola per dare la propria versione: si sono solo bruciati i cassonetti della spazzatura e si sono rotte le vetrine delle banche ma non c’è stato nessun danno al quartiere, gli arrestati sono tutti del quartiere, l’unico modo per farci ascoltare sono stati gli scontri e soprattutto Gamonal resisterà, grazie pure alla forza che ci danno le manifestazioni di sostegno che si estendono per tutte le città del paese. Lo chiamano l’“effetto Gamonal”.
Il 14 gennaio 2014, dopo quattro giorni di mobilitazioni e scontri, il sindaco annuncia la sospensione momentanea del Bulevar. Ci abbracciamo ma comunque non ci fidiamo e continuano le mobilitazioni, finché il 17 gennaio arriva la sospensione definitiva. È stato più difficile questa volta ma comunque abbiamo vinto. Nei mesi dopo si assiste alla sistemazione della strada come era prima, tranne per il fatto che dipingono una linea rossa. Il comune dice che è normale ma sappiamo che questa è la punizione: non ci fanno più parcheggiare in doppia fila nella calle Vitoria.
Oggi, cinque anni dopo, abbiamo da pochi mesi un sindaco socialista originario di Gamonal. Durante la campagna elettorale ha detto che vuole intervenire pure lui nella calle Vitoria. Speriamo che nel caso lo faccia non ripeta gli stessi errori del passato, altrimenti la storia si ripeterà. (monica palacios)
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