Les Soulèvements de la Terre è il nome di un movimento nato in Francia che ha avuto di recente una certa eco, principalmente grazie alla mobilitazione contro i mega-bacini nella regione francese di Poitou. Ha fatto breccia nel dibattito del movimento sociale anche in Italia e ha colpito l’immaginario il “primo atto” a Saint-Soline. Il “secondo atto” della mobilitazione (24-25 marzo) ha richiamato attiviste ecologiste e militanti anti-capitaliste da tutta Europa, dando vita a un corteo di trentamila persone, ma anche a una violenta repressione in risposta nonché a una minaccia di dissoluzione del movimento stesso da parte del ministro Darmanin – per ora sventata.
In questa intervista proviamo a ricostruire la storia e la proposta politica di SdT, nonché a tratteggiarne le prospettive future. Nostra convinzione è che questo possa essere di grande stimolo per il dibattito italiano, soprattutto per il milieu ecologista.
GENESI, PROGETTO, ORGANIZZAZIONE
Vorremmo iniziare chiedendo come è nato Les Soulèvements de la Terre e quali sono le riflessioni politiche che hanno portato alla sua genesi.
SdT è nato nel 2021 in continuità con la lotta contro l’aeroporto di Notre Dame des Landes, nota come Zone a Défendre (ZAD), tra una parte dell’autonomia, il nascente movimento per il clima e il mondo contadino, in particolare il sindacato della Confédération Paysanne. Questi legami hanno permesso di sviluppare un’analisi che si è costituita su due livelli.
Un primo livello parte da riflessioni diffuse nella società francese. Oltre alla crescente preoccupazione per quanto riguarda il clima, simile in vari paesi europei, c’è la questione specifica dell’evoluzione sociale del mondo agricolo. Stiamo assistendo a un passaggio storico: circa la metà delle agricoltrici sono vicine all’età della pensione, e un’enorme porzione di territorio agricolo del paese cambierà presto di mano. Questo cambiamento apre la strada a due tentativi capitalistici che sono già innescati: l’artificializzazione e l’accaparramento. L’artificializzazione è l’insieme dei grandi progetti che trasformano il territorio agricolo, e spesso lo cementificano, facendolo diventare altro (centri commerciali, aeroporti, ecc.). L’accaparramento, invece, è la logica per la quale grandi multinazionali o imprenditori agricoli acquistano la proprietà di parti importanti di territorio agricolo, togliendole di mano ai piccoli produttori e centralizzando la produzione.
Oltre a questo piano, ce n’è un altro, più strettamente militante, che deriva da una serie di piccole conclusioni cui siamo giunte dopo aver affrontato impasse a differenti livelli nel contesto della ZAD. Nel 2018 il progetto di costruzione dell’aeroporto di Notre Dame des Landes è stato abbandonato. Si tratta indubbiamente di una vittoria del movimento, che però contemporaneamente ha sperimentato contrasto intorno all’idea che la ZAD fosse la forma fondamentale di opposizione ai grandi progetti infrastrutturali. La strategia della “moltiplicazione delle ZAD” non aveva raggiunto l’ampiezza che alcune si aspettavano. Inoltre, la controparte era diventata molto più reattiva di fronte alla creazione delle ZAD. Si sentiva il bisogno di sviluppare altre strategie. Ci si è dunque chieste se la maniera di approcciarsi alle lotte locali “ambientali” poteva essere non solo difensiva ma anche offensiva.
Infine, abbiamo pensato che fosse necessario trovare nuovi punti di alleanza e di composizione, per agire insieme e sviluppare dei terreni di lotta che riuscissero davvero a costruire rapporti di forza positivi, permettendo a varie frange di movimento di uscire dall’isolamento in cui si trovavano.
Per quanto riguarda il mondo agricolo e contadino, invece, la Confederation Paysanne ha sempre funzionato tenendo il piede in due staffe: una istituzionale e una più di movimento e popolare. Negli ultimi anni, nel mondo istituzionale i sindacati agricoli avevano perso forze, e da un punto di vista di movimento non riuscivano più a produrre lotte significative.
Un’impasse era percepita anche dai movimenti dei più giovani nati intorno alla questione climatica, che continuavano ad attraversare ripetutamente le città con grandi marce per il clima ma che non riuscivano a ingaggiare un rapporto di forza con il potere. C’era insomma una possibilità di convergenza tra forze anche molto diverse ma unite dalla necessità di agire. Era importante diventare “forza di composizione” che potesse andare in aiuto delle lotte locali. Abbiamo dunque riconsiderato il repertorio di pratiche di lotta che possediamo e che siamo in grado di mettere in campo e coordinare.
Vorremmo sapere più nello specifico come vi siete organizzati nel corso degli anni e quali pratiche avete messo in atto. In generale, come funziona SdT?
A seguito degli sviluppi descritti, nel gennaio 2021, qualche mese dopo l’esplosione pandemica, abbiamo convocato una prima grande assemblea di trecentocinquanta persone alla ZAD. Si partiva da un’idea modesta: non di trovare un piano ideologico comune, ma di partire dalle nostre differenze e costruire delle campagne d’azione contro degli obiettivi evidenti, per esempio l’industria del cemento o l’industria dei pesticidi. Il nostro obiettivo era innanzitutto costruire un piano di comprensione: un linguaggio comune a partire da problemi comuni. Abbiamo pensato fosse più facile farlo iniziando da un circolo un po’ chiuso, anche se esteso, perché nelle assemblee pubbliche con molte persone è difficile prendere decisioni e organizzarsi: per questo l’assemblea era su invito ma con uno spettro largo. In parallelo, abbiamo costruito un groupe de suivi che esiste ancora oggi. Si tratta di un gruppo di una cinquantina di persone che si riunisce più volte l’anno in videoconferenza. L’obiettivo è di tenere insieme tutte le necessità organizzativo-amministrative di SdT: contabilità, segreteria ma anche i gruppi di referenti che vanno a incontrare le lotte locali.
Prima di Saint-Soline e della dichiarazione dell’intenzione di dissoluzione abbiamo continuato su questo doppio piano: momenti di grandi assemblee chiamate interludi, che hanno luogo due o tre volte l’anno e dove si discute con le differenti lotte locali o singole persone per costruire un calendario d’azione, e il lavoro del groupe de suivi, che segue le linee guida decise nelle grandi assemblee ma che ha anche potere decisionale. Quindi negli interludi si delinea un calendario, si fa lavoro di composizione politica e di pianificazione a medio-termine; in seguito, il groupe de suivi lavora nello specifico su ogni aspetto: comunicazione, segretariato, preparazione delle azioni. Proviamo ad assicurarci che ogni azione che prepariamo riesca a tenere insieme la solidarietà tra mondo contadino, movimento ecologista, lotte territoriali e movimento autonomo e che le pratiche di lotta di ciascuna si articolino insieme affinché si ottengano delle vittorie su differenti livelli, sia nelle lotte locali sia nella grandi azioni.
Fino all’autunno dello scorso anno avevamo un’esistenza pubblica ma che aveva risonanza soprattutto nel mondo militante. Dopo il primo atto di Saint-Soline e le azioni che sono state fatte in autunno abbiamo iniziato ad avere una risonanza nazionale, e molta gente proveniente da ambienti differenti ha iniziato ad avvicinarsi.
Per quanto riguarda i rapporti con il territorio, cerchiamo di rafforzare di volta in volta i legami con il mondo contadino andando a conoscere le persone con cui vogliamo lottare insieme. Quando c’è una lotta territoriale, andiamo a conoscere la storia di quei luoghi e cerchiamo di incontrare non solo i collettivi politici, ma tutte le attrici del mondo contadino provando a mettere in connessione delle realtà che prima non lo erano. Questo ci permette di arrivare in un posto sapendo quali sono le dinamiche di accaparramento locali e quali sono le grandi aziende che partecipano al processo di artificializzazione. Cerchiamo insomma di identificare contro chi lottare, chi andare a incontrare, e dunque di rinsaldare il legame tra mondo agricolo, ecologico e autonomo, dal quale ultimo molte di noi provengono.
Soulèvements de la Terre ha avuto una indubbia risonanza nell’ultimo periodo. Oltre agli aspetti organizzativi e strategici pensiamo che uno dei vostri punti di forza sia anche la costruzione di un’estetica e di narrazioni intorno alle lotte ecologiste. Quanto è importante un nuovo modo di raccontare le lotte per SdT?
A riguardo possiamo individuare due aspetti. Il primo è la forza della narrazione. Prendiamo l’esempio della lotta contro i mega-bacini. Nel settembre 2021 era una lotta di cui nessuno aveva sentito parlare; abbiamo fatto le prime azioni con quattrocento persone. In un anno e mezzo siamo passati da quattrocento a trentamila persone nell’ultima manifestazione. Tra gli altri fattori, abbiamo puntato molto sulla forza della narrazione che questa lotta è in grado di generare. Non solo una narrazione astratta, fatta di comunicazioni sui social media. Certo ci interessa anche quella, ma vogliamo avere soprattutto un ruolo nella realizzazione di azioni impattanti: blocchi, occupazioni; non solo manifestazioni simboliche. Quando riusciamo a farlo, le persone che hanno partecipato si portano a casa un’esperienza forte, e producono a loro volta una narrazione. Le persone che tornano una seconda volta a manifestare contro i bacini sanno che non partecipano a una manifestazione simbolica, ma a una pratica politica collettiva attiva.
Al contempo, sappiamo che questo non è sufficiente a vanificare la narrazione criminalizzante dei nostri gesti politici prodotta dalle autorità. Per questo risulta fondamentale anche svolgere un grande lavoro di comunicazione, con l’idea di assumere pubblicamente e apertamente le azioni e i gesti che portiamo avanti. Riteniamo che il fatto che tutte le persone che partecipano agli atti condividano e legittimino anche i gesti più radicali contribuisce alla costruzione di una narrazione pubblica alternativa. Secondo noi la narrazione orale degli eventi, sostenuta tanto da una comunicazione mediatica incisiva che da personaggi pubblici, intellettuali e scienziate, partecipa a una riappropriazione di gesti e pratiche politiche più radicali.
SAINT SOLINE E LA RIFORMA DELLE PENSIONI
L’ultimo atto, svoltosi a Saint Soline, è probabilmente quello che ha ricevuto maggiore risonanza. A distanza di qualche settimana, puoi farci qualche riflessione su questo momento nei suoi aspetti positivi e negativi? Come si colloca nel quadro della mobilitazione contro la riforma delle pensioni?
Sul sito Lundi Matin sta uscendo un testo di bilancio critico sul 25 marzo, vi invito a leggerlo perché completerà la mia risposta [qui la traduzione].
Innanzitutto bisogna considerare la costante crescita di conflittualità sociale in Francia dal 2015 al 2020, che ha visto succedersi il movimento contro la loi travaille, la lotta di Notre Dame des Landes e una serie di altre ZAD, per arrivare al movimento dei Gilets Jaune. Questa sequenza di lotte è stata contrastata da una repressione sempre più feroce. L’esplosione pandemica e la serie di confinamenti hanno interrotto questo ciclo, congelando le dinamiche di elaborazione politica e di lotta.
SdT è nato subito dopo questo periodo di confinamento. Il progetto ha colpito per la sua capacità di articolare azioni dirette e conflittuali con una dimensione “di massa”, o comunque larga, che ne supporta in pieno anche gli aspetti più radicali. Certo, è evidente che sia diventata una questione di portata nazionale anche per l’enorme siccità che abbiamo dovuto fronteggiare, che ha fatto sì che il problema dell’acqua sia ormai percepito come centrale.
La risonanza di questa lotta ha fatto in modo che una parte del mondo sociale, del mondo scientifico, delle associazioni ambientaliste che erano isolate e la cui voce non si sentiva molto, abbiano trovato la legittimità e lo spazio per prendere la parola pubblicamente. Questo è stato cruciale, perché all’inizio il progetto di realizzazione dei bacini si presentava come “ecologico”. Il movimento popolare ha avuto la forza di determinare uno slittamento di opinioni delle associazioni ecologiste e delle scienziate che in un primo momento avevano sottoscritto il progetto. Una dimostrazione di quanto scienza e politica non siano scindibili, e che l’ecologia non consiste nell’applicazione di una serie di indicazioni tecniche ma sia un campo di battaglia.
Per quanto riguarda il 25 marzo e l’ultima manifestazione a Saint-Soline, penso che un insieme di elementi legati all’organizzazione dell’evento abbia determinato un sentimento di fallimento, nonostante sia stato anche molto bello per la grande partecipazione e determinazione. Non ci aspettavamo di trovarci di fronte a un muro di gendarmerie pronto a dispiegare quel livello assurdo di violenza, con tutte le conseguenze che conosciamo – due persone tra la vita e la morte, duecento feriti, di cui vari gravi. Noi abbiamo sempre applicato la strategia di aggirare le forze dell’ordine per far sì che il conflitto non fosse frontale, e inevitabilmente asimmetrico, ma le forze dell’ordine hanno imparato dalle manifestazioni precedenti le nostre tattiche, e questo ha fatto sì che ci trovassimo di fronte a un enorme dispositivo di polizia. Una delle principali difficoltà è stata quella di gestire una folla di trentamila persone. Con questi numeri è stato difficile aggirare il dispositivo di polizia: fatalmente un certo numero di manifestanti si è assemblato tutto in un punto, e ha cercato di forzare il blocco poliziesco per provare ad andare avanti.
Insomma, non ci aspettavamo che lo stato si assumesse la responsabilità di un tale livello di violenza, quindi siamo rimaste abbastanza scioccate. Anche per il movimento contro la riforma delle pensioni si sta mettendo in atto una repressione analoga. È evidente che siamo di fronte a un cambiamento di paradigma, se si pensa alla maniera in cui lo stato negli ultimi vent’anni anni ha gestito il conflitto. Lo stato infatti ha sempre cercato di ricostituire le condizioni di dialogo tramite un movimento di differenziazione e stigmatizzazione: da un lato le persone violente che vogliono uccidere la polizia, dall’altro le persone che rispettano il patto repubblicano e con cui ci si può intendere. Invece oggi, tanto riguardo alla questione pensioni che alla lotta contro i mega bacini, lo stato si assume la responsabilità di una dura repressione, ma non cerca assolutamente di ricostruire le possibilità di dialogo sociale.
Con questa situazione bisogna ovviamente fare i conti, perché ogni volta che cercheremo di mettere in atto delle lotte radicali ci dovremo confrontare con questo livello di violenza, e bisogna cercare di portare avanti le nostre lotte senza che le persone si demoralizzino. Dopo il 25 marzo non abbiamo avuto un attimo di pausa, ma abbiamo l’impressione che le persone non stiano disperando; anche se sono ancora scosse da quello che hanno vissuto, tanto a Saint-Soline che nelle strade contro la riforma delle pensioni, nessuna sta sostenendo che bisogna smettere di lottare, o che si debba tornare a delle pratiche strettamente nonviolente, ma tutte sembrano prendere atto che la situazione sta cambiando e che bisogna essere più forti e determinati per fronteggiarla. A oggi non c’è stata nessuna dissociazione pubblica né riguardo a quello che è avvenuto a Saint-Soline né dalle forme di contestazione più dirette e radicali contro la riforma delle pensioni.
Nonostante ciò lo stato sta cercando ancora di portare avanti la narrazione sulla figura dei violenti, ma per ora questa strategia non sta funzionando. Noi per primi non rivendichiamo di essere un gruppo violento; diciamo che è assolutamente necessario per fronteggiare dei nemici che sono molto più grandi di noi, e che sono anche molto determinati, recuperare alcune pratiche dai repertori della lotta sociale. Anche il sabotaggio è una pratica sempre esistita nel mondo sindacale, non appartiene solo ai gruppi radicali e rivoluzionari, e di questo se ne rendono conto in molte. Dunque, anche se stanno cercando di disegnarci come violente, a noi poco importa dal momento che tanto le persone con cui abbiamo condiviso la lotta, che la maggior parte della popolazione, non stanno aderendo a questa narrazione. Per il momento non siamo state ancora dissolte, poi abbiamo ancora dei vecchi ricorsi da cui dobbiamo difenderci, ma in ogni caso l’onda di sostegno che si sta producendo ci fa dire che il tentativo di dissoluzione per ora non sta funzionando. Questo momento non è più difficile rispetto ad altri già passati, dove sono riusciti a costruire un’immagine di noi come violente e distaccate dalla società.
PER IL FUTURO
Dopo la minaccia di scioglimento c’è stata un’immediata e larga risposta di sostegno. Per far fronte a questa minaccia SdT ha lanciato la proposta di far nascere in tutta la Francia comitati locali di sostegno al movimento. Questo appello ha avuto una grande eco e decine di comitati sono stati creati. Com’è nata l’idea di questa strategia? Pensi che la moltiplicazione dei comitati locali cambierà molto la struttura del movimento?
Oggi sono in atto due dinamiche intrecciate. Già da agosto, infatti, sono nati comitati locali in alcune parti della Francia. Inizialmente si sono creati soprattutto gruppi di persone legate per affinità, che partecipavano localmente alle mobilitazioni e organizzavano campagne pubbliche. Ci siamo interrogati per mesi riguardo all’ufficializzazione e alla diffusione dei comitati locali. Non essendo SdT un movimento le cui assemblee organizzative sono pubbliche, c’è stato un po’ il timore che la diffusione dei comitati locali non si sposasse bene con il lavoro di composizione politica che abbiamo sin qui fatto. Inizialmente abbiamo solo accompagnato diversi tentativi di creazione di comitati che andavano avanti in posti diversi.
Il fatto che le assemblee non fossero pubbliche rendeva difficile per le persone volenterose prendervi parte. Abbiamo quindi deciso di far partire dei cicli di formazione aperti ai comitati locali e alle persone che avessero voglia di unirsi al movimento di modo da capire il nostro gioco di composizione. Si tratta di incontri che vertono sulla preparazione delle azioni e sulla comunicazione. A questo abbiamo affiancato un maggiore confronto internazionale, che ha preso vita nella prima formazione pubblica prima del 5 marzo. Secondo noi la questione dell’ecologia e delle risorse diventeranno sempre più centrali nelle lotte in Francia ma anche in Europa, per cui abbiamo sentito il bisogno di confrontare le nostre ipotesi politiche con quelle che si ponevano gruppi simili in paesi vicini.
Tutto questo lavoro da formiche ha preso un’accelerata: oggi stiamo assistendo a una proliferazione di comitati locali. Il primo incontro del comitato locale a Parigi ha visto più di quattrocento persone. Riceviamo moltissime mail da persone che vogliono unirsi ai comitati. L’accelerazione e l’ufficializzazione dei comitati gioca un ruolo nella sequenza legata alla dissoluzione e nella strategia che abbiamo adottato: ci permette di dire che SdT è diventato un movimento, e un movimento non si può sciogliere.
Dunque la formalizzazione dei comitati ha un ruolo fondamentale ma non nasce solo come un fuoco di paglia. Quello che ci immaginiamo per il futuro dei comitati locali è che operino un rilancio delle azioni permettendo alle persone di organizzarsi più facilmente a livello locale. Oltre a questo, dai comitati speriamo possa arrivare un lavoro di indagine su quali sono le industrie e le società da combattere nei loro territori, e come organizzare delle azioni che si possano inserire in un calendario più ampio. Speriamo che permettano di creare un movimento che possa anche pensare sul medio o lungo termine azioni su una scala europea, tenendo insieme tematiche che toccano i paesi confinanti. Per esempio, durante l’ultima azione messa in atto sono venute le compagne della Val Susa, con l’aspettativa, anche, che una dinamica di lotta si rinforzi e prenda piede in Francia rispetto al Tav.
A oggi, quindi, ci troviamo all’intersezione di una doppia temporalità: quella molto urgente della dissoluzione, e al contempo il bisogno più lento di costruire una forza importante e che oltrepassi la frontiera francese. Andando al punto, per noi il problema cruciale sarà comprendere l’equilibrio tra SdT, costituito da forze diverse ma in qualche modo centralizzate, e i comitati locali che si stanno creando. Ci sarà chiaramente un desiderio di autonomia, di decisione, e penso che tutto il lavoro sarà anche quello di riuscire a trasmettere, condividere, la maniere in cui ci si organizza. L’idea non è di creare un movimento perfettamente omogeneo, ma piuttosto che ognuna abbia curiosità e comprensione rispetto alle diverse componenti della lotta per avanzare insieme. È anche per questo che siamo in grado di condurre delle azioni contro i mega-bacini, dove c’è un certo tipo di lotta, ed altre in altri luoghi dove si attuano azioni magari meno forti ma che è molto importante che esistano. (l.e.a. berta cáceres)
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