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28 Settembre 2017

Licenziamenti di massa e accordi tombali. Un presidio contro i padroni del porto

Davide Schiavon capasso, centro direzionale, conateco, giuseppe d'alesio, legora de feo, licenziamenti, napoli, piazzale cenni, porto, si cobas, soteco
(foto di -ds)
(foto di -ds)

Il sindacalista Giuseppe D’Alesio prende il megafono e imbastisce un lungo discorso. Sento da lontano riecheggiare: “Tre euro all’ora”, “sfruttamento”, “stress”. In piazza Cenni, tra il Palazzo di Giustizia e i giganti del Centro Direzionale, circa venti persone aspettano l’esito di un’udienza e l’uscita dal tribunale di un loro compagno. La piazza è attraversata velocemente da borse di pelle, tacchi e vassoi, giovani dei bar, avvocati e poliziotti. Nessuno si ferma, hanno tutti da fare. Vincenzo è all’interno del tribunale, davanti al giudice discute del suo licenziamento da Conateco, azienda che nel terminal container del porto di Napoli si occupa principalmente di carico e scarico navi. Vincenzo è un portuale, invalido perché «per il troppo lavoro e le condizioni precarie» ha perso totalmente il senso dell’udito da un orecchio.

Conateco e Soteco costituiscono gruppo unico della compagnia marittima Msc: l’amministratore delegato è Pasquale Legora De Feo. In un articolo di Repubblica viene descritto come “il capitano d’industria che capisce il mondo dei cinesi”. Ancora: “I cinesi sono stati i primi a tessere le lodi di questo capitano d’industria napoletano dagli occhi celesti e l’incarnato chiaro”. L’aspetto angelico è sfuggito agli occhi dei dipendenti Conateco e Soteco che manifestano in piazza Cenni. Con loro donne e uomini del sindacato SI Cobas, attivisti, un cane e cinque o sei bandiere rosse. «In tutto parliamo di una ventina di licenziamenti», spiega uno degli operai. Che hai fatto, perché ti licenziano? «Un banale incidente, non un evento raro per chi lavora sotto stress come noi. Dobbiamo essere competitivi, abbiamo supervisori vigili e da un paio d’anni l’azienda ha assunto un ‘taglia-teste’, un consulente del lavoro di nome Cafasso».

G. è un polivalente: gruista e rallista. Con una gru prende i container dalla “ralla” e li trasferisce a bordo, o viceversa. «Negli ultimi mesi ogni minimo contrattempo, un incidente innocuo o un battibecco tra colleghi, è sanzionato con il licenziamento. Un collega è stato punito per aver litigato durante il lavoro con un altro terminalista. Cose che succedono, dopo si sono stretti la mano, non c’è stata denuncia, hanno continuato a lavorare insieme. Però l’azienda ha deciso di licenziarlo». I licenziamenti sono, come si diceva, una ventina. «Nel complesso, però – spiegano i partecipanti al presidio –, sono un centinaio: molti colleghi hanno preferito siglare accordi “tombali”. In cambio della rinuncia a ogni pretesa verso Conateco hanno accettato somme anche risibili per chi ha lavorato nel porto per vent’anni, e si sono “volontariamente” licenziati». I venti in piazza Cenni hanno rifiutato gli accordi, vogliono lavorare e faranno valere le proprie ragioni, nei prossimi mesi, davanti ai giudici.

«Quella dell’azienda è una strategia politica – dice Giuseppe D’Alesio, l’uomo col megafono, coordinatore provinciale del sindacato SI Cobas –. Legora De Feo ha grossi interessi sulla Darsena di Levante in costruzione. In questo modo Conateco e Soteco si stanno liberando dei dipendenti più anziani e tutelati e potranno formare un nuovo “parco lavoratori” con tutele fragili o nulle, quelle insomma del Jobs Act, oppure automatizzare gran parte del lavoro». Legora De Feo sembra intoccabile: la lotta dei lavoratori ha trovato pochissimo spazio sui giornali, mentre «la triade sindacale non ha mosso un dito», spiega G. «Il problema è che questi licenziamenti e tutte le proposte di accordo tombale si potrebbero definire licenziamento collettivo: i bilanci dell’azienda sono in rosso ma il lavoro c’è, poi Conateco e Soteco usufruiscono degli ammortizzatori sociali, anche in deroga, e non si può licenziare quando sei coperto dagli ammortizzatori», sostiene D’Alesio.

In un turno di sei ore, G. spostava tra i cento e i centoventi container. Cosa c’è nei container lui non può saperlo. Deve spostarli per sei ore, al ritmo di uno ogni tre minuti. Mi parla di performance e di stress, mi spiega che in quei tre minuti incrociava altre gru e altri camion, che nel terminal container c’è traffico e «non esistono le condizioni minime di sicurezza». Prima dell’estate questi lavoratori hanno presentato al prefetto un dossier sulla sicurezza nel terminal. Da allora nulla è cambiato, sono arrivate altre lettere di licenziamento, qualcuno ha intascato la buonuscita ed è andato via. La notizia dei portuali in presidio arriva anche in aula, dove sta per cominciare l’udienza del primo licenziato Conateco. «L’avvocato della controparte ha messo su un teatrino, si è agitato chiedendo alla Digos chi erano queste persone all’esterno del tribunale e se era tutto sicuro», spiega un testimone del portuale licenziato appena uscito dal Palazzo di Giustizia. «Stanno provando a farci passare per malviventi». L’udienza è stata rinviata all’11 ottobre. Le bandiere vengono arrotolate, lo striscione ripiegato: ci si dà appuntamento alla prossima volta, si prepara il viaggio a Teverola, per portare la solidarietà a facchini e lavoratori della logistica, licenziati in massa, anche loro. (davide schiavon)

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