La ricezione della musica di massa ha col tempo instaurato un rapporto sempre più diretto con quei luoghi destinati alla fruizione di eventi sportivi, i quali, sebbene non siano pensati per ospitare il suono, lo accolgono a braccia aperte pur di contare quante più orecchie possibili pronte a riceverlo. Luoghi lontani dai centri abitati, appunto dislocati, per non rompere le scatole a nessuno. Si tratta ormai di un’abitudine acquisita e globale. Insomma, così neutrale la funzione della musica che la possiamo “portare” e “rinchiudere” dappertutto, tanto è lei a semantizzare quei luoghi.
Venerdì 8 luglio ho partecipato in qualità di spettatore pagante alla seconda serata del Cellar FSTV, un festival di musica leggera – come recita il biglietto – che ha avuto sede presso un’area limitata dell’ippodromo di Agnano. Ambra e io siamo partiti da casa affidandoci al trasporto pubblico: una combo metro (fino a Campi Flegrei) e 502 (fino all’ippodromo di Agnano). Il volantino che circolava in rete è lo stesso che avevo trovato in giro per le strade del centro storico. Il nome del festival notifica come organizzatore dell’evento il Cellar, locale di via Acitillo, garage vomerese attraverso cui passa e si esibisce gran parte di una certa scena musicale a Napoli. La prevendita tramite il circuito nazionale www.go2.it è l’unica nota economica del volantino, quindi più criptica delle altre. Ma per fortuna esiste Fb, dove lo spazio non si paga, e nella didascalia c’è la possibilità di far di conto. Otto euro, grazie.
Scesi dal 502, grazie alla cortese indicazione dei passeggeri che si sostituiscono da sempre ai nomi delle fermate che pur potrebbero essere segnalati dall’autobus, ci lasciamo guidare da possibili suoni in lontananza e dall’odore dello sterco di cavallo: l’aria trasporta al pari informazioni tanto acustiche quanto olfattive; dovendo noi sopperire alla mancanza di indicazioni visive, brancoliamo alla ricerca dell’ingresso fino alla curva giusta, che ci mostra il parcheggio antistante l’ippodromo.
È prassi degli organizzatori far presidiare la soglia che separa l’interno e l’esterno di un festival: i controllori tutelano il diritto dell’organizzatore di avere l’esclusiva su alcuni articoli. In pratica, non puoi entrare con niente che possa venderti lui. Dunque, puoi fumare la “tua” erba ma non bere la “tua” acqua, una volta effettuato l’accesso al festival. E l’acqua nel festival va a quattro euro al litro. Consumiamo le nostre sostanze nutritive, fuori. Entriamo.
I palchi a disposizione sono due; la mia attenzione è per gli artisti del rialzato palco principale, sebbene apprezzo quando gruppo e pubblico calcano la stessa area; ovvero preferisco che non ci sia palco, ma si stia alla stessa altezza, frontali, convinto che l’attenzione al suono possa scemare nella distrazione visuale.
Ma facciamo il “punctum”. Dunque, intorno alle 22 entrano in scena gli Inner City Affair, una band collaudata, elegante, musicalmente pulita pur nell’eterogeneità degli stili proposti (ska, reggae, jazz and funk) che nel riarrangiamento ha strutturato la propria identità. L’impressione generale è di restare intrappolati nell’ascolto di qualcosa che è bello ma non fa ballare.
Gli inserti di suono fissato proposto dal palco Cellar permettono che le operazioni di turnazione sul main stage si svolgano con meno pressa e più attenzione. Tocca a Broncorotto live band, con Mc Baco a smuovere le coordinate sonore della serata: i valori militanti del cantante e dj napoletano sono espressi a tempo di reggae, una musica fortemente politicizzata nonostante il sottofondo commerciale che ne rischiara l’azione. La band sostiene i movimenti linguistico-musicali del performer, i suoi svariati pull-up. Non si è assistito a qualcosa di sconvolgente e nuovo, ma almeno questa esibizione è risultata un pochino più “sentita” di altre.
I Napoli Rockers Syndicate hanno trovato in Broncorotto live band chi gli ha zollato il terreno acustico con i suoi skank. Iniziano con due, tre pezzi senza interruzione di continuità, da notare per la gestione controllata – anche troppo – dello spazio musicale. I volumi sono forse troppo alti, così li sento seduto, dall’area relax, un po’ più lontana che non il restare in piedi, dinanzi al palco. Sono molto attenti e calibrati, con una sezione ritmica che resta precisa e affiatata. Salgono a poco a poco i vari singer: Jobba, Youthman fino all’atteso Dennis, che, come Tarzan abilmente si sposta con le liane per muoversi liberamente nelle esecuzioni musicali ben timbrate della sezione fiati, apprezzabili nella gestione melodica, godibili nell’elettronica pensata dal dub master. Il pubblico si scioglie del tutto, inizia a muoversi, balla un po’ di più. Forse, la professionalità supera il divertimento per una band che ha fatto della sala prove il suo luogo di crescita e sperimentazione.
Alle prese con l’ultimo intervento musicale live della serata e nonostante la tarda ora, i Funkin’Machine hanno conservato per la loro esecuzione tutta la lucidità possibile trasformandola in una tellurica voglia di divertir suonando che ha fatalmente toccato gli animi degli astanti. La freschezza di una simile prova all’aperto con tanto di pubblico ballerino ha contagiato un po’ tutti mentre ogni elemento del dispositivo mostrava la classe del suo funzionamento nell’incipit di un Also Sprach Zarathustra tanto lontano dall’esecuzione della Portsmouth orchestra quanto vicino a intuizioni di zappiana memoria. Il resto è animato da siparietti con bandiere ordem et progreso, accento simil british, tre gonfiabili più che scenografici condito da soli vibranti (spiccano quelli del sax alto, irresistibili), l’unica sezione ritmica in grado di serrare il tempo tanto da farlo diventare tattile, keyboards alla grande con basso e batteria. Fighissimi. Più bravi che belli?
Finisce il concerto, ma non la musica. Tocca così al campione di scratching Franky B animare la notte, con mixdown, mash up e nuove version di pezzi storici che mi ha dato modo di osservare per quale motivo un programma come Top dj sia approdato in Mediaset. Alla nostra uscita, i controlli si sono fatti meno stringenti e si può entrare liberamente. E anche questa è prassi.
La prima edizione del Cellar FSTV è dedicata prevalentemente ai fruitori della costante offerta musicale del locale, quasi un festival di napoletani per i napoletani, stavolta fuori le mura. Da registrare meglio la differenza tra pubblicità ed effettività, in un equilibrio tra mezzi e fini che non pregiudichi la buona volontà di chi cerca nella musica un po’ di riparo dalla mercificazione che ha ne ormai intaccato ogni aspetto. La risposta del pubblico c’è stata, positiva, come sempre. (antonio mastrogiacomo)
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