SALE è un aperiodico nato nel 2022 a Genova, negli spazi dell’Aut Aut 357.
Il numero zero della rivista si è occupato dei cambiamenti urbanistici che attraversano e attraverseranno la città nei prossimi anni, spinti soprattutto dai processi di turistificazione e gentrificazione. Il numero uno è invece legato maggiormente al porto nel suo aspetto più impattante per la città, ovvero il trasporto delle merci per mezzo container. Un container multifunzionale e adattabile a ogni esigenza, che transita per i porti impattando inesorabilmente nelle città portuali. Genova è una di quelle.
Proprio nel capoluogo ligure i redattori della rivista si confronteranno con quelli de Lo stato delle città, sabato 18 marzo, alle ore 18:00, in un incontro pubblico all’Aut Aut 357 (via delle Fontane, 5).
Pubblichiamo a seguire dei testi estratti dal numero 1 (marzo 2023)
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Raccontare Genova è soprattutto raccontare il porto nel suo aspetto più impattante per la città, ovvero il trasporto delle merci. Il Collettivo Sale si è interrogato su quale fosse il modo migliore per raccontare quanto questo meccanismo comburente del capitalismo planetario influisse sulla nostra quotidianità. Ci siamo risposti che il container poteva essere l’espediente necessario per una narrazione altra e laterale. Un container multifunzionale e adattabile ad ogni esigenze, il prodotto perfetto per soddisfare l’esigenza di comodità, sicurezza e consumo di questo periodo storico.
Ci sono container pieni (a volte pieni di armi) che passano in porto e che sostano in piazzali costruiti nei punti in cui la città si è ribaltata a mare, per dare ulteriore spazio al profitto privato. Ci sono i container vuoti che, quando iniziando ad essere un costo eccessivo per le compagnie di navigazione, vengono utilizzati come residenza forzata nei campi di detenzione per migranti sparsi nel Mediterraneo. E poi c’è il futuro che preme, l’automazione che stravolgerà gli equilibri, un futuro in cui i container saranno gestiti da robot che risponderanno agli algoritmi di un’intelligenza artificiale.
Il container crea collegamenti, solca gli oceani e i mari inferiori, transita per i porti in cui si ferma e impatta inesorabilmente nelle città portuali. Genova è una di quelle. Il numero 1 di questa rivista vuole raccontare un parte di quello che accade in porto, ma che inevitabilmente ha una ricaduta di riflesso con quello che accade in tutti i porti del mondo. Dal particolare al generale, passando per le storie quotidiane, questo numero di SALE è una riflessione per immagini, disegni e articoli sull’impatto del commercio globale in città.
TOMBAMENTI E TOMBATI
Perché la scelta di tombare buona parte del porto per rispondere agli interessi del mondo del commercio globale è una scommessa ad alto rischio
Un primato poco noto di Genova è quello che vede il capoluogo ligure come la città italiana tra le grandi con il più alto numero di cimiteri comunali. Esattamente trentacinque, contro gli otto di Milano, gli undici di Napoli e i dieci di Roma. Un primato eredità del lontano 1926, quando, con regio decreto, vennero inglobati i diciannove comuni confinanti con la Superba in quella che poi diventerà la Grande Genova del regime fascista. In quegli stessi mesi iniziavano i lavori di tombamento del litorale di Sampierdarena, uno dei comuni appena fagocitati, che avrebbero cambiato per sempre il destino di Genova, dando il via ad una lunga stagione di sacrifici e rinunce per fare spazio al porto.
Oggi quel lungo percorso è tutt’altro che finito. Dopo gli immani riempimenti per aeroporto, Italsider e porto di Pra’, l’abitudine di scacciare il mare con il cemento per fare spazio al business non ha trovato ancora pance sazie: tombata calata Bettolo, si tomba la banchina di Sestri Ponente per Fincantieri (che doveva essere un ribaltamento a mare per restituire spazi alla città, diventando poi, senza troppi proclami, un raddoppio delle aree industriali), ci si prepara per allargare la pista aeroportuale con nove milioni di metri cubi di smarino della Gronda e a tombare per sempre anche le banchine a pettine di quel porto di Sampierdarena dove tutto o quasi è iniziato.
Quando tutto ciò sarà portato a compimento, avremo quasi otto chilometri quadrati di tombamenti complessivi. Una cifra che sfiora il 12% rispetto alla superficie urbana dello stesso comune di Genova, che, al netto dei 174,3 chilometri quadrati di aree verdi e boschive, arriva a contare sessantasei chilometri quadrati di spazi antropici.
L’impatto economico di questo investimento in termini di spazio, è di 5,3 miliardi di euro di valore aggiunto comprendente ricavi diretti e indiretti. Una cifra a cui si arriva grazie anche alla produzione di Vado Ligure, recentemente potenziato con un nuovo tombamento di duecentotrentamila metri quadrati. Di questi soldi, secondo il bilancio di Autorità di Sistema Portuale, il 60% rimane in Liguria, vale a dire 3,2 miliardi. Meno rispetto al turismo regionale, altra vocazione ligure utile a un confronto, che in anni pre Covid arriva a 5,7 miliardi. Per la portualità sono ventottomila gli occupati diretti a Genova, ottomila a Savona, per un complessivo pari al 6% dei lavoratori liguri. Per completare il confronto, sempre il settore turistico impiega, registrati, novantottomila addetti.
Un bel bottino, ma con ricadute negative altrettanto dirette e indirette per la città. Il porto, infatti, contribuisce al 60% del totale delle immissioni di inquinanti prodotte a Genova ogni anno, con centoquarantasettemila tonnellate di CO2. L’elettrificazione delle banchine, saranno sei nel 2025, permetteranno un abbattimento del 25% sulla produzione di inquinanti in loco, ma il costo energetico sarà mostruoso: secondo le stime della stessa Authority, il consumo di elettricità di una nave da crociera equivale a quello di una città di 80 mila abitanti. Savona, Vado, Bergeggi e Albisola messe insieme. Una portacontainer di medie dimensioni solo trentamila. Cioè solo Voltri e Pra’.
Questo è un grezzo rapporto costi benefici, che rende l’idea delle dimensioni della ricerca del profitto portata avanti a suon di cemento e piazzali. Una scommessa che osservata da una prospettiva geopolitica sembra non stia andando nel migliore dei modi: nel Mediterraneo i traffici degli scali portuali sono aumentati negli ultimi anni, fatta salva la parentesi Covid, di circa il 7% annuo, mentre quelli italiani hanno fatto registrare una crescita solo del 2%. A Genova, per trainare questo inseguimento partito male, il porto continua a cercare “spazio logistico”, fagocitando vecchio e nuovo, mare e aria.
La scelta di tombare buona parte del porto per rispondere agli interessi tentacolari del mondo sans frontières del commercio globale quindi è una scommessa ad alto rischio. Senza un’industria alle spalle, senza un’economia manifatturiera in salute, la produzione del porto di Genova sempre di più si basa sull’offerta di spazi vuoti da riempire con container pronti a lasciare la città il prima possibile, lasciandoci solo rumore, aria pesante e qualche spicciolo, alla stregua di un casello autostradale di uno svincolo di provincia. Grazie e arrivederci.
Arrivederci? “Forse – aggiunge il Mercato –. Vediamo chi è capace a offrire di più, con meno costi e meno seccature”. Da questo punto di vista la leadership oggi incontrastata dello scalo genovese è solo italiana e gli sconquassi economici e geopolitici di questi mesi potrebbero fare saltare il banco. Il destino del nostro porto non è in mano nostra, dobbiamo esserne consapevoli. Per lo meno non lo è più. E se a Pechino o a Washington decideranno di staccare una qualche spina, lo spazio che con così tanto sacrificio abbiamo creato per metterlo a disposizione dei grandi vettori mondiali, e per poi raccoglierne le briciole, resterà vuoto. E Genova avrà il suo trentaseiesimo cimitero.
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