Si respira una bella aria in quel dell’MMb, il Music Melody Bar in vico Quercia. Non metto piede in questo locale dall’onomastica cangiante da svariati anni. Per il resto, il posto resta lo stesso, ma più curato: uno spazio davvero accogliente per ospitare concerti con un numero non troppo elevato di partecipanti. Condizione che si è fortunatamente verificata il 22 settembre scorso, quando sul palco sedevano due chitarristi, Luigi De Cicco e Antonello Orlando. Gli orari previsti per la vita musicale notturna napoletana di solito si concentrano nelle due ore tra le 23 e l’1. Si tratta di orari che incoraggiano la religione del far tardi per una certa cultura dei bivacchi che nel centro storico della città riscrive quotidianamente le proprie notti bianche. Ci sono un po’ di persone; per molte si tratta di un ritrovarsi dopo tempo.
Luigi è stato il primo volto amico al tempo dell’intervallo, quando frequentavamo il liceo Giannone di Benevento, la struttura che domina piazza Risorgimento tirata su da Piccinato durante il fascismo. Nel quarto d’ora di libertà vigilata s’incontravano gli altri che non fossero i propri compagni di classe. Luigi seppe che suonavo il sassofono e mi prese sotto la sua ala. Bando ai ricordi, da quel giorno di musica ne ha fatta tanta e ritrovarlo a Napoli è stata l’occasione per notare come alle volte sia più importante mettersi in ascolto del tempo trascorso che della musica ascoltata. Luigi sta al blues come “le figliole” stanno alla pizza fritta: entrambi nel tempo hanno cambiato il proprio repertorio pur restando fedeli alla tradizione. Presenta il suo ultimo lavoro, Watermouth, disco uscito nel 2017 per la New Model Label.
Antonello Orlando è il suo compagno di avventure. Si sono incontrati in jam session clandestine al San Pietro a Majella, quando il controllo sugli esterni non era esercitato in modo tanto ferreo dagli addetti. E suonavano, suonavano, suonavano per ingannare il tempo che il povero Antonello era costretto a veder passare prima che si attivassero i corsi regolamentari. Legandosi l’uno all’altro hanno prodotto tanto insieme: si sono ritrovati finanche in un gruppo, La bestia Carenne, regalando agli ascoltatori piccoli pezzi senza parole quali Carmando (dall’ EP Ponte, 2013). Insomma, ne hanno fatta di strada, anche da soli, e stasera si ritrovano dopo tanto tempo.
Le due diverse sonorità s’intrecciano alla grande, alle volte in botta e risposta, altre volte l’uno costruisce all’altro lo spazio di un’improvvisazione misurata. Spiccano i volumi. I brani mancano di voce, di un parlato che sappia in qualche modo avvicinare il pubblico. La sala fumatori, a un tempo, risulta la più affollata, tra chi gioca a Shangai e chi si rimette all’incontrollabilità di Pes. Le voci alle volte superano il sonoro; forse è un peccato ma neanche troppo. Siamo pur sempre sulle quaranta unità, un numero di persone appropriato alla vivibilità del posto. Certo, non è dedicato esclusivamente alla musica, ma si pone quale locale che offre anche la musica. Luigi e Antonello ci danno dentro con molta cura: in poche parole, si emancipano dalla forma song per farsi una suonata.
Il grado di affiatamento è alto, un po’ come i gemelli Derrick alle prese con la catapulta infernale. La figura del solista viene eclissata nel duo che professa solo altezze e ritmi. Stanno decisamente a loro agio e controllano la scena. Il flusso musicale si origina dal campo del blues per non rimanerne ancorato; evolve assecondando sonorità diverse che giocano col leitmotiv di un’ambientazione che sfugge alla catalogazione data la natura cangiante. Certo che funziona usare il corpo di una chitarra per ricavarne una percussione, specie se è amplificata, soprattutto quando guadagna delle risonanze estemporanee.
C’è una seconda parte che vede altri amici che tornano a suonare insieme. Giuseppe di Taranto prende il posto al centro, mentre il grande ventilatore anni Ottanta cambia l’aria in circolo. Peppino è un cantante la cui forza sta nella semplicità. Polistrumentista incredibile, stavolta la sua voce anima l’esecuzione di Cecchino, un brano estratto dall’ultimo album della bestia Carenne, Coriandoli (Bulbart Works, 2017). Luigi controlla con parsimonia la sua agenda ma a volte non può esimersi da una scrollatina per capire a che punto è il programma. Poi sale sul palco Biagio Daniele, armonica della Terza classe, un gruppo di napoletani che fa la spola tra il vecchio e il nuovo continente esprimendosi a buoni livelli. E così, dalla prima parte più improvvisativa si passa a forme un po’ più cristallizzate, la cui esecuzione avvicina il pubblico prima un po’ più sulle sue – e forse anche la bella voce di Luigi aiuta in questo. Finisce con una jam cui partecipa anche il sassofonista Amedeo, animando un quartetto davvero genuino che su blues del secolo scorso fa muovere un po’ tutti, soprattutto quei due americani un po’ alticci che usano lo spazio circostante come piccola sala da ballo.
L’una è passata da un po’ ma non riesco ad andare via: un biliardino mi richiama prepotentemente al gioco. Ed è subito ancora più tardi. (antonio mastrogiacomo)
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