Percorrere Spaccanapoli di sabato è complicato. Fiumi di turisti in transito si fermano nella spasmodica ricerca di vedere qualcosa. Quindi si cammina per arterie secondarie pur di arrivare senza difficoltà alla Domus Ars, spazio che ha rintracciato nell’arte il suo magma relazionale, tra temporanee e concerti. Sabato 14 ottobre ha ospitato il secondo appuntamento di Scarlatti Contemporanea, una rassegna in quattro date che anticipa la programmazione dell’ente morale Alessandro Scarlatti da novembre in poi, ventitre tappe per scalare la storia della musica.
Il pubblico della Scarlatti merita un applauso per la fedeltà che mostra alla programmazione. Scarlatti Contemporanea riprende un discorso interrotto, forse: quello di rassegne di musica che facciano da tramite tra musica del Novecento e pubblico del Duemila. E così, sotto la guida di Tommaso Rossi l’ente ha trovato un direttore in grado di allestire un programma che riporta a Napoli una offerta musicale eterogenea e importante. Da segnalare poi l’apertura generazionale che rende un abbonamento per gli under trenta a cinquanta euro un’occasione più unica che rara. Certo, non sarà la foto al San Carlo, eppure… L’attesa di un concerto forse anticipato alle 18 per assicurare a tutti la visione di Roma-Napoli chiaramente si allunga fino ai venti minuti dopo.
Si apre così il primo dei due appuntamenti dedicati a Karlheinz Stockhausen. Stockausen è stato di volta in volta additato come kitsch, elitario, intellettuale, naive, inascoltabile, troppo semplice, antiarmonico, neotonale, nazista, esterofilo, pazzo, antiespressivo. Insomma di lui e della sua musica è stato detto di tutto ma questo è il prezzo da pagare per chi decide di smettere i panni civili per diventare non semplicemente una figura pubblica ma un simbolo, un bersaglio in piena luce, specie se si tratta di una personalità complessa e non facilmente riducibile a un solo semplice stereotipo di massa, adattabile quindi alle necessità di chiunque voglia costruire una propria identità.
Contrariamente al solito, stavolta viene fornito un breve cenno ai pezzi in esecuzione, qualche elemento pur di comprenderne il linguaggio.
Michele Marelli è un esecutore incredibile e ha anche un bel sorriso. Ci introduce all’ascolto con parole semplici che motivano la nostra attenzione verso i suoi gesti: la sua presenza scenica anima lo spazio. Traum Formel per corno di bassetto è un brano di una intensità unica. Siamo stati davvero fortunati ad ascoltarlo in città. Inutile raccontare dell’ascolto, solo notare la vicinanza tra il suono puramente acustico del corno di bassetto (uno strumento molto simile al clarinetto) al decisamente elettronico e veramente puro di un’onda quadra. Come atto di cronaca, un premio al signore in terza fila che scatta la foto nel momento del silenzio.
Il pezzo si conclude nella pausa sancita dai rintocchi di campane che annunciano le 18:30. L’azione dell’esterno marca sensibilmente la nostra presenza all’interno, ché il suono valica e non ristagna. Un cambio di programma propone il pezzo per ensemble al centro: Aus den Sieben Tagen. Tommaso Rossi ai flauti, Marco Sannini alla tromba, Ciro Longobardi e Francesco D’Errico al pianoforte ed elettronica sono l’ensemble Dissonanzen e performano insieme a Michele Marelli. Un brano evidentemente del 1968, in cui sono i suoni tessiturali a fare da matrice della composizione con i timbri a costruire una stratificazione, quasi fasce di colori. La delicatezza dei pianissimo risalta dalla sua conformazione quasi tattile. I musicisti penetrano lo spazio mentre il suono lo circonda; l’elettronica è particolarmente dosata in queste circostanze. Il silenzio, poi il piano, e le signore in terza fila che se non si lasciano scappare più che una parolina. Nonostante il morphing affidato al corno di bassetto, la continuità della trama tessiturale si impone strenua. Mentre un applauso contorna lo sforzo esecutivo, le signore che parlavano abbandonano velocemente il posto.
L’ultimo pezzo, Uversa, scritto dal maestro tedesco per Michele Marelli proprio nel 2007 – anno della sua dipartita – si realizza nell’intreccio tra acusmatico e azione performativa che rende la mancanza dell’esecutore fisico all’inizio spiazzante per il pubblico che non ha modo di accordare quel silenzio che solitamente precede una esecuzione. In realtà l’esecutore c’è, ma non si vede: Agostino Di Scipio cura la regia del suono, affermando il principio dell’esecuzione anche della musica acusmatica. Così, questa elettronica che si muove tra i diffusori anima lo spazio mentre il corno di bassetto guadagna il centro, la scena, lo spazio. L’esecutore è il centro della composizione e la sua gestualità fa da cassa di risonanza.
Segnalo solo come le esecuzioni vengano addomesticate da sorrisi finali degli ascoltatori, risate che hanno il merito di acuire la distanza tra pubblico e opera, avvicinandoli drammaticamente. Nessun bis è richiesto dal pubblico e il concerto si chiude negli inchini, negli applausi, nei saluti, nelle chiacchiere, nei caffè ancora da prendere. Usciamo alla luce del buio per ricostruire in due fotogrammi il vero motivo andante della giornata: dal rigore concesso al rigore sbagliato, Napoli esulta. (antonio mastrogiacomo)
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