da: Taz.de
Fango. Il fango fino alle ginocchia è ciò che più resterà nella memoria della grande manifestazione di sabato contro la distruzione del paese di Lützerath, nella zona di estrazione della lignite renana. Scene grottesche si sono svolte nei campi in cui si sprofondava nel fango tra Lützerath stessa, chiusa ermeticamente dalla polizia, il luogo della manifestazione a oltre un chilometro di distanza, e sui numerosi sentieri per raggiungerlo. Più e più volte i manifestanti si sono ritrovati con gli scarponi bloccati nel fango e a proseguire involontariamente con i calzini. Unendo le forze, si sono messi alla ricerca delle calzature abbandonate, nel tentativo di recuperarle.
Mentre alcuni manifestanti cadevano all’indietro nel pantano marrone, altri avanzavano a piedi nudi. La pioggia sferzava la vasta pianura colpita da venti di burrasca. E poi c’era la minaccia di qualcosa di diverso: una “lotta nel fango”, non per il terreno inzuppato dalla pioggia continua, ma per la violenza massiccia della polizia.
Gli organizzatori si aspettavano ottomila persone, ma nonostante il tempo terribile ne sono arrivate diverse decine di migliaia, di tutte le generazioni e da tutta la Germania, e dal Belgio anche: autobus da Berlino e Amburgo, molte auto private da Bruxelles, Stoccarda o Bühl vicino a Baden-Baden. Le stazioni ferroviarie di Colonia e Düsseldorf sono rimaste bloccate in alcuni momenti a causa delle masse che andavano alla manifestazione. Difficile quindi contare quante persone abbiano attraversato alla fine il percorso di un chilometro tra i campi e il villaggio fantasma di Keyenberg, quasi interamente deserto.
Ciò che colpisce sono le richieste dei manifestanti, che vanno ben oltre quella di salvare un paese del Basso Reno. Sulle bandiere si legge “cambiare il sistema” e si intonano canti come “One solution – revolution” o “A – Anti – Anticapitalista” o ancora “No justice, no peace – abolish the police“. C’è anche un blocco femminista dove si contano più uomini che donne.
Lo scorso venerdì il tribunale amministrativo di Aquisgrana aveva ufficialmente richiamato la polizia, dal momento che le forze dell’ordine avevano intenzione di autorizzare solamente una manifestazione a distanza. I motivi: il temuto caos del traffico e il pericolo costituito dalla vicinanza a una miniera a cielo aperto. Il tribunale ha sottolineato che il compito della polizia sarebbe proprio di regolare il traffico e la sicurezza.
DENTRO LA MINIERA
È mattina, e numerosi manifestanti incuriositi si spingono fino al margine della miniera, dove il terreno scende bruscamente fino a formare una buca profonda. Restano lì senza farsi intimidire nonostante la presenza di migliaia di poliziotti, che intanto inviavano avvisi di pericolo tramite i social. Un manifestante si ferma sul bordo e piscia nella buca tra gli applausi degli astanti: «Ora allago la miniera a cielo aperto».
A est di Keyenberg un gruppo di poliziotti si reca di corsa sul bordo della miniera. Che qualche manifestante sia riuscito a scendere laggiù? Falso allarme. In basso si vede solo un cervo che salta in preda al panico attraverso il paesaggio lunare della miniera, in cerca di un riparo che non esiste. Più tardi, in un altro punto, anche alcuni manifestanti riusciranno a scendere.
Quando Greta Thunberg, vent’anni, svedese, “icona del movimento per il clima”, inizia il suo discorso in grande ritardo rispetto al programma, migliaia di persone stanno ancora raggiungendo il luogo della manifestazione. Raffiche di vento trasportano brandelli di parole indignate pronunciate in inglese da Thunberg, punteggiate da scoppi di applausi. Parla dell’imbarazzo della Germania rispetto alla questione climatica, di quanto sia “assolutamente assurdo” continuare a bruciare carbone contro ogni evidenza sulla distruzione del clima. «I veri leader sono laggiù: sono le persone che stanno nelle case sugli alberi e che hanno difeso Lützerath per anni», dice Thunberg. Un nuovo prolungato scroscio di applausi arriva nel momento in cui paragona il paesaggio devastato della miniera di Garzweiler a Mordor, la montagna del destino malvagio del Signore degli Anelli.
Proprio rispetto al luogo da cui parla Greta Thunberg, la questione della proprietà dei campi fangosi deve ancora essere chiarita. L’attivista e parlamentare dei Verdi Antje Grothus, ha divulgato giovedì ai media alcuni documenti che suggeriscono che il quattro per cento del terreno da destinare all’espansione della miniera a cielo aperto non appartiene all’azienda RWE, ma ad alcuni privati che non si sono ancora decisi a vendere. Ci saranno lunghe procedure di esproprio e cause legali.
In realtà, la situazione è ancora peggiore: il problema era già noto all’epoca dell’accordo, a ottobre dello scorso anno, tra i ministeri del clima (partito dei Verdi) del governo federale e statale e l’azienda energetica, ma tutto è stato deliberatamente nascosto. Resta un po’ di speranza: «Finché qui il carbone resta sottoterra – grida Greta Thunberg – la lotta non è finita. Non arrendetevi».
L’attivista svedese era arrivata a Lützerath venerdì pomeriggio visitando, probabilmente grazie al suo status di celebrità, la parte del villaggio che è ermeticamente chiusa. Dopo l’intervento si mette a cantare insieme alla sua collega dei Fridays tedeschi Luisa Neubauer e ai manifestanti rimasti nelle case sugli alberi, tenendo davanti a sé i cartelli di cartone con le scritte “Keep it in the ground”, “Lützi bleibt!” e “You are not alone”. In seguito, la portavoce di Lützerath lebt le traduce il significato delle grida in tedesco.
LO SGOMBERO
A Lützerath la tristezza si manifesta con tutta la sua forza. In tarda mattinata, un escavatore crea un taglio profondo nell’ultima casa di pietra sgomberata.
Il grande campo della protesta, riempito di tende e capanne, si è trasformato in un’unica distesa di fango e in un deserto di rifiuti. La torre con i pannelli solari di Greenpeace si erge ancora al centro del paese come un memoriale nel vuoto, e il tiglio della pace, piantato intorno al 1650, è intatto. Per il momento. Eppure, per quanto la devastazione di Lützerath sia sorprendentemente veloce all’inizio, l’obiettivo segreto di terminare lo sgombero entro l’inizio della manifestazione non viene raggiunto.
A mezzogiorno di sabato, funzionari su piattaforme elevatrici si sono fatti strada tra i rami in direzione delle sei abitazioni arboree rimaste in piedi, chiamate “complessi residenziali a schiera”, con vista a est sul deserto minerario a cielo aperto. Nel rumore onnipresente delle seghe, degli escavatori e dei motori dei veicoli da costruzione si sentono solo occasionali slogan solidali che provengono da grandi altezze, come l’onnipresente “Non sei solo”. A volte un forte “Aiuto!” proviene da qualche parte.
Un esperto di arrampicata della polizia di Berlino si reca al primo incarico ad alta quota della giornata. Che abbia un po’ di paura? No, dice: «La maggior parte delle volte tutto procede pacificamente, quando si sale in cima. Ma non si può mai sapere cosa hanno escogitato le persone». Lo accompagna un augurio: «A voi tutta la sicurezza e nessun successo!». Sorride. «Grazie. È il mio lavoro, ma abbiamo la nostra opinione su tutto questo…».
Nel frattempo, a Lützerath ci sono più auto della polizia allineate all’infinito che alberi. Un escavatore sta lavorando sulle strutture in alluminio di un capannone: uno dopo l’altro i binari di alluminio crollano. Nel pomeriggio, un’abitante di una casa su un albero si appende per alcuni minuti a testa in giù dalla sua abitazione. Un alpinista della polizia la “salva”.
Nella notte tra sabato e domenica, gli attivisti rimasti a Lützerath, al massimo una ventina, annunciano di star costruendo nuove connessioni tra le case sugli alberi rimaste. Anche Pinky e Brain, due abitanti delle caverne, rimangono nascosti nelle profondità del sottosuolo. I due si sono trincerati in un sistema di tunnel costruito per mesi. La polizia sta cercando di farli uscire dalla loro prigione sotterranea da giovedì. Giorno dopo giorno, il piano fallisce. Nel frattempo, le forze speciali del Soccorso tecnico stanno cercando nuove idee, per ora senza successo. Domenica i manifestanti hanno dichiarato: “Le persone nel #LuetziTunnel mandano i loro saluti a tutti e sottolineano ancora una volta che si tratta di uno sgombero e non di un salvataggio”. Domenica pomeriggio, la polizia ha riferito che gli ultimi abitanti abusivi degli alberi erano stati sfrattati.
IL CONTADINO HEUKAMP E LA SUA CASA
Quando Pinky e Brain torneranno alla luce del sole, non riconosceranno l’ambiente che li circonderà: un deserto invece che un paesaggio familiare. Sabato un escavatore blu ha continuato a smantellare l’imponente fattoria, costruita nel 1763, di proprietà oggi del contadino Eckardt Heukamp, sfollato con la forza. Il cinquantottenne ex proprietario di un’azienda agricola vive da ottobre, temporaneamente, in una fattoria a tre chilometri da Holzweiler e non sa ancora se e dove continuerà a coltivare terreni in modo permanente.
Heukamp è arrivato alla manifestazione tornando dalle vacanze programmate da tempo in Austria, dove ha visto le immagini della distruzione della sua fattoria in televisione: «La mia casa non è un gioco per i tribunali e i politici che vogliono sfuggire alle responsabilità della protezione del clima», ha dichiarato sabato all’Aachener Zeitung. Nel primo pomeriggio di sabato si trova qui fuori, di fronte agli schieramenti della polizia. Voleva vedere la sua casa per l’ultima volta. «Mi piacerebbe passare di lì», ha dichiarato. «Questa situazione lascia l’amaro in bocca. Qui si vede il fallimento dei Verdi per non essere riusciti a salvare Lützerath».
LA BRUTALITÀ DELLA POLIZIA
Contemporaneamente iniziano piccole scaramucce tra la polizia e i manifestanti davanti al villaggio ermeticamente chiuso. Di volta in volta, i gruppi cercano di penetrare nell’area illuminata. Ci sono cori di insulti e lancio di fango contro i funzionari, uno dei quali viene spinto giù da un piccolo argine. Il colpevole scompare nel trambusto.
D’altra parte, la brutalità della polizia è inequivocabile: non si contano gli spray al peperoncino, i tafferugli, i calci da parte degli agenti, persino i morsi di cane, ma soprattutto un uso spaventosamente violento dei “manganelli multiuso”, come la polizia chiama i suoi manganelli di gomma. Gli squadroni a cavallo marciano, con i cavalli e gli ufficiali protetti da teloni gialli per la pioggia. I video mostrano quanto poco i manganelli servano a garantire che i manifestanti non entrino nel villaggio. Si tratta piuttosto di un’ammonizione indiscriminata alle persone che si avvicinano.
Le conseguenze si vedono domenica: feriti da entrambe le parti, manifestanti gravemente maltrattati, diversi con le ossa rotte e uno temporaneamente incosciente, come dimostrano in modo esplicito i soccorritori, secondo quanto twitta il gruppo d’azione Lützerath Bleibt.
La polizia ha denunciato più di settanta feriti tra le sue fila. Tuttavia, il numero comprende tutte le forme di lesioni e le possibili cause, senza distinzioni tra la violenza da parte dei manifestanti e gli incidenti. Sabato, per esempio, un cavallo della polizia si è spaventato e il poliziotto è caduto.
Dall’inizio dello sgombero, avvenuto mercoledì, fino alla grande manifestazione di sabato, la polizia ha dichiarato che sono stati avviati circa centocinquanta procedimenti penali. Le accuse: danni alla proprietà, reati di resistenza, violazione di domicilio. Eppure l’uso da parte della polizia della sua arma più potente è stato grottesco: due cannoni ad acqua i cui getti, diretti controvento, sono tornati indietro sui veicoli. «Questo sistema non funziona. Per favore, fermatevi», ha detto un ufficiale incaricato.
Tornando al villaggio di Keyenberg, undici auto della polizia riportano pneumatici squarciati, specchietti strappati e un’enorme quantità di fango intorno. «E con questo cosa pensate di aver fatto di buono per il clima?», brontola un ufficiale. Una donna sulla cinquantina risponde: «E la vostra azione a cosa serve per clima?». L’uomo indignato rimane in silenzio.
È ovvio che il caotico sabato sarà seguito da un altro tipo di “lotta nel fango”, non dovuta alle piogge ma alla violenza, alle discussioni, alle accuse, alle giustificazioni e alle cifre degli infortuni. È probabile che il livello del conflitto si alzerà.
Alcuni giornali locali della Renania cercano di dare la linea da giorni. Ci sono cascate di giubilo per la polizia: “La resistenza si sta sgretolando”, “capanne di legno e barricate rase al suolo”. Anche una singola mela lanciata da una casa sull’albero viene rappresentata come una dichiarazione di guerra.
Intanto, nel dibattito sulla produzione di lignite non viene quasi mai considerato un aspetto secondario dell’espansione della miniera a cielo aperto della RWE: i milioni di tonnellate di copertura di terreno di cui l’azienda ha bisogno per spianare i bordi della miniera, scavata in modo particolarmente ripido. Uno strato di copertura particolarmente economico e facile da estrarre è proprio quello nei chilometri quadrati dietro Lützerath.
La sera, già lontani da Lützerath e dalla manifestazione, rimane solo una cosa: il fango. Ovunque, sui marciapiedi della regione, si vedono due tipi di persone: quelle con abiti normali e i molti che, sporchi e incrostati di terra secca, se ne vanno. Alcuni spingono ancora le loro biciclette, che sembrano aver vinto un campionato mondiale di ciclismo nel fango. Il secondo gruppo è unito dall’accordo silenzioso: oh, quindi c’eri anche tu. E l’idea: se il fango potesse essere utilizzato in modo efficiente e trasformato in elettricità, il dibattito sull’energia sarebbe già finito. (bernd müllender – traduzione di gloria pessina)
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