
Alla pagina sedici del Dizionario del luogo comune vi è un intero paragrafo che parla di come Barcellona, Palermo, Napoli, Genova, Marsiglia, e persino Buenos Aires, siano città in fondo uguali tra loro. Il visitatore occasionale proveniente da una di queste, e di passaggio in un’altra situata su uno dei punti di questo immaginario esagono, non riesce a resistere alla tentazione di fare paragoni, trovare affinità, associare stradine vicine al porto o mettere a confronto l’atteggiamento della popolazione “calorosa e solare”. Alla tentazione non si sottraggono i media, e in occasione della partita di Champions tra Olympique Marsiglia e Napoli il canale televisivo nazionale francese parla di match des ordures identificando nell’immondizia il filo rosso che lega le due città. Anche il sito ufficiale della squadra transalpina non si lascia pregare: “Napoli è l’O.M. d’Italia. È una città portuale, come Marsiglia, che vive, mangia e dorme al ritmo della sua squadra, esattamente come a Marsiglia”.
A una prima occhiata per chi vi mette piede per la prima volta, o comunque raramente, più che per la somiglianza con Napoli la città impressiona per la sua estensione, anche se gli abitanti non arrivano al milione. Il fulcro della cité phocéenne è il Vieux port, porto turistico da cui sono state estromesse le attività commerciali, trasferite da metà Ottocento al Gran Porto marittimo. Il Vélodrome, lo stadio dell’O.M. si erge nella parte meridionale della città. L’impianto è in rifacimento, e svettano le gru esattamente come sulla trentina di altri cantieri aperti in città grazie alla speculazione successiva alla nomina di Marsiglia a “Capitale europea della cultura”. Più da vicino il Vélodrome sembra uno stadio accogliente, nel mezzo di un quartiere residenziale su cui impera la Cité Radieuse, unità abitativa in cemento grezzo da quasi quattrocento appartamenti, progettata negli anni Cinquanta da Le Corbusier.
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Il pullman che conduce allo stadio si ferma improvvisamente. Qualcuno guarda dal finestrino, si sentono esplodere petardi. È il giorno della partita, sono le 17.30, e un autobus con all’interno alcuni ultras del Napoli è attaccato da una trentina di collegues marsigliesi, a cui sono arrivati a dare man forte alcuni tifosi della Sampdoria, gemellati con i francesi e nemici giurati dei partenopei (a loro volta “fratelli” dei grifoni del Genoa). L’autista del bus con i tifosi azzurri cerca di non aprire le porte del mezzo, ma si rassegna quando un petardo transalpino gli rompe il vetro posteriore: a quel punto le porte si spalancano, i napoletani vengono fuori e cominciano a darsele di santa ragione con i francesi, mettendone in fuga una parte. Dopo qualche giro di lancetta arrivano gli agenti della Police Nationale che non senza fatica rimettono ordine, ricacciando i marsigliesi verso la strada e i napoletani nel pullman.
L’arrivo dei tifosi ospiti è gestito in maniera abbastanza approssimativa dalle forze dell’ordine. Dalla piazza Rond-point du Prado gli azzurri sono invitati ad accedere allo stadio attraversando un parco che confina con i settori dei tifosi avversari. Intorno alle 18 i supporter arrivati a piedi si ricongiungono con quelli di alcuni pullman scortati all’esterno dell’impianto, e un paio di centinaia di napoletani si raduna compatto alle spalle del settore. Senza che la polizia opponga troppa resistenza, un gruppo esce in strada da un cancello presidiato a vista dalle forze dell’ordine, e dopo aver percorso qualche centinaio di metri ritrova il resto della truppa, un altro paio di centinaio di napoletani spuntati non si capisce bene da dove. «So’ napulitane, state calmi», urla qualcuno. I saluti sono calorosi: è bello ritrovarsi tutti insieme, bello per tutti meno che per la polizia, che comincia a capire che avere tre-quattrocento ultras napoletani a spasso su questo enorme vialone non è proprio l’ideale.
La police decide così che è il momento di condurli verso il settore, ma i napoletani non sono troppo bendisposti. Quando gli scontri sono cominciati da qualche minuto, dall’altra parte della strada si intravede un gruppo abbastanza cospicuo di marsigliesi, venuti a “salutare” gli ospiti. I napoletani non vorrebbero lasciarsi sfuggire l’occasione per ricambiare, ma devono nel frattempo vedersela con la polizia, che carica in maniera sempre più decisa. Una volta riportati i partenopei nel piazzale che si affaccia sul settore “visiteurs”, e chiuso il famoso cancello, gli scontri vanno avanti per almeno venti minuti. I lacrimogeni cadono come fiocchi di neve acre e puzzolente, mentre dall’altra parte si risponde con un lancio di petardi e bottiglie. Non si lesinano contatti corpo a corpo, e qualche napoletano ne vien fuori con la testa mezza spaccata. Dopo diversi minuti in cui la situazione non si calma, i tifosi vengono stretti fuori al settore da due cordoni di polizia, che non si fanno scrupolo di caricare il gruppo davanti e dietro. Non si può avanzare né indietreggiare, e la situazione diventa pericolosa. I più cattivi sono i poliziotti in una sorta di tuta blu, che qualcuno aveva scambiato per agenti di sicurezza dello stadio, ma che invece manganellano che è un piacere, mentre i tifosi si difendono con le mani e con le aste delle bandiere e gli idranti spruzzano acqua sulla folla compressa in cinquanta metri.
Quando la situazione si calma, e gli enormi steward riescono a disciplinare la folla in due gruppi “biglietti alla mano”, e finalmente si entra.
Il Vélodrome dà la stessa impressione che poteva dare da fuori: quella di un cantiere con lavori in corso. Una intera tribuna dello stadio non è agibile, mentre dalle due curve piovono insulti in italiano e in francese, e i robocop in antisommossa si piazzano a separazione dei due schieramenti. Il clima è ostile, esattamente (avrebbero scritto sul sito della squadra) come sarebbe accaduto e accadrà a Napoli. Prima del fischio d’inizio stupisce la coreografia dei padroni di casa, un enorme striscione con disegnati sopra Che Guevara e addirittura Maradona, simboli per eccellenza delle tifoserie calcistiche di sinistra (come è quella francese), ma forse anche piccola provocazione nei confronti dei partenopei.
Dalle 20.45 in poi, in campo c’è una sola squadra. Il Napoli mette sotto gli avversari, galvanizzando i tifosi che cantano a squarciagola un po’ per la squadra, un po’ per insultare francesi e sampdoriani. L’ala belga Dries Mertens, oggetto misterioso azzurro, è il migliore in campo e mette in diverse occasioni i compagni nelle condizioni di far gol. Hamsik, però, sbaglia attardandosi a tirare in porta e Higuain si divora due gol. A questo punto il Napoli capisce di poterla davvero vincere questa partita, e si getta all’attacco fino a che non trova la rete, con una bella giocata dello spagnolo Callejon. L’esultanza nel settore ospiti ha in gola ancora il sapore di lacrimogeno. Uno a zero, e dopo pochi minuti si va a riposo.
Nell’intervallo, mentre i francesi espongono uno striscione che recita: “I nemici dei nostri fratelli sono nostri nemici: forza Samp!”, le scaramucce tra le tifoserie continuano. Dal settore partenopeo volano fumogeni e petardi, mentre i marsigliesi sfuggiti al controllo degli steward si buttano sul cancello che li separa dagli ospiti. Nonostante le grate di ferro, due piccoli gruppi si affrontano ancora, ma dopo qualche minuto la situazione rientra, poco prima del fischio che sancisce la ripresa del gioco.
Nel secondo tempo il copione è lo stesso. Il Napoli gioca meglio dei padroni di casa, che si sbilanciano in avanti senza creare pericoli, e anzi lasciando agli azzurri la possibilità di colpire in contropiede. Higuain, in serata no, sbaglia ancora, e viene sostituito dal colombiano Zapata, che ancora non ha segnato in maglia azzurra. Al minuto sessantasette, dopo un bellissimo colpo di tacco di Mertens, proprio Zapata trova un perfetto tiro a giro e batte il portiere avversario. La curva esplode, il Napoli ha raddoppiato e con buone probabilità chiuso la partita. Così è, o quasi, perché a pochi minuti dalla fine gli azzurri riescono a prendere gol da Ayew, con un tiro dal limite, e c’è da soffrire fino all’ultimo. Al triplice fischio, mentre i calciatori lanciano le maglie ai tifosi, ricominciano assordanti i cori contro i marsigliesi, che in fondo, considerando la pessima prestazione, non ci avevano mai creduto, nemmeno dopo il gol.
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Bruno al Vélodrome non ci è venuto. Era riuscito a ottenere un biglietto omaggio, ma è stato trattenuto fuori città. È rientrato oggi, nell’après midi, quando il sole è tornato a fare capolino sulla città dopo una mattinata grigia. La partita di ieri sembra roba di dieci anni fa, la città ha voltato pagina anche se diversi blindati della polizia girano nelle strade del centro, probabilmente per altre faccende. Bruno scrive, lavora per CQFD, un giornale di testi e disegni che ha festeggiato a maggio i dieci anni di attività. Lo scorso anno ha pubblicato un bellissimo libro, Dem ak xabaar – Partir et raconter, che racconta la storia di Mahmoud, immigrato clandestino arrivato in Spagna dopo l’assalto della “barriera di sicurezza” di Ceuta.
“Il polacco” (è così che lo chiamiamo a Napoli) mi accoglie con una maglietta nera dove è disegnato un enorme topo bianco, mi presenta la figlia di nove anni, e ci tratteniamo a chiacchierare davanti a un caffè. Parliamo della partita, di Marsiglia, dei quartieri periferici a nord della città, una città un po’ diversa dallo sguardo «vero ma un po’ idealizzato dei libri di Izzo». Poi è tempo di un giro al Panier, dove l’odore del cibo arabo si mescola ai pastis serviti ai tavolini dei bar. Siamo in uno dei quartieri più antichi del centro storico, popolato di immigrati di diverse generazioni. I muri sono ricoperti dei manifesti di Samia Ghali, candidata franco-algerina alle primarie del partito socialista. Una donna, magrebina, che ha spopolato nelle periferie, ma le cui ricette per la città erano: esercito a presidio delle zone difficili e lotta serrata al traffico di droghe. Le primarie le ha perse, ma la sua carriera politica sembra in ascesa.
Attraversando i vicoli del Panier si arriva fino al lungomare, non quello del porto vecchio, ma quello di Fort Saint Jean, l’antica fortezza cittadina che si erge imponente sullo specchio d’acqua. Le menti illuminate di Marsiglia “capitale della cultura 2013” hanno deciso di piazzarci davanti due musei costruiti con uno stile ultramoderno, un pugno nell’occhio che impedisce allo sguardo di estendersi sulla spianata verso il mare, e che – lamenta qualcuno – rischiano di rimanere vuote ora che il Grande Evento finirà e le esposizioni temporanee voleranno verso altri lidi. Passeggiando attorno alla fortezza il silenzio è un po’ irreale, rotto solo dal verso dei gabbiani e dal suono delle campane delle 19, nonostante si sia in pieno centro. Sarà il forte vento di maestrale che allontana i rumori molesti raccogliendo solo le frasi bisbigliate dai pescatori e da qualche coppietta che passeggia solitaria, ma sembra di essere in un’altra città rispetto a quella del traffico e delle gru che lavorano dovunque incessanti.
La sera scorre via piacevole, chiacchierando tra i bar nonostante il forte vento, e pensando che è già tempo di andare, lasciandosi dietro il mare, l’odore dei lacrimogeni, quello dei panisse, e un pacco di giornali in mano. Senza aver avuto il tempo di capirla troppo, questa città. Come è giusto che sia, sul filo di una toccata e fuga. (riccardo rosa)
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