Dal 30 giugno, dopo un lungo periodo di chiusura, il Lido Comunale di Bagnoli è nuovamente aperto al pubblico. Si tratta di una porzione di spiaggia piuttosto ampia (7500 metri quadri), compresa tra gli stabilimenti (in concessione ai privati) Lido Fortuna e Arenile, e più per esteso collocata in quell’area di litorale che insiste tra il confine Napoli-Pozzuoli e l’inquinatissima spiaggia di Coroglio. Al Lido Comunale si può accedere da piazza Bagnoli dalle 9 alle 18, gratuitamente, attraverso un cancello che ha aperto a intermittenza dal 2015 fino alla pandemia, per poi restar chiuso quasi tutti e tre anni gli anni successivi. Così come ogni spiaggia pubblica dovrebbe fare, offre ai bagnanti fontanine, il servizio doccia e alcuni spogliatoi situati su una passerella di legno.
Arriviamo in spiaggia abbastanza di buon mattino, colpiti dalle dichiarazioni trionfali del sindaco Manfredi, dell’assessore Cosenza e del presidente della municipalità Sangiovanni, nel giorno della riapertura. «L’amministrazione – aveva detto la presidente del consiglio comunale Vincenza Amato – sta facendo uno sforzo affinché il mare sia tutto fruibile e le spiagge siano accessibili, in modo che i napoletani possano riappropriarsi del diritto di accedere al litorale».
Su una sedia di plastica, immerso nei suoi pensieri, troviamo Carlo, signore sulla settantina che abita a poche centinaia di metri dal cancello di ingresso alla spiaggia, ed è stato tra i primi a presentarsi alla riapertura del lido. Oltre a lui ci sono un po’ di famiglie, gruppetti di donne dell’est Europa, qualche adolescente, una mezza dozzina di turisti arrivati chissà come e un paio di impiegati della Napoli Servizi. Tra la spiaggia e il mare una barriera di scogli, nella sabbia ciuffi d’erba secca non sradicata, sulle pedane i cartelli bianchi con il regolamento. Sono proprio questi cartelli ad aver destato polemiche nei gruppi Facebook del quartiere nelle giornate precedenti. «Il regolamento serve a poco, non ti dico dove se lo possono mettere…», ci dice Carlo perdendo subito la pazienza. «Non c’è bisogno del comune per sapere che qua l’acqua è inquinata, ma la gente il bagno se lo fa lo stesso perché non è che puoi andare tutti i giorni a spendere quindici o venti euro a persona, più la benzina, il mangiare e il resto». In particolare, ci sono due aspetti che hanno suscitato la rabbia dei cittadini.
Il primo è il fatto che, in una fase di grandi polemiche rispetto alla mancanza di spiagge libere e difficoltà nell’accesso gratuito ai litorali, il comune di Napoli abbia sì riaperto un’area di spiaggia “sottraendola” all’assalto dei concessionari, ma in una porzione di territorio in cui è vietato fare il bagno, a causa degli inquinanti rilevati dall’Arpac e dell’annosa questione dei fondali compromessi dalle attività del fu Ilva-Italsider. “Per solo utilizzo elioterapico” è la frase con cui l’amministrazione, già da anni, indica la destinazione d’uso di questa spiaggia. Un paradosso che riguarda anche le altre attività di questo litorale concesse ai privati (come appunto il Fortuna e l’Arenile): spiagge estese, con servizi docce e bar, piene di ombrelloni e sedie a sdraio e davanti un mare in cui non ci si può tuffare, sebbene in tanti, per caldo e disperazione, ignorino il divieto a proprio rischio e pericolo.
Il secondo discusso divieto è quello di infilare gli ombrelloni nella sabbia (un problema non da poco quando ci sono trenta gradi e oltre di temperatura), una interdizione che può sembrare buffa a chi non conosce la storia di questa spiaggia, ma che Carlo invece interpreta bene (anche noi l’abbiamo raccontata, qui, tempo fa): «A un certo punto misero un telo sopra la sabbia inquinata e l’hanno ricoperto con quella pulita. Evidentemente se ci appizzi l’ombrellone dentro, ‘o telone se sfonna».
Chiediamo a Carlo se ha sentito parlare delle proteste dei gruppi di cittadini che chiedono la riduzione delle concessioni ai privati e un maggior controllo sugli abusi che gli stessi concessionari perpetrano per impedire ai bagnanti di raggiungere le spiagge senza pagare. «Sì, ho visto al tg regionale. Ma a quelli dei lidi di Posillipo e Marechiaro non ci fai niente, è gente coi soldi, il sindaco si mette paura», chiosa.
LA CAPITALE DEL MARE NEGATO
Come da qualche estate a questa parte, e con un’accentuazione registrata dal post-pandemia in poi, il tema di un “mare che non bagna Napoli” è oggetto in città di dibattito e conflitti, punta di un iceberg di una situazione, quella italiana, che è considerata in Europa un’assurda anomalia. “Gli imprenditori si tramandano le concessioni balneari come fossero un patrimonio privato di famiglia”, aveva raccontato Claudia Vellusi, del direttivo dell’associazione Mare Libero, in una intervista da noi pubblicata lo scorso anno. “Viviamo una situazione di squilibrio notevole a favore dei concessionari quasi ovunque nel paese. Ma le clamorose infrazioni e l’attenzione portata sul tema dalla Commissione Europea hanno reso il problema non più occultabile, e così sono venute fuori ancora più di prima le rimostranze che si muovevano già da tempo”.
Che la questione stia cominciando a diventare spinosa, lo dimostra forse il fatto che alcuni attivisti napoletani di Mare Libero sono stati denunciati quest’estate, per aver violato il provvedimento del “numero chiuso” delle spiagge imposto dal comune di Napoli, una prescrizione indigeribile per chi vuole godere del proprio diritto al mare, tantopiù considerando la scarsità delle porzioni di litorale rimaste libere dall’invasione dei concessionari. «Da fine giugno – spiegano alcuni attivisti – sulle spiagge di Posillipo si è tornati al numero chiuso, con il pretesto di quei “motivi di sicurezza” che tornano sempre utili per intimorire la gente, dal Covid in poi. Premesso che se gli spazi per fare il bagno sono pochissimi è per precisa responsabilità di chi ha assegnato tutto in concessione, la prenotazione on-line oltre a essere assurda è anche discriminatoria, perché esclude di fatto tutti quelli che non sono pratici con questi strumenti, come gli anziani, e soprattutto i ragazzi, che se minori di diciott’anni non possono accedere, a meno che non siano con un genitore».
Per avere un metro di come la situazione napoletana, e campana, sia grave, si può fare riferimento ai dati proposti dal rapporto di Legambiente Mare Mostrum. Il 70% della costa è occupato da stabilimenti balneari privati, mentre le condizioni del litorale e dell’acqua sono critiche, tra inquinamento, abusivismo edilizio, mancata depurazione, cattiva gestione dei rifiuti. Stando ai numeri proposti dal comune di Napoli, per quest’anno le persone che possono accedere alle spiagge di Posillipo sono: quattrocentocinquanta, alla spiaggia delle Monache; cinquanta a quella di palazzo Donn’Anna; quattrocento (divise in due turni) a quella della Gaiola. Numeri che andrebbero bene per un piccolo comune, ma che risultano ridicoli per una città che conta, anche escludendo la provincia, più di un milione di abitanti. «Il mare è un bene comune – ci spiegava Vellusi lo scorso anno – e non esistono spiagge “pubbliche” o “private”. A finire in concessione sono i servizi, che comunque riguardano solo le parti di spiaggia retrostanti i cinque metri dalla battigia, ed esiste una legge che stabilisce l’obbligo per il titolare delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso, anche al fine della balneazione, a chiunque lo desideri». Chiunque abbia provato in anni recenti ad attraversare gli spazi in concessione a una struttura privata per raggiungere l’acqua, sa bene che di fatto questa legge non viene quasi mai rispettata.
Della ignavia dell’Europa, che ha più volte ripreso l’Italia per la gestione dei litorali, ma che non ha mai ufficialmente proceduto alle sanzioni, abbiamo parlato lo scorso anno (vedi intervista citata in precedenza), e pertanto non vale la pena tornarvi, dal momento che la situazione è rimasta la stessa di un anno fa. Può essere utile invece un breve riassunto di quanto sta accadendo in questa “calda” estate sulle coste cittadine.
SPIAGGE PER RICCHI
Quella riguardante Posillipo e il suo “numero chiuso” è la situazione più scabrosa. Su questo tema, gli attivisti di Mare Libero hanno chiesto un accesso agli atti al comune di Napoli, mentre il provvedimento che introduce la norma, che potrebbe essere illegittimo, è stato pubblicato un mese dopo la firma dall’Autorità portuale. Nonostante le denunce ricevute, nel frattempo, decine di attivisti hanno negli ultimi weekend effettuato blitz sui litorali, arrivando via terra e soprattutto via mare, con sup e kayak, sulle spiagge posillipine e denunciando pubblicamente la gravità della situazione.
Il tema del numero chiuso, però, non è l’unico: la protesta riguarda anche l’impossibilità di un libero transito dalla strada al mare, e la necessaria rimozione di tutti gli ostacoli, come cancelli, strutture in pietra e guardie private, che impediscono il passaggio ai bagnanti che vogliono raggiungere la riva e fruire del mare gratuitamente, sulla spiaggia libera o sui cinque metri davanti la riva nelle aree in affidamento ai concessionari. Tra i più sensibili alle manifestazioni i turisti di altri paesi europei, abituati a chilometri di spiaggia libera e gratuita nei luoghi da cui vengono, spesso fornita di servizi come i bagni e le docce, anch’essi gratuiti. «La questione della sicurezza – spiega Cesare – è una gigantesca ipocrisia. Se c’è un problema che riguarda le vie di fuga, queste si possono ampliare limitando gli spazi in concessione, non il numero di accessi gratuiti».
È bene ricordare che in Italia le concessioni vengono quasi ovunque rinnovate automaticamente, senza nuovi bandi, nonostante anche in questo caso l’Unione Europea abbia avuto da ridire. Più che ad adeguarsi agli standard europei, però, l’attuale governo si sta impegnando per cercare una soluzione che permetta di aggirare l’obbligo di messa a gara delle concessioni (recentemente ribadito da Consiglio di Stato e Corte di giustizia europea), e sta cercando di dimostrare che il numero di autorizzazioni che possono essere concesse non deve essere “limitato”, dal momento che le spiagge non sono una risorsa naturale “scarsa”, ossia limitata.
Tornando a Napoli, è importante sottolineare, soprattutto a beneficio di chi non conosce il territorio, che lo specchio d’acqua che circonda la collina di Posillipo è quello più pregiato in termini ambientali in città. Non è un caso, insomma, che sia anche quello più selvaggiamente privatizzato, a dispetto per esempio della spiaggia di Rotonda Diaz e del Lido Comunale di Bagnoli, che il comune di Napoli si fa vanto di aver “lasciato” liberi.
Un caso che merita qualche parola in più è quello della Gaiola. Il Parco sommerso nasce ufficialmente nel 2002, con una legge che stabilisce alcuni divieti a tutela dell’area (navigazione libera, ancoraggio, ormeggio, pesca professionale, sportiva e subacquea) ma consente la balneazione e le immersioni in apnea, la navigazione a motore, le navigazioni per attività turistiche, ormeggio e pesca sportiva in alcune zone predeterminate. Responsabili del bene sono ministero dell’ambiente, Autorità portuale e comune di Napoli, ma a occuparsi della gestione è dal 2005 il CSI Gaiola onlus, associazione nata con la mission di riqualificazione e valorizzazione dell’area. Da allora, la gestione del parco viene assegnata in automatico a Gaiola Onlus attraverso una trattativa privata, ovvero previo affidamento diretto, normando una gestione che ha durata di nove anni ed è rinnovabile mediante un provvedimento del ministero.
Anche in questo caso la pandemia di Covid-19 è stata occasione per un ente privato per aumentare il proprio controllo su un bene pubblico: con i protocolli del 17 maggio 2020 e del 25 gennaio 2021, infatti, l’accesso alla spiaggia libera e gratuita, nonché alla scogliera tufacea che insiste nell’area marina, è stato drasticamente ridotto, attraverso un vero e proprio scacco matto da parte del CSI. Da allora, spiaggia e scogliera della Gaiola restano accessibili dalle 9 alle 18 nei mesi estivi, consentendo la presenza massima di duecento persone a turno, solo se in possesso di una prenotazione on-line. Questo modello va tra l’altro in conflitto con le delibere approvate negli anni 2015 e 2016 dal comune di Napoli sul tema dell’accesso e della fruizione collettiva dei beni comuni, ed esclude persino la presenza di una Commissione di riserva, l’organo che dovrebbe garantire in questi casi un supporto nella gestione, grazie alla presenza delle associazioni e delle realtà collettive locali.
Lo scorso 30 maggio, la convenzione tra gli enti pubblici e Gaiola onlus è stata rinnovata nel silenzio “pubblico” assoluto, nonostante numerose associazioni avessero manifestato la propria volontà di partecipare alla selezione.
SPIAGGE PER POVERI
Più accessibili rispetto all’ambito litorale di Posillipo sono le spiagge e le scogliere che insistono sul lungomare di Mergellina. In teoria, però, perché l’amministrazione comunale aveva emanato a fine giugno un’ordinanza sindacale (poi ritirata) con cui sanciva il divieto di balneazione nella fascia costiera di via Partenope, decisione arrivata dopo che i rilievi effettuati dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale avevano evidenziato un elevato livello di inquinamento del mare. Con la stessa ordinanza, il comune aveva invitato la cittadinanza anche a non fare il bagno neppure a Marechiaro, a causa di una concentrazione di enterococchi intestinali superiore ai limiti consentiti.
Se a Mergellina e Marechiaro il bagno è vietato “a singhiozzo” – in teoria, dal momento che i bagnanti, disperati, finiscono per fregarsene del divieto sempre e comunque –, e a seconda degli esiti di questo o quel rilievo tecnico, esistono poi, come già spiegato, i due grandi litorali est e ovest (San Giovanni e Bagnoli) le cui acque sono inquinate da decenni di attività industriale, e che istituzioni locali e nazionali si guardano bene dal bonificare.
In questi casi l’amministrazione se la cava per lo più con l’escamotage dell’uso elioterapico con divieto di balneazione, salvo poi sparire completamente dalla circolazione, e lasciando i bagnanti a una scelta non facile, con la loro salute in balia della sorte. E questa, naturalmente, non è affatto un’altra storia. (angelo della ragione / riccardo rosa)
Leave a Reply