M. vive a L’Aquila. Ha perso il lavoro durante la pandemia e non è ha più trovato occupazione. Si è separato dalla sua compagna e si è ritrovato senza casa, così si è sistemato alla men peggio utilizzando i soldi che aveva messo da parte negli anni, e quelli guadagnati con qualche lavoretto occasionale, in una stanza per studenti: «Duecento euro al mese, grazie all’aiuto di una rete di contatti e relazioni personali. In quella stanza sono rimasto fino a febbraio 2022. Ho tentato per mesi di trovarne un’altra più economica o più dignitosa dei tre metri per due in cui vivevo, ma invano. Non c’era nulla sotto i quattrocento euro, spese escluse. Una cifra impossibile da coprire con quei pochi risparmi che mi erano rimasti. Nessuno mi ha fatto sottoscrivere un contratto di affitto perché non avevo un lavoro fisso».
A febbraio 2022 M. riesce a trovare alloggio in un appartamento di proprietà dell’associazione 180 amici L’Aquila – Per la tutela della salute mentale, alle cui spese ha contribuito per un primo periodo pagando le bollette. L’ammontare del reddito di cittadinanza che percepiva, tuttavia, è diventato presto insufficiente considerando gli aumenti del costo della vita, ed è risultato appena bastevole per il vitto. Come se non bastasse, da qualche settimana il reddito gli è stato soppresso, in quanto persona “in età da lavoro” e senza figli. Gli accessi alle case di edilizia popolare sono intanto bloccati.
Il patrimonio pubblico immobiliare nel comune de L’Aquila post-sismica (centro, prima periferia e frazioni) conta circa seimila alloggi. Tra questi, più di cinquemila fanno parte di Progetto Case e Map, ovvero le case “provvisorie” costruite nei mesi successivi al terremoto; altre 364 sono abitazioni “equivalenti”, ovvero tutti quegli alloggi che in fase di ricostruzione sono stati venduti dai privati al comune. Da questo numero vanno sottratte le case inagibili, quelle già abitate, e quelle ancora in fase di completamento. Fatta questa operazione, le case agibili vuote risulterebbero più di mille.
È, purtroppo, doveroso utilizzare il condizionale, perché un numero preciso è difficile da stimare. I dati qui utilizzati sono infatti estrapolati da un vecchio censimento comunale risalente a due anni fa, e da un altro (facente riferimento agli alloggi equivalenti) realizzato esclusivamente grazie agli sforzi di una ex studentessa che fa parte del coordinamento CASA! – Come abitare senza abitazioni. L’impossibilità di reperire dati aggiornati dà misura di quanto l’argomento residenzialità popolare-universitaria non sia una priorità per l’amministrazione. A oggi non esiste una mappatura pubblica sugli alloggi (Progetto Case e Map) effettivamente agibili, mappatura ripetutamente promessa ma mai realizzata; in molti casi il comune non è neppure a conoscenza di chi vive all’interno degli alloggi pubblici, né della percentuale di occupazioni. Eppure la domanda di case c’è, è reale ed eterogenea. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le situazioni paradossali, come quella di studenti Erasmus che chiedono di essere ospitati da centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, perché non riescono a trovare alloggi dignitosi in affitto.
I due ultimi bandi pubblicati per le assegnazioni dall’amministrazione tutt’ora in carica, intanto, hanno lasciato senza risposta centinaia di persone. Il primo risale al 2020 (tre anni dopo l’insediamento della prima giunta Biondi) e ha avuto come unico risultato quello di mettere in lista d’attesa oltre duecento nuclei familiari, dei quali nessuno sa quanti siano a oggi riusciti effettivamente a entrare in una casa. Il secondo, del febbraio 2023, prevedeva l’assegnazione di soli cinquanta appartamenti, quaranta nei moduli abitativi per famiglie con meno di diecimila euro di Isee, e dieci per persone separate o divorziate. Una cifra irrisoria rispetto alla reale necessità della popolazione.
Sul fronte universitario, gli unici affitti disponibili sono stati in questi anni quelli privati, mentre l’Adsu, dopo tredici anni di inazione, ha deciso di “riattivarsi” prendendo in affitto venti appartamenti dall’Ater – ente per l’edilizia popolare – a beneficio di un centinaio di studenti. È lo stesso numero, all’incirca, degli universitari che dovranno da questo settembre far fronte alla chiusura della ex Caserma Campomizzi, utilizzata per tamponare nell’ultimo decennio l’assenza di una Casa dello studente. Anche in questo caso, il comune non va oltre le roboanti dichiarazioni su “L’Aquila città universitaria” e la propaganda sul nascituro “collegio di merito Ferrante D’Aragona”, che dovrebbe essere un modello per il paese, ma che a oggi, su duecento alloggi destinati, non ne ha messo a disposizione degli studenti nemmeno uno, anche a causa dei continui scontri politici all’interno della fondazione che doveva dare vita al collegio.
Nonostante la gravità della situazione, il tema del diritto alla casa, che sia per gli studenti universitari o per le famiglie a basso reddito, viene puntualmente soffocato nel dibattito pubblico. L’amministrazione comunale ha infatti imposto in questi anni una narrazione basata sulla forza della rinascita, sulla bellezza della città e sulla sua attrattività turistica. Un’insopportabile retorica che solo in parte corrisponde a realtà. Se è vero, infatti, che la comunità aquilana ha resistito in questi anni a duri colpi, è altrettanto doveroso evidenziare le incapacità politico amministrative nascoste con puntualità dietro un efficace apparato di propaganda e comunicazione.
Per smontare questo tipo di narrazione, e per accendere i riflettori su una questione sociale abbandonata da troppo tempo, nel 2022 è nata la campagna CASA!. L’interlocuzione tra gli attivisti e l’amministrazione è stata in quest’anno pressoché nulla, a causa della indisponibilità da parte del sindaco e della sua giunta a confrontarsi e agevolare la partecipazione da parte della società civile, anche se organizzata in campagne trasversali come CASA!.
La pressione da parte del coordinamento, tuttavia, sembra aver rotto gli equilibri immobili creati ad arte in questi anni, tanto è vero che all’inizio del 2023 è stato pubblicato un bando per l’assegnazione di quaranta alloggi, sebbene quasi tutti in zone lontane anche venti chilometri dal centro cittadino, e in frazioni montane ai piedi del Gran Sasso. Un risultato di certo insufficiente al fabbisogno della popolazione, ma che apre degli spiragli e permette di pensare che attraverso un coinvolgimento progressivamente maggiore della popolazione e degli studenti che soffrono l’emergenza casa, nei prossimi mesi sarà possibile ottenere dei risultati, tanto più considerando l’enorme mole di case agibili e vuote che dovranno essere pretese e messe a disposizione della cittadinanza. (mattia fonzi / emanuela rossi)
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