(archivio disegni napolimonitor)
L’articolo che segue è stato scritto da uno dei partecipanti al laboratorio di narrazione per ragazzi e ragazze che si tiene da circa un mese tutti i mercoledì a Villa Medusa (via di Pozzuoli, 110). Chi desiderasse unirsi al gruppo può inviare una mail a: redazione@napolimonitor.it.
Lo skate nasce negli Stati Uniti all’inizio degli anni Settanta con il bisogno di molti surfisti californiani di continuare a fare surf anche quando il mare non offriva onde da cavalcare. Gli skater all’epoca usavano come spot le piscine vuote delle ville abbandonate dai ricconi di Los Angeles. Negli ultimi anni lo skate-boarding è in progressivo aumento sia negli spazi sia nelle persone che lo praticano, ed è diventato nel 2021 uno sport olimpico.
A Napoli arriva all’inizio degli anni Ottanta con la prima generazione di skater che occuparono zone che tuttora, come il centro direzionale, sono utilizzate dalle nuove generazioni. Uno dei primissimi skater napoletani, Vincenzo Parlato, racconta: «Alla fine degli anni Ottanta a Napoli non esisteva ancora una comunità vera e propria come quella americana. Io decisi di comprare il primo skate giocattolo col quale mi esercitavo in discese correndo con gli amici. La vera svolta è avvenuta nel primo periodo degli anni Novanta, quando comprai la primissima rivista di skate, il suo nome era proprio Skate. Da lì fu amore a prima vista».
All’inizio non esisteva quasi niente che potesse appartenere a questa cultura, ma solo tante persone disparate in giro per la città: «Ho iniziato da solitario – continua questo pioniere dello skate in città –, mio padre mi comprò la primissima tavola professionale, con la quale iniziai a spostarmi da Licola, dove vivevo, in zone più frequentate, come Fuorigrotta, dove mi incontravo con altri tre o quattro amici fuori la facoltà di Ingegneria. A parte noi di Fuorigrotta, che eravamo più punk e metal, c’erano i gruppetti del Vomero che erano più fighetti. Poco dopo iniziai a frequentare il Villaggio Coppola a Castel Volturno, zona dove vivevano parte dei miei amici. Lì eravamo una decina a fare skate, sia italiani che americani. Lo skate iniziò a diffondersi molto in quel periodo, ma nonostante ciò rimase comunque un hobby di nicchia. Fu l’inizio del periodo dell’abbigliamento extra-large e la gente ci guardava incuriosita. Più tardi aprirono qualche park, composto da rampe, ledge, box e altre strutture. Il più grande a Licola, proprio vicino casa mia. Che culo! Era all’incirca il ’92, il periodo dove proprio in quel park arrivarono i pro-skater americani della New deal e della Blue. Skater importanti come Ed Templeton, Neal Hendrix e Karim Cambpell. Dopo qualche anno aprì il Fun cube ad Agnano. Avevamo strutture anche al chiuso; c’era l’area aperta dove ci si cimentava in graffiti e feste; poi, sempre in quel periodo, aprì anche il famosissimo park di Pomigliano, dove si facevano tante cose. Gli anni Novanta furono caratterizzati da vari movimenti, dallo skate all’hip hop, tutti connessi dalla grande famiglia dell’underground. Alcuni sfoghi erano i concerti punk organizzati nei centri sociali, per esempio al Tien a ment di Soccavo o a Officina 99 a Gianturco. Con tutte le difficoltà che c’erano per procurarsi tavole di skate, che avevano prezzi esagerati, quegli anni sono stati unici e siamo riusciti a viverceli a pieno».
Negli anni successivi molti ragazzi hanno provato ad avvicinarsi al mondo dello skate e a creare realtà nuove. Uno di quelli della “generazione di mezzo” ha creato un movimento per fornire uno spazio agli skater. Questo ragazzo è Luca Sun di Rampa Nomade: «L’idea è nata sette anni fa per l’esigenza di noi skater di avere uno spazio e grazie all’occupazione dell’ex carcere minorile di Montesanto, poi diventato Scugnizzo Liberato, è diventata realtà. Il Comune non ci ha mai messo niente a disposizione. Mi sono rotto e l’ho fatto da solo. Lo skate è nomade, noi non siamo in pianta stabile da nessuna parte, ma dove abbiamo la possibilità là ci muoviamo. Nessuna limitazione, se c’è una jam da qualche parte ci andiamo e portiamo le strutture. Da lì è nata l’idea del nome: Rampa Nomade».
Nel tempo l’esigenza di creare comunità in giro per le zone intorno a Napoli, ha portato molti skater ad andare in posti come Pozzuoli, dove però, da poco, questa esigenza è stata bloccata da vari divieti comunali che impediscono di fare skate in alcune aree della città. Anche questo però fa parte della comunità dello skate-boarding. Come spesso accade, anche la politica è entrata in questo mondo cercando di creare spazi e zone, a volte snaturando la vera essenza dello skating. Nonostante ciò molti ragazzi e molte realtà hanno contribuito a far crescere questo sport in giro, rendendo giustizia alla vera natura dello skate. Un vero e proprio movimento indipendente che unisce tantissime culture e persone diverse, che apre nuovi punti di vista e nuovi modi di vedere il mondo. (angelo della ragione)
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