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24 Luglio 2018

Da piazza Miraglia a palazzo San Giacomo. Gli occupanti casa chiedono risposte al Comune

Raffaele Aiello
(disegno di escif)
(disegno di escif)

I vigili che vegliano pigramente all’esterno del palazzo comunale non si sono nemmeno resi bene conto di quello che stava succedendo, che Jessica e gli altri bambini erano già sul balcone. Borse frigorifero, pastelli e giochi alla mano sono entrati con i loro genitori senza chiedere permesso, si sono messi negli uffici dell’assessore Panini, e almeno per oggi non hanno intenzione di uscirvi. Vivono da quasi tre anni a piazza Miraglia, in uno stabile dell’ordine religioso dei Servi di Gesù, che da un po’ di mesi gli ha staccato pure la luce; da tre anni vivono da occupanti casa, con la paura dello sgombero e della celere, che due settimane fa gli è entrata in casa spaventando tutti. Di tanto in tanto, da quelle e queste parti, si fa vedere qualche consigliere comunale del partito del sindaco. “La solidarietà è un arma” (a volte a doppio taglio), solo che questa mattina gli occupanti più che solidarietà chiedono una presa di posizione, magari durante il consiglio monotematico sul patrimonio.

È da mesi che il destino della palazzina di piazza Miraglia è oggetto di un tavolo tecnico con il comune di Napoli. Il rischio sgombero è ormai altissimo, considerando anche le mire speculative sull’edificio, destinato a diventare una struttura ricettiva, in una città che mai come oggi vive di pizze e posti letto a buon mercato. Disponibile e gentile, è stato, certo, l’assessore Panini in questi mesi; rassicurazioni e promesse, sempre un po’ vaghe, di “alternative abitative”, ma nessun atto politico, né tantomeno amministrativo, è arrivato. Eppure sono passati due anni da quando il Comune si era pubblicamente impegnato, con la curia, a trovare una soluzione valida per un’emergenza che coinvolge, nel caso specifico di piazza Miraglia, tanti soggetti “socialmente vulnerabili” (è stato effettuato anche un mini-censimento per stabilirlo!). Ragazze madri, famiglie in situazioni lavorative iperprecarie, nuclei mono-mini-reddituali, migranti di prima e seconda generazione. Da allora tante chiacchiere, ma nulla più. Un modus operandi consolidato, se si guarda alle politiche dell’amministrazione sull’emergenza casa, il cui punto più alto (basso) è rappresentato dall’ormai “mitologico” palazzo di via Settembrini, in cui dovevano essere allocate già dal 2015 le persone in emergenza abitativa sgombrate, sempre da un ordine religioso, dall’ex scuola Belvedere, al Vomero. I lavori sono ancora fermi.

Intanto a palazzo San Giacomo le ore passano. La mattinata volge quasi al termine, ora tra i corridoi i bambini giocano a nascondino. Come e più di loro, gli esponenti della giunta sono bravi a non farsi trovare. L’assessore Panini non si vede e non si sente; tramite il segretario, timidamente, arriva la voce del sindaco. «Ma se viene per sorridere e portare parole a vuoto, nun veness’ proprio!», taglia corto qualcuno. Dopo il nascondino è tempo del disegno, per i più piccoli, mentre gli adulti cominciano a pensare al pranzo. Qualcuno si industria a cercare il posto più adatto dove restare a dormire. L’obiettivo è rimanerci, nel palazzo del Comune, fino a che non venga proposta un’alternativa reale, una soluzione abitativa degna di essere chiamata tale, per lasciare in tempi rapidi la palazzina di piazza Miraglia.

Come non detto: altro che disegni, la tregua è già finita, i bambini corrono di nuovo come dei pazzi. Sono una decina, ma sembrano cento, i piccoli occupanti. Salgono e scendono le scale, si azzuffano tra i corridoi e gli uffici, fa capolino la Digos ma gli agenti rimangono in attesa, la giornata sarà ancora lunga. I dipendenti comunali sono gentili, il pranzo è servito, poi qualcuno si appisola, mettendosi ad aspettare con la flemma di chi non ha più tempo per farlo. Vogliono una risposta oggi, niente di più. Sapere se il Comune è in grado di proporre una soluzione a queste famiglie, capire in che posto abiteranno domani. «E dove invitare gli amici di scuola», aggiunge una voce di un metro e poco più. Chiedono un tetto, senza non si può stare. (raffaele aiello)

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