La privatizzazione di parte del litorale napoletano presenta uno degli episodi più eclatanti nel giardino realizzato dall’imprenditore Alfredo Romeo sull’arenile demaniale prospiciente la sua villa di Posillipo. Una vicenda intricata di cui è utile ripercorrere le tappe per chiedersi come mai trent’anni di denunce dei cittadini, procedimenti giudiziari ed atti amministrativi siano rimasti finora senza esito.
La storia inizia nel 1982, quando Alfredo Romeo e sua moglie, Maria Vittoria Parisio Perrotti, acquistano dai fratelli Ciaramella uno stabile sito ai civici 21 e 22 di via Posillipo. Benchè fatiscente, l’immobile gode di ottima posizione, con vista panoramica sul golfo ed accesso diretto al mare; abbarbicato al costone tufaceo tra l’Ospizio marino “Padre Ludovico da Casoria” e palazzo Donn’Anna, si sviluppa in altezza per più piani dalla strada al sottostante arenile demaniale. Proprio sull’area antistante l’edificio si appuntano gli interessi di Romeo, a cui i fratelli Perrotti hanno trasferito con la vendita anche i diritti su una concessione che risale al 1900: quell’anno il Regio Demanio rilasciò a Ludovico Carelli, proprietario del manufatto, il permesso di occupare una striscia di litorale per realizzarvi una banchina a protezione dal mare, che all’epoca lambiva il piede dell’edificio. La concessione riguardava poco più di cinquanta metri quadri e venne rinnovata nel 1931 dal figlio di Ludovico, Antonio, quindi girata nel 1953 ai fratelli Ciaramella quando rilevarono lo stabile. Ma a Romeo non basta vantare diritti su quell’esile striscia di suolo (diritti peraltro decaduti, non avendo egli presentato richiesta di subingresso nella concessione) e nel 1983, ancor prima di iniziare la ristrutturazione del palazzo, avanza al Consorzio Autonomo del Porto un’istanza di concessione per l’arenile antistante il suo rudere: ne riceve invece un’ordinanza che gli impone di recintarne parte a garanzia della pubblica incolumità.
L’imprenditore va avanti e presenta al Comune un progetto di ristrutturazione, firmato dall’architetto Loris Rossi, che prevede anche un giardino padronale sull’area agognata; ma la concessione che arriva nel 1989 esclude la realizzabilità del viridario, prescrivendo invece sia garantito l’accesso ed il pubblico godimento della spiaggia. L’anno dopo Romeo vi installa un cantiere e inizia i lavori ma nel 1993 avanza una nuova richiesta di concessione a nome del circolo sportivo “Mavilù”, presieduto da Amalia Giudici e costituito proprio l’anno prima con sede in via Posillipo 21. Il sodalizio dall’ironico acronimo (composto con le iniziali dei nomi della moglie e della figlia di Romeo, Ludovica) chiede cinquecentosessanta metri quadri in concessione stagionale, più altri centotrenta dove installare pedane in legno, spogliatoi, docce e rimessaggio barche. Il Consorzio Autonomo del Porto istruisce la pratica ma nel frattempo il cantiere di Romeo subisce un accertamento di polizia giudiziaria, che riscontra una serie di abusi: un patio pavimentato al piede del palazzo, con due livelli collegati da rampe ed una scala. Romeo non ci sta, contesta i confini tra la sua proprietà e l’area demaniale, citando il catasto del 1810; fa anche istanza per ridefinirli, segnalando la difformità tra gli atti dell’Ufficio tecnico erariale e le schede di riaccatastamento allegate al titolo di proprietà. Parte la prima ordinanza di sgombero, a cui Romeo oppone un ricorso al TAR, che gli da ragione. Inizia così uno stillicidio di accertamenti di opere abusive e provvedimenti di rimozione mai eseguiti, dato che Romeo li impugna tutti al TAR e vince sempre.
Tuttavia, quando nel 1997 l’Autorità Portuale gli ingiunge di sborsare dieci milioni di lire per occupazione abusiva di suolo demaniale (l’area del patio, che ritiene essere sua proprietà) negli anni 1995 e 1996, l’imprenditore paga, con riserva di rivalersi dopo l’accertamento dei confini reali. Intanto le opere non autorizzate strabordano l’area di cantiere: spunta una doccia, compaiono alberi ed aiuole, che gli inservienti di Romeo definiscono in gran parte ‘spontanei’, così come saranno attribuiti ‘al vento ed alle onde’ la ripetuta caduta dei sigilli giudiziari.
Nel 2001 l’area del “giardino”, che ormai misura oltre settecento metri quadri, viene sequestrata e si apre il primo dei procedimenti giudiziari sulla vicenda. Da qui al 2009 si susseguono nuovi provvedimenti di sequestro, contestazioni per violazione dei sigilli e realizzazione di altri abusi, nonché dissequestri per ripristinare lo stato dei luoghi, che rimangono però senza esito. Nel 2003 una nuova sentenza del TAR giudica improcedibili i quattro ricorsi vinti da Romeo tra il 1993 ed il 2001, riconoscendo che la sua tesi sull’imprecisione dei confini demaniali è plausibile ma che l’Autorità Portuale non è obbligata ad effettuarne la riperimetrazione. Romeo, a fronte di una nuova ordinanza di sgombero dell’Autorità Portuale, avanza nell’agosto 2004 una richiesta di concessione in sanatoria per una parte del giardino (pochi giorni prima aveva presentato la pratica per sanare le opere di pavimentazione e muratura realizzate nell’area del patio), che ormai trabocca di piante esogene e giunge a ridosso della scogliera, sfiorando i novecento metri quadri.
L’Autorità Portuale nel 2006 respinge la richiesta, visti i pareri negativi di Capitaneria di Porto e Servizio Risorsa Mare del Comune, ma Romeo contesta le motivazioni del rigetto: nessuna opera abusiva, lui ha solo manutenuto la vegetazione esistente e con l’attività del circolo Mavilù intende aprire l’area ad una fruizione qualificata (soci e visite guidate), poiché l’accesso, che avviene da un vialetto privato, ne preclude irreparabilmente l’uso generalizzato che il Comune auspica. Inoltre il resto della spiaggia è già in concessione al Lido Sirena o all’Ospizio marino, discriminare la sua richiesta è illegittimo. Prosegue quindi il circolo vizioso, con “Mavilù”che reitera le domande di concessione in sanatoria e l’Autorità Portuale che le rigetta, intimando il ripristino dello stato dei luoghi.
Nel 2008 si ha un nuovo sequestro per violazione dei sigilli (nel giardino sono spuntati un’orto, una sauna e poi una recinzione, presto rimossa) ed a Romeo, che insieme alla moglie e al giardinieire Eugenio Anzoino è stato nel frattempo condannato a tre anni e tre mesi per violazione aggravata dei sigilli (prescritto il reato di occupazione abusiva) viene comminato un divieto di dimora a Napoli, poi sospeso. Nel 2011 la corte d’Appello riforma parzialmente la sentenza, confermando i reati di occupazione abusiva (prescritta) e violazione dei sigilli ma concedendo le attenuanti generiche: due anni ed ottocento euro di multa a Romeo e moglie, un anno e sei mesi più seicento euro di multa al giardiniere. Nel 2013 la Cassazione considera valide alcune obiezioni del ricorso di Romeo e, pur riconfermando i reati imputati (nel frattempo andati in prescrizione), annulla la sentenza di secondo grado. Nel 2010 è andato in fumo anche un altro procedimento contro Romeo e la moglie, quello per tentato abuso d’ufficio, basato su alcune intercettazioni telefoniche del 2007 tra l’imprenditore e l’ex presidente della prima sezione del tribunale di Napoli, Bruno Schisano (anch’egli indagato e poi assolto): Romeo chiedeva ripetutamente a Schisano di interessarsi del suo procedimento per violazione dei sigilli, ricevendone promesse e rassicurazioni. Secondo i magistrati il reato non sussiste, Schisano non fece pressione sui giudici incaricati del processo contro Romeo e comunque le intercettazioni realizzate per l’inchiesta sul Global Service non sono utilizzabili per il reato di abuso d’ufficio.
Nel gennaio 2013 l’Autorità Portuale rigetta l’ultima richiesta di concessione avanzata il mese prima dal circolo “Mavilù”, che si offriva in cambio di fornire servizi e pulizia per la spiaggetta libera adiacente, rinunciando ad un ricorso del 2009 pendente al TAR Campania: per l’Autorità Portuale l’unica autorizzazione a cui Romeo può aspirare è quella per manutenere la vegetazione dell’area, da adibire comunque “a pubblico uso da parte della collettività”.
Siamo arrivati ai giorni nostri, il giardino di Romeo è ancora lì e nessun procedimento giudiziario a suo carico per questa vicenda ha finora avuto esito positivo, malgrado i reati accertati. Parte dell’area è ancora sotto sequestro penale, essendo in corso il procedimento giudiziario avviato nel 2006. L’accesso è libero anche se pochi ne approfittano, forse per il potere interdittivo di quel nome, forse per qualche allusivo “ostacolo” posto sui varchi di accesso (cavalletti collocati di sbieco, cartelli con la scritta ‘vernice fresca’, etc.). Qualche torma di ragazzini impudenti, si dice, è stata fatta oggetto di forme dissuasive più dirette; mentre quando nel giugno di due anni fa il comitato “Unaspiaggia per tutti” promosse la pacifica invasione del giardino, dalla villa ci si limitò a chiudere l’acqua della doccia con cui i manifestanti si stavano rinfrescando. Per il 7 giugno, il comitato ha organizzato una nuova manifestazione sulla ‘spiaggia di Romeo’, con tanto di bagno al mare e festa serale, nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione sul diritto al mare in città. Forse per sbloccare questa vicenda di carte bollate e burocrazia servono proprio un po’ di cittadini che, senza aspettare le istituzioni, si riapproprino non episodicamente di quel bene pubblico negato. (massimo di dato)
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