Sabato 28 marzo alla piscina Scandone di Fuorigrotta andrà in scena la prima delle due finali di Euro Cup di pallanuoto. A sfidarsi saranno le due principali squadre napoletane, il Posillipo e l’Acquachiara. Per l’occasione abbiamo intervistato Franco Porzio, pluricampione negli anni Ottanta e Novanta, in vasca con il Posillipo, e oggi presidente di Acquachiara.
Nei numerosi salotti televisivi della città in cui si discute di sport è sorto un dibattito. Il Napoli, dicono i più saggi, può salvare la propria stagione vincendo la coppa Uefa. Non è una passeggiata: la strada si mette in salita solo ora e non si sa quanto fiato abbia ancora a disposizione la compagine di Benitez.
Motivo di vanto sportivo è intanto una finale già certa, che riguarda due squadre napoletane: la sfida d’andata tra Posillipo e Acquachiara, ultimo atto dell’Euro Cup di pallanuoto, sabato 28 marzo. Un derby tra due società molto diverse. Acquachiara è stata fondata appena diciassette anni fa da Franco Porzio, capitano del Posillipo che vinse tutto negli anni Ottanta e Novanta, campione olimpico insieme al fratello Pino con il Settebello azzurro a Barcelona nel ’92, una delle imprese sportive più belle del nostro sport. L’Acquachiara è da soli quattro anni nel massimo torneo nazionale. Posillipo è invece la storia di questo sport, il club più titolato di Napoli – anche grazie a campioni come i fratelli Porzio – e il cui circolo fu fondato nel 1925.
Nella storia della pallanuoto la città ha d’altronde un ruolo importante: Rari Nantes Napoli, circolo Canottieri, circolo Posillipo, ma anche Pallanuoto Volturno, squadra in cui militò lo spagnolo Manuel Estiarte, considerato il Maradona di questo sport. Da qualche anno alla ribalta nazionale si è affacciata l’Acquachiara. «Napoli è l’università della pallanuoto», spiega Franco Porzio. «È uno sport che necessita di fantasia, di estro e di scaltrezza e il napoletano ha le caratteristiche ideali. Molti ragazzi di questa città hanno fame di arrivare e questo agevola il nostro lavoro con i giovani».
L’università della pallanuoto apre i battenti nel 1906. Un anno prima il sottotenente genovese Hector Bayon aveva costituito il circolo Rari Nantes, che nelle acqua di Santa Lucia addestrava i ragazzi al nuoto. Nel 1904 lo stesso Bayon aveva fondato il Naples Fc, lontano parente della futura Società sportiva calcio Napoli. Fu proprio un calciatore svizzero del Naples, Hasso Steinegger, a portare il primo pallone, un pallone da calcio, al circolo Rari Nantes. Lo fece per scherzo, ma quando lo lanciò in acqua i ragazzi di Santa Lucia cominciarono a divertirsi.
Nei primi anni del Novecento la Rari Nantes vinse tanti scudetti: nel ’39 il termine “settebello” fu coniato dal capitano Mimì Grimaldi, che cercava di avvicinare due ragazze tedesche salite su un treno per Napoli. Mostrando loro i compagni di squadra disse: «Guarda, siamo sette belli!». Divenne il soprannome della squadra. Niccolò Carosio prese poi in prestito il termine per descrivere l’impresa della selezione italiana che vinse le olimpiadi del 1948, nazionale nella quale militavano quasi esclusivamente i ragazzi napoletani della Rari Nantes. Per Carosio Buonocore e Arena erano lo Zamora e il Meazza della pallanuoto. «Ma la pallanuoto la paragono più spesso al rugby», spiega Porzio. «C’è molta lealtà e rispetto. Forse il fatto che non si veda l’altra metà del corpo perché è sott’acqua lascia immaginare scontri durissimi, ma in realtà ben poco accade».
«Essere arrivati in fondo è già un grande traguardo. C’è tanta gente che lavora con passione e questa finale europea è solo la punta dell’iceberg». L’Acquachiara ci arriva dopo aver eliminato il Nizza e i croati del Mornar. «Noi facciamo tante attività sociali: manifestazioni, corsi per ragazzi… Nonostante la giovane età la società, dal punto di vista manageriale, è al passo con i tempi, per non dire all’avanguardia. Nei valori di Acquachiara, però, ci sono tutte le caratteristiche della tradizione. Poi io vengo dalla storia di Posillipo, quindi non ho fatto altro che mettere a disposizione della mia società tutto quello che ho imparato in quegli anni, anche sotto l’aspetto della disciplina e dell’educazione».
Alto, biondo e solenne, Porzio dà l’impressione di essere imperturbabile roccia, capace di assorbire la violenza dei mari in burrasca senza scalfirsi. «Mio padre gestiva la piscina della Mostra d’Oltremare, che anche grazie a me abbiamo riportato in attività. Dall’età di quattro anni mi portava qui a vedere i derby tra Rari Nantes, che vinceva scudetti a raffica, e Canottieri, che invece era una squadra formata da scugnizzi napoletani». Passa qualche anno e Porzio comincia a giocare con i rossoverdi di Posillipo. Ci resterà per tutta la carriera, diventandone capitano, vincendo scudetti e due coppe dei campioni consecutive. Negli anni Novanta è tra i migliori pallanuotisti del mondo, soprannominato “il mancino terribile” per il tiro poderoso.
«Il momento di grazia l’ho avuto nel 1992, quando con la nazionale – in cui c’erano cinque o sei napoletani – riuscimmo a battere la Spagna e a vincere l’oro olimpico di fronte al re Juan Carlos, a Barcellona. Dopo le due coppe con il Posillipo, nel ’98, decisi di ritirarmi. Era mia intenzione farlo lasciando un buon ricordo, avrei potuto vincere ancora, ma non sono poi così avido». Nella finale del ’92 affronta Estiarte: «Aveva una incredibile velocità di pensiero, che gli consentiva di inventare una giocata molto prima di un comune giocatore». A Posillipo gioca con Kasas: «Un giocatore universale, poteva fare qualsiasi cosa in qualsiasi parte del campo». Assieme a loro c’era il loco ungherese Gerendas, «un pazzo, uno che voleva vincere sempre. Era un grande giocatore, l’allenatore doveva frenarlo ma lo tollerava perché ci faceva vincere le partite».
Dopo il ritiro Porzio fonda Acquachiara, che nelle intenzioni doveva essere una società satellite del Posillipo. «Ai dirigenti dicevo sempre: “Guardate, un giorno noi finiremo, dietro non c’è nessuno”, ma non mi ascoltavano. Volevo lavorare con i giovani per dare alla prima squadra del Posillipo una certa continuità. Ma come sempre accade, appena metti in piedi una società ben organizzata, che funziona, cominciano a crearti difficoltà. Così sono andato avanti per la mia strada».
«Abbiamo fritto il pesce con l’acqua, come si dice. Noi facciamo i salti mortali per mantenere l’attività sportiva, non abbiamo solo la prima squadra. C’è anche una squadra femminile in A2 che è prima in classifica, poi più di venti giovanili maschili e femminili. Non ce la facciamo a coprire tutto, quindi quello che entra dalla prima squadra lo reinvestiamo per fare attività giovanile. Ma lavorare con i ragazzi è un piacere, c’è un senso di identità molto forte. È un po’ quello che è successo con il Posillipo degli anni Ottanta, pieno di giovani cresciuti lì. Questo sentimento d’appartenenza non ho fatto altro che trasferirlo in Acquachiara e questa è ora la nostra forza. La gente si sente coinvolta. Per l’ultimo derby abbiamo portato quasi cinquemila persone alla piscina».
Il paragone con la pallanuoto dei circoli è per Porzio il punto di forza della società. «Noi siamo trasversali. I nostri tifosi sono famiglie, magari genitori con figli iscritti ai nostri corsi. L’Acquachiara è la squadra della città, non si parla di circoli. La nostra forza è l’umiltà. E poi non nasce sul mare, Acquachiara, nasce al Frullone, dove facciamo i corsi ai bambini. E questo è l’aspetto innovativo. Canottieri e Posillipo stanno sul mare, noi siamo in periferia».
Avere meriti sportivi eccezionali e doversi accontentare di un servizio al tg regionale, di tanto in tanto, non sembra essere più un tormento per Franco Porzio. Ma forse non lo è mai stato. È notoriamente un tifoso del Napoli, ma di De Laurentiis non condivide la linea: «Potrebbe anche starci il parallelo tra me e lui. Entrambi siamo partiti da zero e in breve tempo abbiamo portato le società in campo internazionale. Però c’è una grande differenza: io sono napoletano e lui no, e quindi il settore giovanile, o attività come quelle che facciamo con i giovani, sono aspetti che a lui non interessano. Semplicemente perché sosterrebbero una comunità della quale non si sente parte».
Alla finale di sabato (andata e ritorno alla piscina Scandone) l’Acquachiara arriva senza patemi. Tranquilla, come il suo presidente. «Noi non abbiamo nulla da perdere. Il blasone tra noi finaliste ce l’ha solo Posillipo. Ripenso a quando i miei ragazzi cominciavano a gareggiare, nelle serie minori, pochi anni fa. Ci ridevano dietro, pensavano fossimo di passaggio, che non avremmo resistito. E invece ci siamo divertiti ad arrivare fin qui. Ora dobbiamo capire cosa vogliamo fare nei prossimi dieci anni». (davide schiavon)
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