Abbiamo incontrato Lua, una studentessa del liceo classico Manzoni, in occasione delle recenti occupazioni scolastiche a Milano. Lua frequenta il quarto anno ed è vicedirettrice del giornalino scolastico. Un’esperienza che racconta con orgoglio perché la sta aiutando a confrontarsi con gli altri, a usare la scrittura non solo per riflessioni introspettive, ma anche e soprattutto per parlare di attualità e politica.
* * *
Io vado al quarto anno e vabbè il Manzoni è una scuola che conoscono tutti, è un liceo classico, una scuola storica, molto impegnativa. C’è dal 1884, da un bel po’ di anni. Tutti dicono che all’interno del Manzoni c’è questo spirito che un po’ lo caratterizza, questa cosa che i manzoniani si riconoscono sempre, quell’aria diversa che ti fa dire “ah, quella lì è del Manzoni”. Non so perché, forse perché sono del Manzoni, se parlassi con una ragazza del Severi magari te lo direbbe. Noi a volte veniamo definiti i finti ricchi che fanno i finti poveri, quelli che sono messi bene economicamente, che lottano per i poveri, i radical chic, i borghesi. In effetti, è una scuola in cui la politica e l’attualità non mancano, in qualche modo anche per osmosi le cose le sai. È una scuola che comunque ti tempra, ti fa crescere, ti trovi ad avere molti amici più grandi di te e questa cosa ti cambia tantissimo. Io, per esempio, al Manzoni ho incontrato persone che hanno una cultura immensa e hanno tredici-quattordici anni, persone che ascolti e dici: “Wow! Bravo. Io metà delle cose che sai tu non le saprò mai”.
Molta gente va al Manzoni più perché è il Manzoni che per studiare le materie del classico, e quando è iniziato il Covid c’è stata molto questa mancanza di andare a scuola fisicamente, almeno io l’ho sentita molto, soprattutto dal punto di vista della socialità, del confronto con i professori. Io fatico a seguire le lezioni da casa, nonostante sia una persona che non va male a scuola. Non ho difficoltà dal punto di vista dell’apprendimento però sono molto estroversa e stare da sola a casa mi fa perdere la voglia. A volte ci sono problemi di rete, tipo stamattina c’era una lezione super interessante su Kant e me la sono persa perché il mio computer ha deciso di disconnettersi a metà lezione. Ci sono rimasta male. Altre volte magari sei stanca mentalmente e ti perdi l’attenzione, non hai quel minimo di compostezza che devi avere quando sei a scuola. Certo, dipende anche dal professore. Io per fortuna ho professori bravissimi. Il mio di italiano fa delle lezioni un po’ diverse dal solito, non attinge tanto al programma, tende a fare degli approfondimenti più personali, e finché sei dal vivo c’è più interazione, più voglia di ascoltarlo, perché magari ti chiama, c’è un dialogo, mentre online diventa come una scatola enorme di informazioni che ti viene data in mano e non hai nessuno con cui la puoi sviscerare, devi fare tutto da solo e ti pesa moltissimo.
Secondo me la didattica a distanza in sé non è totalmente negativa, si sarebbe potuta sfruttare meglio, si sarebbero potuti trovare altri percorsi da fare, altri strumenti, ma non nel senso di più computer. Hanno lasciato un po’ tutto nelle nostre mani, essendo convinti che noi siamo la generazione digitale. Ci siamo dovuti adattare. Anche loro si sono dovuti adattare, ma la voglia di trovare metodi alternativi, qualcosa di diverso per migliorare un po’ questa didattica che è già abbastanza triste, non c’è stata. Anche qui dipende molto dai professori, magari uno più giovane si trova più a suo agio con queste cose, però comunque ci sono troppe lacune che la scuola italiana aveva già prima e che la didattica a distanza ha appesantito il doppio.
Fammi un esempio.
Una lacuna all’interno della scuola italiana? Partiamo dal presupposto che noi siamo una scuola molto, ma molto privilegiata, però bisognerebbe fare una revisione di tutti i professori che insegnano nella scuola ed essere più attenti alla qualità dell’insegnamento. Ci sono un sacco di professori giovani che fanno concorsi e non vengono mai scelti per questioni burocratiche. L’anno scorso avevamo un professore di filosofia molto bravo, di ruolo, poi però l’hanno trasferito al Tito Livio. Non dico che un professore anziano non sia bravo, a volte hanno molta esperienza, a volte sono anche più bravi di quelli giovani, però bisognerebbe magari mischiare di più, anche per avere interazioni con età diverse, sicuramente un ragazzo più giovane, una ragazza più giovane hanno un rapporto diverso con gli studenti rispetto a un adulto.
La mia classe ha avuto sempre grossi problemi con le traduzioni di greco e con la Dad noi non stiamo traducendo niente, certo ci danno le versioni a casa, però se ti fai un esame di coscienza, tu adolescente magari il pomeriggio non c’hai veramente voglia di metterti a tradurre una versione di greco o di latino. Io no, e mi sono dovuta ingegnare, ho trovato una persona che mi fa ripetizione così mi obbligo a tradurre. Noi tra un anno abbiamo la maturità, quindi probabilmente l’anno prossimo sarà una corsa a farci tradurre tantissimo… Io sono di quarta, ma un sacco di amici di quinta sono preoccupatissimi per come faranno la maturità, siamo a gennaio e non hanno la minima idea se faranno quella normale o quella semplificata come l’anno scorso.
Ci sono altri problemi. Per esempio, i voti. Ho un sacco di amiche, e amici soprattutto, che hanno avuto un calo di voti enorme, e soprattutto negli ultimi anni questo conta tantissimo. Quando eravamo a scuola pesava meno, c’era tutto il tempo del mondo per fare lezioni, non c’erano problemi di connessione, non c’erano ritardi e quindi il voto, sì ti pesava, ma fino a un certo punto perché potevi fermarti con il professore e chiedere un’interrogazione. Le interrogazioni poi se le fai fisicamente è diverso da farle online, perché magari ti appassiona di più una materia, o un professore, o magari non so, sei particolarmente preso bene in quel periodo perché succede qualcosa di bello, quindi sei felice, queste cose qui. E quindi i voti erano più alti anche per quello, c’era una maggiore socialità, un modo più bello di viversi la scuola, le giornate. Io, per esempio, sono appassionatissima di filosofia e l’anno scorso ho dovuto fare un’interrogazione importante su Platone e Aristotele a fine maggio, in Dad, che è stata, vabbè, è stata una bellissima interrogazione comunque, però sarebbe stato molto più magico se l’avessi fatta dal vivo. Ci sarebbe stata tutta quella frenesia che precede l’interrogazione, ripassare in quei dieci minuti prima, vedere il professore che entra, chiama il tuo nome, tu ti siedi, quelle piccole cose che magari prima odiavi, invece adesso ti mancano.
Ci sono materie di cui ero appassionatissima, tipo Storia dell’arte, in cui sono calata tantissimo e mi pesa perché a me piace quello che studio, ma faccio fatica a studiarlo perché sono a casa, sono da sola, quindi non c’è neanche quel “dai, vado a studiare Storia dell’arte con i miei amici al parco”, non posso farlo. Devo studiarmi tutto io e quindi magari anche il modo di studiare diventa più mnemonico, studi solo le nozioni in maniera fredda invece che studiarle con passione e anche in maniera più corposa e interessante. Cioè sta iniziando a diventare proprio la scuola che non doveva essere, esattamente quello. Uno dei motti del collettivo era: “Questa non è scuola”. È vero, ma un sacco di gente l’ha travisato pensando che non è scuola perché non andiamo dal vivo. No, non solo per quello, ma per tantissimi altri motivi.
Parliamo delle relazioni, che è l’altro aspetto importante. Sono venute completamente meno…
Sì, madonna! Tantissimo. Devo dire che, guardando i miei amici, ho notato che tutti abbiamo fatto una crescita enorme, quest’anno qua, nonostante tutto lo schifo che ci siamo beccati. Quel velo di superficialità che c’era prima nel dare per scontato di poter uscire di casa e poter vedere l’amico al pomeriggio, magari il dire “vabbè, perché devo uscire con i miei amici? cioè non ho voglia”. Quei momenti in cui facevi un po’ il finto triste o magari te la tiravi un pochino, adesso ti vorresti pigliare a schiaffi perché dici “cavolo se fossi uscito di più prima magari adesso avrei più ricordi, più cose, avrei sfruttato di più il tempo”.
Quindi sicuramente si è dato più valore a tutte quelle cose che magari si vedevano un po’ come astratte, tipo il tempo, tipo l’amore, tipo per esempio la salute mentale, che a me è sempre stata molto cara ma che molte persone hanno sempre sottovalutato. Adesso trovandoti proprio chiusa in casa con la tua famiglia emergono quei problemi che non avete mai affrontato, i tuoi problemi con gli altri, i tuoi problemi con te stessa. Siamo stati obbligati ad affrontare tutte queste cose in un anno solo, quindi si è cresciuti tantissimo. È bello crescere da soli, io sono la prima a volte che proprio si chiude nel suo mondo e deve stare da sola per pensare a sé stessa, lo faccio anche troppo, però cavolo è molto più bello crescere con gli altri, a crescere con gli altri sbagli, inciampi, capisci cose che magari da solo non puoi capire, ed è molto meglio.
Qualche giorno fa ne stavo parlando con un amico, in quarta devi iniziare un pochino a pensare cosa fare all’università e sarebbe stato veramente utile essere a scuola fisicamente perché magari avremmo fatto alternanza, avremmo conosciuto gente di altre scuole o magari avremmo conosciuto proprio gente in giro, camminando, oppure in un bar o parlando con quel ragazzo di quinta con cui non hai mai parlato e scopri che lui vuole andare a fare quella cosa all’università che nemmeno sapevi esistesse e ti vai a informare, magari ti appassiona e scegli di fare quello…
Ti senti un po’ abbandonato a te stesso, questo molto. E poi va bene, è bello quel momento in cui senti quella sensazione di libertà, che dici “ok posso uscire di casa”. Per esempio, una settimana fa era il diciottesimo di una mia amica, che è la prima che ha compiuto diciotto anni nel mio gruppo e siamo andati, siccome era zona gialla, siamo potuti andare a casa sua a farle una festicciola all’aperto, è stata una cosa molto bella. Magari io fino all’anno scorso avrei detto: “No, ma dai, perché devo andare lì a fare sta roba, chi me lo fa fare”. Invece adesso, dopo un anno in cui ho capito a cosa dovrei essere legata, cioè che ho degli amici, delle persone che mi vogliono bene, queste cose le faccio di più. E quindi è un po’ ambivalente. Nel senso che la socialità è morta definitivamente, però ti manca, ti manca tanto, e poi ti trovi molto a doverti specchiare con te stesso perché sei sempre con te, sei perennemente con te stesso, e può anche diventare brutto perché a una certa impazzisci anche.
Poi vabbè quando riesci ti organizzi magari con le tue amiche di scuola, i tuoi amici di scuola e li vedi, però comunque sono sempre momenti scaglionati, giorni che sei sereno e giorni in cui ti sale la paranoia tipo “cacchio, magari ho fatto una cagata, non è che devo fare il tampone, non è che magari sto facendo…”, e allora la settimana dopo ti sale l’ansia e ti chiudi in casa. È difficile.
Poi soprattutto con il governo e molte persone adulte che ci incolpano di qualsiasi cosa, che dicono che siamo noi, che siamo noi quelli che portiamo, che diffondiamo il virus, ti pesa; cioè essere giovane adesso è abbastanza pesante perché oltre ad avere sedici o diciassette anni, che non è una passeggiata, oltre ad avere i tuoi problemi, i tuoi demoni, le tue cose, hai anche tutto il resto del mondo che ti punta il dito e ti dice: “Guarda che è colpa tua. Se tu continui a uscire con i tuoi amici, qua rimaniamo chiusi altri tre anni”. A te magari viene l’ansia perché dici: “Sto facendo veramente così tanto del male?”. Io in primis sono una persona super prudente, non mi levo mai la mascherina, mi lavo sempre le mani, sono sempre molto attenta, ma ti sale l’ansia anche se sei la persona più attenta del mondo. Poi magari c’è chi ha problemi a casa con i genitori o ha delle situazioni un pochino più conflittuali con il fratello, la sorella. La famiglia è sempre un tema spinoso, soprattutto quando sei adolescente. Prima magari dopo una litigata con tua mamma o con tuo padre, uscivi a passeggiare con l’amica per sbollire, ora non puoi farlo, sei in camera tua a magari boh, non lo so, magari a studiare, e ti pesa ancora di più.
Mi hai detto che fai parte della redazione del giornalino scolastico. Mi racconti come hai iniziato?
Il giornalino scolastico esiste da tempo, so che prima si chiamava Gli stornelli del Manzoni, adesso si chiama L’urlo. Se ne occupano esclusivamente gli studenti, poi due professori quando terminiamo gli articoli controllano che tutto il numero sia diciamo corretto dal punto di vista grammaticale, dal punto di vista etico, sociale, eccetera, però per il resto facciamo tutto noi, le informazioni, la scrittura, l’organizzazione, la stampa, andiamo anche a ritirarli e poi facciamo il giro delle classi e li consegniamo. Io sono vicedirettrice con un altro mio amico e poi c’è la direttrice. Diciamo che ogni anno c’è sempre un direttore/una direttrice e uno o due vicedirettori, e poi c’è una redazione.
Il giornalino è un luogo molto bello perché ti permette anche di metterti alla prova. Io ho sempre scritto testi, riflessioni, cose introspettive, ho sempre usato la scrittura come uno sfogo più che come un mezzo per trasmettere un qualcosa, e al giornalino ho imparato a usarla come un mezzo per scrivere articoli di attualità, di politica, esprimendo la mia opinione in maniera ferma e non avendo più paura di quello che le persone potranno pensare leggendo.
Il giornalino aiuta anche a cambiare il tuo modo di scrivere, io per esempio non sapevo usare la punteggiatura. Scrivendo sempre cose per me, non avevo fatto leggere nulla agli altri, non sapevo usare le virgole, ne usavo troppe, ne usavo troppo poche e facevo casini con i periodi. Al primo e al secondo anno la direttrice mi ha aiutata, si è messa con me, e ogni volta che scrivevo un articolo lei mi diceva: “Tu non usare le virgole, te le metto io”. E quindi mi aiutava a mettere la punteggiatura, mi faceva i test a sorpresa, mi mandava le frasi e mi diceva: “Dove mettere la virgola?”. E così man mano ho imparato. Però non l’ho mai vista come una cosa pesante perché si crea un ambiente molto di amicizia… Poi durante i tempi di Covid il giornalino fa anche altre cose, adesso con questa storia dell’occupazione del Manzoni, abbiamo fatto tipo reportage, siamo stati là a intervistare genitori, studenti, abbiamo intervistato anche gli occupanti, abbiamo raccontato tutti i fatti, abbiamo tenuto gli studenti informati. (a cura di salvatore porcaro)
Leave a Reply